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Il Grande Giuoco continua…

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Dialogo tra Gianni Bonini e Lorenzo Somigli a partire dalle recenti vicende dell’Afghanistan.

Lorenzo Somigli: “Blitzkrieg, una guerra lampo e vent’anni di occupazione sono stati sbriciolati da quel filmato dell’aereo dell’US Air Force in decollo con i Taliban che lo accompagnano correndo, alcuni, addirittura, accoccolati su di un’ala del mastodonte”.

Gianni Bonini: “Eh sì, una narrazione apparentemente infantile che tende a ricalcare le immagini della caduta di Saigon, ma sono passati 46 anni da allora. È il 1975, lo stesso anno de I tre giorni del Condor di Sidney Pollack, il film che non mi stanco mai di rivedere. Un Robert Redford strepitoso col suo giaccone marinaro blu e la camicia celeste, come avremmo voluto giustamente tutti essere, Faye Dunaway semplicemente l’archetipo della donna che avresti voluto incontrare sempre in qualsiasi posto, Higgings sublime nello spiegare la missione della CIA, un misto di realismo e cinismo, il finale con l’insegna del New York Times, icona della sinistra liberal, a cui resta ambiguamente appeso il destino di Turner. Insomma, Langley aveva cominciato a partorire un immaginario più sofisticato rispetto ai Berretti Verdi di John Wayne, che poi ha sviluppato nelle produzioni recenti, penso a Green Zone di Paul Greengrass, già Bloody Sunday, ma anche alla più convenzionale serie televisiva di Spielberg The Pacific.

Al di là dell’impaccio di Biden che riscatta Trump nello spiegare il ritiro dall’Afghanistan, per la felicità del leader di Hezbollah, Sayyed Nasrallah, che ha subito parlato di come “the americans betray their allies”, è difficile rendere conto di questo racconto semplicistico che ha messo in serio imbarazzo gli alleati NATO ed ha consentito alla Merkel di togliersi un sassolino dalla scarpa. “Non siamo riusciti a raggiungere quello che ci eravamo preposti”, ha detto guardando all’Ucraina e tirando un sospiro di sollievo per aver incassato il North Stream 2. In barba alla dottrina dell’Arco di Crisi di Brzezinski, l’instabilità funzionale del fronte meridionale della vecchia URSS, che potrebbe ritenersi meno centrale dal Pentagono per concentrarsi sull’Indo-Pacifico ed il Quad, Quadrilateral Security Dialogue, Stati Uniti con Giappone, Australia ed India e contrastare la Cina dal Mar dei Coralli agli Stretti di Malacca, Sonda e Lombok, con Taiwan in prima linea.

«Tanto più che i russi ormai sono scesi nei mari caldi via Tartus-Suez, forse Port Sudan, sfondando l’ellisse degli idrocarburi e il Kyber Pass, con buona pace di Kipling, è strategicamente passato in secondo piano e il confine con la Cina è di soli 76 km, Pakistan ed India vigilano».

Può così essere appaltato ai contractors che, attenzione, sul campo sono quasi il doppio dei quattromila effettivi yankee rimasti, le loro perdite per lo più ignote non scuotono le coscienze apatiche delle masse occidentali, e alle tribù Pashto, Dari, Uzbek, Balochi ed altre ancora; nelle cui lingue però deve essere tradotto il Afghans are going to have to decide their own future” di Joe Biden, chiosa sarcasticamente Tim Marshall su Geographical.

Rileggetevi a questo proposito l’intervista di Andrea Giannotti a Natalija Alekseevna Narocnizkaja sul n.2, della primavera 2013, di If, una rivista fiorentina andata troppo presto in soffitta grazie ai…fiorentini”.

L.S.: “Riprendo fiato perché Gianni, con noncuranza, ha finalizzato un’enorme quantità di informazioni e di riferimenti storici, un nodo avviluppato, per usare un riferimento rossiniano a lui familiare, che merita di provare ad essere sciolto”.

G.B.: “Prima cosa dobbiamo sfatare questa teoria dell’impantanamento, figlia di una lettura datata ed errata del ritiro americano dal Vietnam. Avviene, per gli smemorati, dopo la diplomazia del ping-pong Nixon-Mao che divide ulteriormente il campo comunista e costituirà il fondo della scena della guerra sino-vietnamita del 1979, con la relativa coda umanitaria dei profughi salvati nel Mar Cinese Meridionale dalla Marina italiana del governo di Giulio Andreotti, tanto per dire.

