Rivoluzione, sei la speranza e la scintilla dei popoli

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Il 26 dicembre 2021 segna i trent’anni dalla dissoluzione dell’URSS. Mentre il mito della Rivoluzione non passa, l’impero ex impero cerca un suo spazio fisico e mentale.

“Freddo, duro, vuoto…”. Che si tratti di Murmansk, come nella finzione di Caccia a Ottobre Rosso, o di Arcangelo, con le sue “navi bianche” immaginate dagli Offlaga in quel capolavoro malinconico di Piccola Pietroburgo, è questo ciò che offre la vastità del mare, quando si squaderna ai marinai uscendo da quella baia quasi materna ed è difficile capire se si tratti di un sogno o della realtà. In un passaggio concitato la colonna sonora di Basil Poledouris, come a farsi coraggio: “Veleggia senza timore, orgoglio del Mare del Nord, Rivoluzione sei la speranza e la scintilla dei popoli”. Un mito che non invecchia quello della Rivoluzione. “In eterno il cuore di Lenin ribollirà nel petto della rivoluzione” aveva scritto Majakovskij, uno che non lesinava toni forti come quando scrisse “fuciliamo l’anticaglia coi pezzi da cento pollici” – aveva letto e sorpassato i futuristi nostrani e il loro disprezzo per il chiaro di luna – aggiungendo di non voler credere “al bianco bollettino”, l’annuncio della morte del grande rivoluzionario.

Oggi, a trent’anni dalla dissoluzione, il processo è ancora incompleto, la riconfigurazione dello spazio post-sovietico, come analizzato in un recente convegno della Fondazione Craxi, è incerta o ancora, come nota la rivista Limes nel nuovo numero, il passato non passa. I conflitti etnico-religiosi, il cui potenziale dissolutivo era stato sopito, sono riesplosi mentre l’Occidente ha banchettato sulle spoglie della fu Federazione. Questo infinito impero ex impero, salvato dall’implosione definitiva grazie alla leadership autoritaria di Putin, cerca di ricomporre il suo limes, un po’ spazio fisico un po’ mentale (o letterario): ha un canale privilegiato con la Germania e non potrebbe essere altrimenti e non solo per la Ostpolitik, ha sempre guardato all’Indo-Pacifico, là dove oltre un secolo prima subì le disastrose disfatte di Mukden e Port Arthur, narrate dal primo corrispondente del Corriere della Sera Luigi Barzini, ma è riuscita nel compito storico, ricorda Bonini, di bucare l’ellisse degli idrocarburi arrivando ai mari caldi.

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