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Firenze-Beirut: diario di viaggio

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Lorenzo Somigli e Roberta Vaduva sono stati in Libano per condurre un reportage sulla storia, l’economia, la cultura del Paese.
7 agosto: l’ultimo giorno, un tourbillon di emozioni

Ore 23:00. Essere comunità, favorire il confronto sui temi stringenti e i problemi reali, esprimere le emozioni, anche quelle più vere, più crude, sfogarsi. L’arte può fare tutto questo.

Prima di ripartire passiamo dal porto di Byblos per salutare Paule – è stata lei ad accompagnarci a Beirut il giorno delle proteste – che organizza una mostra di artisti, tra cui molti giovani emergenti.

Quando ci parliamo si vede che ha profuso tutta la sua persona in questa esposizione. Un’ottima semina, che sicuramente darà i suoi frutti.

Abbiamo anche l’opportunità di conoscere Brady Black, artista impegnato socialmente. Brady ha partecipato anche alle proteste del 4 agosto, come a tante precedenti e, quando ci parliamo, è netto contro il sistema che non rappresenta né il Libano né soprattutto i suoi giovani.

“Ho chiesto alle persone di esprimere il loro stato d’animo” ci spiega parlando di una sua opera esposta “e i sentimenti di rabbia, delusione, angoscia sono prevalenti rispetto a quelli che consideriamo più positivi. I sentimenti che ho raccolto sono come un grido di dolore che arriva dalla carne viva del Libano e che l’arte ci aiuta a esprimere e rappresentare”. Complimenti Paule, e grazie.

Ore 19:00. Dal nostro viaggio, un’esperienza che ci portemo sempre nel cuore, non c’è congedo migliore di quello che ci affida Maroun: “Adesso in Libano avete una famiglia”. La abbiamo, sì. Grazie Maroun, grazie Libano.

Ore 18:00. Di ritorno, nel tardo pomeriggio abbiamo assistito ad una scena alquanto singolare. Stavamo percorrendo il tratto stradale normalmente quando all’improvviso ci siamo trovati ad essere in contromano, nonostante il rispetto del codice della strada. In lontananza si intravede del fumo – in seguito abbiamo scoperto si trattava di un incendio – e le auto dirette in quella direzione sono costrette a fare inversione. Dunque, sullo stesso tratto stradale, precisiamo a senso unico, i vari autisti hanno immediatamente trovato un tacito accordo. Nessuno si è affacciato dal finestrino per imprecare contro gli altri, nessuna bestemmia gratuita è volata, non si è giunti alle mani e, aspetto di primaria importanza, non si sono creati intoppi e non si sono coinvolti la polizia, i carabinieri e compagnia bella. Tutto è scorso come l’acqua senza il minimo stupore. Non si è creato neanche troppo traffico: le persone non si sono fermate a chiedersi cosa fosse successo, cosa bisogna fare e soprattutto di chi fosse la colpa! L’empatia ha avuto la meglio. Questa è stata l’ennesima dimostrazione che i libanesi sanno che devono e possono risolvere i loro problemi da soli, pacificamente ed egregiamente. Un coordinamento così armonico, oserei dire, in una situazione non del tutto semplice dato il deficit infrastrutturale del paese, è una potente testimonianza della solidità morale del popolo libanese (a cura di Roberta Vaduva).

Ore 17:00. Mentre torniamo Maroun ci fa notare il manifesto di un partito libanese che è pro-Siria ovvero che vorrebbe l’annessione del Libano alla Siria, che dà sempre nutre questa ambizione.

Ore 14:00. Mentre siamo a pranzo io, Roberta, Maroun, Carlos, Roula e Zaza ci divertiamo a capire come si dicono certe parole nell’altra lingua. Io e Roberta adoriamo il yalla che è una sorta di passepartout che possiamo tradurre con “andiamo” o “forza”. Giova precisare che i nostri amici fenici parlano con disinvoltura un po’ tutte le lingue: arabo, francese, inglese, italiano; gente di porto e scaltra. Una parola che a Maroun piace è “paraculo” che usa scherzosamente con Carlos. A noi l’arduo compito di spiegarne il significato tra l’ilarità generale. Impariamo anche come si dice asino ovvero himar.

Parlando dell’amico Carlos, che ci ha accompagnato nella meraviglia di Baalbek, lo paragoniamo a un “bambino” per la gioia che provava nel vedere i tempi. Lui, infatti, non ci era mai o, meglio, non ci era mai potuto andare.