«Ed infatti il Vietnam rappresenta oggi un antemurale fondamentale all’esuberanza di Pechino».

Certo, nel mezzo c’è la crisi interna dai molti aspetti oscuri innescata dal Watergate che produrrà due presidenze deboli, Gerald Ford e Jimmy Carter. Alla fine, tuttavia, si esce dalla crisi degli anni ’70 con Reagan, le guerre stellari e l’implosione sovietica, il dissolvimento della sua linea di comando ben esplicato dal poco noto ma fondamentale, anche per le conseguenze nostrali di Mani Pulite, libro di Francesco Bigazzi e Valentin Stepankov sul “Viaggio di Falcone a Mosca”.

Rimando all’ultimo numero, Occidente [1], della bella rivista della Fondazione Craxi, leSfide, dove ho contestato con dovizia di particolari la categoria geopolitica dell’impantanamento, a partire da una similitudine di Rose Mary Sheldon, esperta di intelligence al Virginia Military Institute, tra le campagne di Roma contro i Parti-Sassanidi e le guerre del XX secolo in Medioriente.

«L’Impero americano, perché tale è al di là dei travestimenti semantici, come sempre è stato nella Storia, aggiorna via via il proprio limes allargato ed esercita il suo nomos, cito testualmente dal mio saggio, nel significato appunto che gli attribuisce Carl Schmitt di diritto privo di caratteri astratti e legato alla concretezza degli eventi storici».

Che piaccia o meno all’Europa che non c’è, se non nelle statistiche come alibi su scala continentale per il surplus commerciale tedesco, +18,1 miliardi per l’Eurozona a giugno, gli alleati devono farsene una ragione ed infatti non si odono che sommessi borbottii.

C’è poi chi vede nelle vicende afghane una rivincita di Islamabad, di Pechino e di Mosca, addirittura, un “roll back degli angloamericani nel cuore dell’Eurasia”. Un punto di vista oggettivamente condiviso dalla nostra opinione pubblica ignorante di geopolitica, rispettabile nella misura in cui si parte dal riposizionamento di Washington nei mari antistanti le coste cinesi.

È questo, mi sembra, l’assunto su cui convergono i commentatori più seri e cioè la rinuncia alla occupazione terrestre in profondità per riconcentrarsi su una strategia talassocratica più classica, oltre che meno costosa.

Nessuno nega le contraddizioni tipiche di qualsiasi regime e Luttwak le fa emergere con maestria, il consensus del Congresso alla politica che fa degli USA il primo donatore finanziario del Pakistan, filocinese secondo l’inventore del turbocapitalismo; un caso, peraltro, non unico considerati gli organismi dell’ONU abbondantemente foraggiati, su cui Trump incentrò la polemica fino ad annunciare il taglio, guarda caso, all’OMS primo attore della pandemia in corso. Vedremo a breve se c’è la sinergia strategica tra Pakistan e Repubblica Popolare, oppure si tratta soltanto di compagni di strada. È un fatto che dal 2014 con il nazionalista Narendra Modi è cresciuto l’inserimento indiano nel Quad in funzione anticinese, come ho già avuto modo di dire e quindi per reazione non mi sorprende un avvicinamento sino-pachistano. Atteniamoci per ora alle evidenze o presunte tali, la geopolitica esige cautela e tempi dilatati di valutazione per gli analisti senza pregiudizi e smaliziati come noi”.

L.S.: “Sono d’accordo, ma allora torniamo daccapo, perché questa narrazione così banale e quasi volutamente debole sull’Afghanistan? Certo nella storia della guerra al terrorismo dalle Twin Towers in avanti è tutto molto opaco, la morte di Osama Bin Laden in testa. A differenza delle primavere arabe quando il discorso di Obama all’Università de Il Cairo nel 2009 apre la stagione del cambiamento pur con i risultati deludenti per l’Italia che si ritrova turchi e russi ad portas, allo Stretto di Sicilia. Non sarà, oso, per caso legata al benchmark della liberaldemocrazia occidentale, estenuata dall’assenza di dialettica politica e sociale dopo la fine della guerra fredda e irretita da un pensiero unico che la gestione della pandemia da Covid ha reso capillarmente pervasivo?”

