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Considerazioni al mio ritorno in Italia su uno stato di cose che non mi convince affatto

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«Fair is foul and foul is fair»
Macbeth, Atto I, Scena I

Quiriti, di tutto questo stato di cose ci sta sfuggendo qualcosa di decisivo. Siate provax, novax, snìvax, fatelo una, due, tre volte oppure non fatelo o fatene altri e magari non questo oppure solo uno dei vari disponibili o tutti insieme shakerati. A me non interessa, a nessuno deve interessare. È questo il problema più pressante che intravedo adesso, un’evoluzione oscura di cui solo percepiamo le prime propaggini: l’intromissione a gamba tesa del dibattito pubblico, del politico nella sfera intima della salute (come del sesso, dello stile di vita, del denaro etc). La colpa è soprattutto nostra. Dobbiamo imparare a distinguere, a sezionare, a scindere, dunque a discernere, a processare, ad agire, consapevolmente, in un senso o nell’altro. La politica non può introdursi negli ambiti privati, siano essi il patrimonio, la sessualità, la visione del mondo, financo appunto la scelta se vaccinarsi o non vaccinarsi.

Già, consentitemelo, che si pubblichi quel video della persona in terapia intensiva (magari poi deceduto, magari senza il consenso) o che si inviti altri cittadini a denunciare chi fa “feste private” mi pare una torsione pericolosa dei nostri diritti che prelude a scenari da Winston Smith e O’Brien. Già dimenticati questi diritti? È bene sapere che una volta persa una libertà è molto difficile riconquistarla. Una volta ceduta, più o meno consapevolmente, una parte di sé chi può assicurarci che lo Stato decida di restituirla? Chi ci assicura che la renda tutta e in tempi certi? Chi può assicurarci che non decida di tenersela o di prendersene altre? Tante guerre mondiali, tante angherie di vario genere, tante ingiustizie che vediamo o non scorgiamo o che facciamo finta di non vedere ce lo testimoniano. Mi sembra, inoltre, che le varie limitazioni più che sparire o affievolirsi si strutturino, in verità, secondo altre linee.

Questo stato di cose, che a malapena comprendiamo e decifro, si può riassumere nella parola biopotere ovverosia potere, dello Stato (mi appoggio al più convincente Foucault, per chi voglia approfondire consiglio anche le letture di Agamben), di controllare la nostra vita e di determinarne, preventivamente, lo sviluppo. Questo può essere positivo o negativo, precisiamolo: raccogliendo tutte le informazioni disponibili, il biopotere può aumentare la qualità della nostra vita, la sua durata ma, appunto, controllandola, può anche decidere di toglierla. Una volta ceduto il controllo dello sviluppo della nostra vita chi può assicurarci che il biopotere agisca solo per aumentarla e non per ridurla? Possiamo presumere abbia preso il controllo della nostra vita con l’obiettivo di avere una popolazione sana e docile da spendere nella competizione globale.

Sicuramente dobbiamo renderci conto che questo è il terreno di scontro di oggi. Sicuramente il biopotere ci divide: sani/non sani/meno o più sani, pazzi/non pazzi/non più pazzi (il rimando è chiaro alle trattazioni di Foucault sull’hôpital général) e dunque vaccinati, non vaccinati, guariti. È minuzioso e attentissimo ai dettagli il biopotere. È qui che dobbiamo esercitare la sacrosanta virtù del dubbio, pur soli che siamo (non mi sembra). È qui che dobbiamo ingaggiare una lotta serrata con il bio (bios, vita) o tanato (thanatos, morte) contro, mi scuseranno i miei “venticinque lettori” per il termine non proprio adatto a un lineare come me, il Male.

Il biopotere secondo Francesco Borgognoni – Il Tazebao

Chiudo – ringraziando il lettore per la sua pazienza – con il primo elogio di Epicuro contenuto nel De Rerum Natura (vv. 62-82) di Lucrezio, schiaffo alla religio ovverosia il pregiudizio e l’ignoranza.

Humana ante oculos foede cum vita iaceret
in terris oppressa gravi sub religione
quae caput a caeli regionibus ostendebat
horribili super aspectu mortalibus instans,
primum Graius homo mortalis tollere contra
est oculos ausus primusque obsistere contra,
quem neque fama deum nec fulmina nec minitanti
murmure compressit caelum, sed eo magis acrem
irritat animi virtutem, effringere ut arta
naturae primus portarum claustra cupiret.
Ergo vivida vis animi pervicit, et extra
processit longe flammantia moenia mundi
atque omne immensum peragravit mente animoque,
unde refert nobis victor quid possit oriri,
quid nequeat, finita potestas denique cuique
quanam sit ratione atque alte terminus haerens.
Quare religio pedibus subiecta vicissim
obteritur, nos exaequat victoria caelo.

Quando la vita umana sotto gli sguardi turpemente giaceva
nel mondo schiacciata sotto la superstizione oppressiva
che mostrava la testa dalle regioni del cielo
incalzando dall’alto i mortali col suo orribile aspetto,
per la prima volta un uomo greco osò sollevare contro
gli occhi mortali e per primo resistere contro,
lui che né la fama degli dei né i fulmini né col minaccioso
mormorio il cielo trattennero, ma ancor più la forte
capacità del suo animo stimolarono a desiderare
di spezzare per primo i chiostri serrati delle porte della natura.
Quindi la vivace capacità della sua mente stravinse, e oltre
le mura infuocate dell’universo lontano si spinse
e tutta l’immensità percorse con la mente e con l’animo,
donde ci riferisce, da vincitore, che cosa possa nascere,
che cosa non possa, e infine con quale criterio per ogni essere
ci sia una possibilità definita e un limite profondamente connaturato.
Perciò la superstizione a sua volta gettata sotto ai piedi
viene calpestata, la vittoria ci innalza al cielo.


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