Carlos all’opera a Baalbek

“Bambino?” domanda sua moglie mentre ci mostra una foto di Carlos durante la guerra contro l’occupazione siriana (hanno anche molte barzellette sui siriani). “Qui si cresce presto, qui si lotta per la difesa di questa terra: nessuno rimane bambino a lungo”.

Ore 13:00. Un patrimonio arboreo da salvare. Il cedro è da millenni la risorsa più ambita e più preziosa del Libano, nonché il suo simbolo nazionale. Il grande uso nei secoli ha ridotto sensibilmente la sua disponibilità. Eppure non mancano i tentativi di tutela e conservazione come il parco che visitiamo. Alcuni degli alberi, purtroppo morti a causa di parassiti, sono stati convertiti in opere d’arte nelle quali si riconoscono chiaramente i santi e il volto di Gesù.

È possibile anche contribuire alla tutela di questa risorsa: https://friendsofcedars.com/

Ore 12:00. Visitiamo il Museo dedicato a Gibran, poeta e pittore. Questo l’approfondimento a cura di Roberta Vaduva: Il poeta dell’Amore – Il Tazebao

Ore 11:00. El Hob Gameel. L’amore è una cosa meravigliosa. Con questo titolo meraviglioso siamo stati citati da Gianni Bonini nella sua ultima stoccata su Il Nodo di Gordio: https://nododigordio.org/breaking-news/stoccate-el-hob-gameel-lamore-e-una-cosa-meravigliosa/. A lui e a tutto il think tank un sentito ringraziamento.

Ore 9:00. Ultimo giorno trascorso a Tripoli, seconda città del paese per numero di abitanti e una delle tre roccaforti dell’Islam sunnita, nonché famosa per le delizie culinarie, soprattutto dolci.

Per colazione, infatti, abbiamo fatto un salto da Hallab, pasticceria più antica del paese, dove abbiamo mangiato l’ultimo knafeh in kaak della nostra settimana libanese, il tipico dolce mediorientale di pasta a fili sottili, imbevuta di sciroppo dolce e stratificata con formaggio e, infine, inserita nella kaak, un pane morbido e pieno di rigonfiamenti interni causati dall’aria, con una crosta croccante ricoperta di semi di sesamo all’esterno. È il dolce più buono in assoluto nell’universo.

Questa volta ne abbiamo presi quattro, due con formaggio e due con kaymak, una sorta di panna, variando un po’ i gusti. Io e Carlos, che ci ha accompagnato a Tripoli, sua città natale, abbiamo apprezzato quelle con kaymak, Lorenzo e Maroun quelle con il formaggio. Ho concesso a Lorenzo di assaggiare il mio knafeh, ma lui ha addentato un quarto del mio squisito dolce incurante del mio sguardo quasi assassino! (A cura di Roberta Vaduva)

6 agosto: la Valle della Beqa e la meraviglia di Heliopolis

Ore 13:00. Tradizionale pranzo al Casino Mhanna, riconosciuto come il miglior ristornate del Libano. Situato nel distretto amministrativo di Zahlé, nel governatorato della Beqaa, il ristorante ci ha regalato un pranzo tradizionale libanese di alta qualità. Il grande ristorante offre ai suoi ospiti un luogo adibito al ristoro che si affaccia, da un lato, sul fiume Berdawni, dall’altro, sulla stradina principale che ospita ristoranti, gelaterie, spazi gioco per bambini, venditori ambulanti di delizie locali, torroncini e zucchero filato.

Locale molto pulito e curato: lo testimonia anche la presenza del titolare che sorveglia le pietanze e di tanto in tanto passa dai clienti per accertarsi che tutto proceda al meglio, i camerieri impeccabili e gentili. Pranzo ricco, in perfetto stile libanese: hummus di ceci, melanzane, patate aromatizzate e poi carne, onnipresente, condita da un sugo squisito. Il combinato hummus e fegatini fa impazzire Maroun e noi con lui. Non poteva mancare il fegato di agnello crudo, corredato dal grasso, che abbiamo assaggiato accompagnato da spezie; anche questa è un’esperienza. Come bevanda l’arak, il liquore all’aroma di anice tanto amato dai libanesi. Ad allietare il pranzo il consueto narghilè, al gusto di mela.

Ore 11:00. Quando Roma guardò a Oriente. È ricco e straordinariamente conservato. Un campionario di architettura romana che, data la posizione, risente di un chiaro influsso orientale.