G.B.: “Questo è senza dubbio vero. Il passaggio del biopotere [2], descritto in particolare da Foucault, dalle esercitazioni e dalle fiction avveniristiche [3], il film Gattaca – La porta dell’universo è stato predittivo, al comando politico effettuale ha trovato nel Covid il terreno ideale. La mitologia occidentale ha abbassato il suo livello civile, ma diventando più sofisticata e totalitaria subito dopo la caduta del Muro grazie ad Internet fino agli onnipossenti smartphone odierni ed al 5G già operativo, per cui la quantità si è fatta qualità, come sosteneva la Scuola di Francoforte.

«Non si sente più il bisogno di dare tante spiegazioni fondate, di fare riferimento a valori e ideologie, fosse il completamento del Risorgimento o l’esportazione della democrazia, il consenso si organizza su un welfare da reddito di cittadinanza e vaccini. C’è stata un’accelerazione in questo senso e l’Italia ne è un banco di prova».

Negli ultimi trent’anni i governi regolarmente eletti non si contano sulle dita della mano e quei pochi per poco tempo, se eccettuiamo Silvio Berlusconi nel mandato 2001-2006. Poi, con la messa in mora della lettera Trichet-Draghi del 5 agosto 2011, premierati precari, compreso Renzi fatto naufragare dal deep state de’ noantri sullo scoglio del referendum, fino all’attuale trionfo della Finanza sotto le vesti della tecnocrazia. Il parlamentarismo liberale è morto insieme alla struttura economico-sociale della rivoluzione industriale ibernata dalla guerra fredda, il ceto medio si è rarefatto e la comicità riflessiva di Walther Matthau e di Jack Lemmon non è riproducibile.

«La democrazia, un’invenzione della storiografia anglosassone, forse è esistita ad Atene nel V secolo, ma bisognerebbe sentire i meteci a proposito dello ius soli e gli strateghi giustiziati tornati vincitori dalle Arginuse; si è espressa pienamente a Roma nel I secolo a.C., prima che Ottaviano ripristinasse ordine e legalità nella forma del Principato dopo un secolo di vertigini, un’orgia di libertà e di sangue».

Le diverse declinazioni del Presidenzialismo plebiscitario raccordato direttamente con le oligarchie finanziarie globali sono la nuova forma di regime per affrontare la domanda crescente di energia (+80%), acqua (+55%), cibo (+60%), al 2050. Non vedo purtroppo risposte di tradizione democratico-riformista all’altezza della sfida sulla sostenibilità del pianeta e sulla sopravvivenza delle specie che lo popolano, anzi mi sembra avanzi una pericolosa visione neomaltusiana già affacciatasi più volte nel secolo scorso”.

L.S.: “Riesco a stento a non farmi sedurre dal raccontare storico ed a bomba vorrei ripiombare sulle vicende afghane di questi giorni: le immagini televisive, la fuga dei profughi e il ritorno della Sharia, i corridoi umanitari per le donne ed i bambini vittime dei Taliban su cui si sta mobilitando una larga parte dell’opinione pubblica. Ne ricavo un sostanziale scetticismo e il richiamo al motto da me coniato in occasione della cronaca in diretta delle manifestazioni del 4 agosto a Beirut: per raccontare i fatti bisogna esserci”.

G.B.: “Stanno scomparendo i vecchi corrispondenti all’estero e le notizie sono costruite da poche note agenzie internazionali. Del resto, Al Jazeera, di ispirazione qatariota, ha avuto un ruolo decisivo nelle primavere arabe, e l’informazione è tornata ad essere la voce del padrone, come si diceva nel ’68, gli spazi di autonomia della casta giornalistica si sono chiusi col nuovo secolo dopo che i grandi gruppi finanziari hanno ridisegnato gli assetti proprietari, politica e trade unions ballano sulle loro musiche.

Il capitalismo politico sostiene, secondo Shoshana Zuboff nel suo illuminante Il Capitalismo della sorveglianza, che “servire i reali bisogni delle persone è meno remunerativo, e pertanto meno importante, che vendere previsioni sul loro comportamento”. Voglio dire che le notizie vanno prese con le pinze, le fake news sono più che frequenti così come i filmati, ce li produciamo da noi figuriamoci i servizi di intelligence.

Ai tempi della seconda guerra del Golfo c’era più attenzione critica, la Chiesa di Giovanni Paolo II non era allineata, e poi, diciamocela tutta, al di là della mia idiosincrasia per le anime belle a gettone, questo can can serve anche a depistare dal tradimento, è percepito come tale, dell’idolatrato duo Biden-Harris ai danni dei diritti colorati promossi dai cortigiani delle élite globali. I bambini che per farci sfrecciare superbi in monopattino elettrico scavano a mano nelle miniere di cobalto nel Congo non fanno notizia.

«Nella colonia Italia poi, la coniazione è di Fasanella, la geopolitica permessa dopo la guerra perduta si è inabissata con la Prima Repubblica, non vedo Tucci né Quilici all’orizzonte».

Mi dispiace, ma o ci adattiamo dentro un’Europa a trazione teutonica oppure, l’ho detto più volte, rischiamo di essere terra di competizione fra medie potenze regionali, come nel ‘500 ma senza Rinascimento e quel Papato a coprirci le spalle. Piuttosto che inventarci autoassoluzioni consolatorie preoccupiamoci del tapering [4] annunciato della Fed, Federal Reserve System, e dei suoi contraccolpi sui titoli di stato in portafoglio della Bce su cui si regge il debito pubblico italiano.

Il Pentagono si limita a controllare il Mediterraneo, la sicurezza delle rotte commerciali e delle reti dati, cavi sottomarini in particolare, dei giganti Gafam – Google, Amazon, Facebook, Apple, Microsoft ndr – sull’asse Rota nell’Andalusia atlantica – Kurdistan, con il MUOS, il Mobile User Objective System, di Niscemi in Sicilia come centro nevralgico di collegamento con il sistema cibernetico-spaziale.

«È lassù, in cielo, che è cominciata la partita più importante del futuro prossimo, Elon Musk non va a farci le passeggiate…»

L.S.: “Un invito alla cautela che condivido, ma una base di verità è indubitabile, sennò diventiamo peggiori di San Tommaso, non possiamo accertarci di tutte le fonti. Dobbiamo essere critici professionalmente, ma non demolire sempre per principio la comunicazione in quanto tale. Sull’Afghanistan, ad esempio, abbiamo pubblicato il 30 luglio, in anticipo sulla drammatizzazione del mainstream mediatico, una bella intervista di Roberta Vaduva a M. Nazmul Islam [5], ricercatore presso l’Università Yildirim Beyazit di Ankara, che approfondisce la composita realtà tribale di questo antica terra di frontiera fra l’Eurasia e l’Indo-Pacifico, già indomita all’ambizione visionaria di Alessandro Magno, secondo le Storie di Quinto Curzio Rufo. Con un focus specifico sul ruolo di Turchia e Qatar. A Doha si sono del resto tenuti i negoziati su questa strana transizione dei poteri”.

G.B.: “Hai ragione, una bella intervista che penetra il magico gioco ad incastro dei Taliban. Consiglio di agganciarla a questo dialogo per far comprendere che siamo di fronte ad una realtà complessa, che poco ha a che fare con la lotta al terrorismo e molto al contenimento dell’espansione dell’Heartland mackinderiano.

Segnalo, inoltre, per quelli che hanno sete di sapere l’ottimo articolo di Elvio Rotondo sul nostro Nodo di Gordio, “La leadership talebana in un Afghanistan ormai perso” [6], una rassegna imperdibile del potere e della forza Taliban. Perle, devo dire, in un oceano di scemenze mediatiche: si spiega in parte il crollo dell’editoria del Belpaese che il digitale, smaterializzazione sciatta del cartaceo, non riesce a rimpiazzare minimamente.

La verità è che il 70% degli americani è favorevole al ritiro e che non è vero che Biden su questo ha perduto in popolarità.

«Mi viene in mente che forse è anche un modo per ricordare all’Occidente ed all’Europa in particolare, prodiga di buoni consigli, salvo farsi gli affari propri con cinesi e russi, ed avara di fondi per la NATO, l’indispensabilità dello scudo di difesa USA, senza il quale anche gli affari, appunto, non si fanno più tra pari ma diventano più difficoltosi. E la Cina, come dimostra Hong Kong e l’Africa, si fa pagare sempre».

A questo punto, per concludere, non si può fare a meno di sottolineare che in questa avventura, lontano dall’area sensibile di nostro interesse strategico, l’Italia ha lasciato in vent’anni sul campo 53 morti, 700 feriti e 8,6 miliardi di euro. Nello stesso tempo, come hai rilevato correttamente, abbiamo perduto la Libia e gran parte dell’influenza costruita pazientemente dalla Prima Repubblica, dopo l’Amba Alagi ed El Alamein, nel Mediterraneo allargato, da Algeri al Corno d’Africa, pur contando su una Marina di tutto rispetto, nettamente superiore per mezzi ed addestramento alle altre. Era dunque possibile, è l’interrogativo, un altro modo, più rispondente alle nostre priorità geopolitiche, di stare nella NATO?

«Paghiamo la stagione di Mani Pulite, la decapitazione del ceto politico, senza adeguato ricambio, che aveva risollevato le nostre sorti nel Dopoguerra, manovrando con straordinaria abilità tra unità europea e guerra fredda, facendo da sponda nel Mediterraneo al processo di indipendenza e di decolonizzazione del Terzo Mondo».

La proposta di Bettino Craxi, in qualità di rappresentante del segretario generale ONU, Peréz de Cuéllar, sulla remissione del debito pubblico ai paesi più poveri, attualmente ha superato la cifra astronomica di 55mila miliardi di dollari, fu il canto del cigno di quell’Italia. Il Grande Giuoco continua…”

A margine della pubblicazione dell’articolo riceviamo un commento da parte di Riccardo Zucconi, che pubblichiamo con piacere:

“Caro Gianni ti leggo sempre con molto interesse. Magnifiche, per me appassionato, le tue intersezioni sul cinema, su cui ci troviamo molto d’accordo. L’unica osservazione è che i tuoi articoli sono per “iniziati”. Altrimenti non si riesce a gustarli fino in fondo. Quasi tutti i giorni invio a degli amici alcune cose che mi colpiscono. Col tuo scritto devo restringere la platea perché molti non riuscirebbero a seguirlo.

Sono più di 60 anni che seguo la politica estera, sempre così interessante. A 16 anni lessi la guerra del Peloponneso di Tucidide e rimasi folgorato. Nel microcosmo greco c’è già tutto è niente è cambiato dopo 2500 anni a parte le cose che l’umanità ha scoperto o inventato fino alla conquista dello spazio. Una potenza terrestre, Sparta, pressoché invincibile sul terreno, contrapposta ad una potenza navale egemone nel commercio.

Spartani sono state Spagna, Germania, Francia, Russia. Ateniesi Inghilterra Olanda Stati Uniti. Con la straordinaria eccezione dei Romani, spartani all’inizio e, dopo le guerre puniche, capaci di trasformarsi in una potenza globale egemone in tutto. Arte militare, vie di comunicazione, diritto etc… Non avendo più avversari si sono dati il lusso di infinite guerra civili, sia nella Repubblica sia nell’Impero. Finché gli italici hanno fatto il servizio militare la loro costruzione ha retto, poi doveva per forza cadere. Comunque con l’impero di Oriente sono durati fino al 1453. Fantastici. A presto”.

Bibliografia
  1. Per leggere il nuovo numero “Occidente” (n.9): leSfide;
  2. Sul concetto di biopotere: “Considerazioni al mio ritorno in Italia su uno stato di cose che non mi convince affatto” del 12/08/2021;
  3. Sulla capacità della fantascienza di prevedere certi scenari si confronti con l’intervista  “Il biopotere secondo Francesco Borgognoni” pubblicata da noi il 22/07/2021;
  4. Per saperne di più: https://www.milanofinanza.it/news/lo-spettro-tapering-pesa-sui-listini-wall-street-apre-in-decisa-flessione-202108191531067669
  5. L’intervista “Afghanistan: il ritiro degli USA, il ritorno dei Talebani e l’ombra del Qatar. A colloquio con M. Nazmul Islam (Università Yildirim Beyazit)” a cura di Roberta Vaduva del 30/07/2021.
  6. L’approfondimento di Elvio Rotondo per Nodo di Gordio: https://nododigordio.org/breaking-news/la-leadership-talebana-in-un-afghanistan-ormai-perso/

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