Baalbek ovvero Heliopolis è un sito archeologico plurimillenario e ancora troppo poco studiato. Il nome deriva da una delle divinità più importanti per i Fenici che poi si è sovrapposta, naturalmente, a Giove.

Dopo il periodo ellenistico al quale si deve la realizzazione dei primi tempi, l’apporto di Roma, da Cesare in poi, per indubbie ragioni strategiche, è sensibile.

È soprattutto con la dinastia dei Severi che la città cresce assurgendo a centro di un’area sempre più rilevante per la stabilità e la sicurezza dell’Impero. Grazie a Settimio diventa colonia di ius italicum con il nome di Colonia Iulia Augusta Felix Heliopolis. Settimio, il primo imperatore militare, attentissimo all’esercito – è anche questo uno dei segni del trapasso dell’Impero – cura le campagne militari di rafforzamento del limes arabo e del limes parthico e l’attenzione a Heliopolis deriva anche da questo suo progetto.

Sempre della dinastia dei Severi, Caracalla interviene nell’area dei templi costruendo i maestosi propilei che ci accolgono. Successivamente, Filippo l’Arabo, nativo di Damasco, realizza l’elegante cortile esagonale. Heliopolis diventa, dunque, un centro essenziale della provincia Syria Phoenicia.

La scelta di fastosi capitelli corinzi, l’abbondanza nei decori (dentellature, nicchie, fregi floreali), le linee tondeggianti e arcuate denotano un forte sincretismo e una chiara ibridazione con gli stili orientali.

Ore 10:00. Lungo la strada scorgiamo anche i campi dove hanno trovato un riparo di fortuna i profughi siriani.

Ore 9:00. Direzione Baalbek: un’esplosione di colori. Percorrendo la serpintina strada che si inerpica sul Mont-Liban, è stato impossibile non rimanere piacevolmente stupiti, oltre che dal paesaggio mozzafiato, dai colori accesi ed intensi che dominano il territorio, un territorio poco ospitale per l’insediamento umano, ma adatto ad accogliere il bestiame in fuga dal caldo della valle della Beqa, la regione più fertile del paese.

I pastori, in pravalenza di origini siriane, hanno improvvisato al meglio delle piccole tende dove rifugiarsi in questo periodo dell’anno; in inverno, infatti, la neve rende il territorio invivibile a causa dell’ abbondante neve.

Entriamo, dunque, nel governatorato della Beqa, roccaforte degli sciiti. Al passaggio da un governatorato ad un altro, c’è sempre un posto di blocco. Qui tutto cambia: la fertile regione che ci circonda, dai colori e odori intensi, sembra sia uscita da un quadro dei Macchiaioli. La popolazione vive di agricoltura: i campi sono adibiti ad accogliere piantagioni sterminate di hashish che rappresenta una fonte primaria di sostentamento per i locali.

Produzioni locali…

La presenza di grandiose case, alcune delle quali lasciano i passanti a bocca aperta per la loro maestosità, ci fanno capire quanto gli abitanti dipendono da questa pianta.

Lasciando la campagna e addentrandoci più verso il centro del governatorato, la situazione cambia: sulla strada principale sveltolano bandiere di Hezbollah, foto del generale iraniano Qassem Soleimani, di Hassan Nasrallah e, senza grande sorpresa, del presidente Michael Aoun. L’urbanistica cambia drasticamente: nulla a che vedere con le maestose case, palazzi in alcuni casi, di poco prima.

Lungo la strada si affacciano vecchi palazzi, poco alti, alcuni recanti striscioni con scritte in arabo, molti davvero mal custoditi. Essendo venerdì, giorno di preghiera per i musulmani, le piccole botteghe presenti sono chiuse. Non mancano le file di auto ai distributori di benzina (a cura di Roberta Vaduva).

5 agosto: la Montagna Libanese

Ore 10:00. Ci spostiamo da Byblos per visitare alcuni luoghi sacri per i Maroniti. Prima visitiamo una foresta a Ehmej che è stata ripiantata grazie alla cooperazione tra Libano e Stati Uniti: i cedri sono maestosi, i profumi avvolgenti. Riprendiamo il viaggio e visitiamo le fattorie, i caseifici, le vigne che i Maroniti gestiscono e che sono una fonte di lavoro essenziale per tutte le comunità della Montagna. Nella mattinata, presso il monastero a San Sciarbel Makhluf (proclamato santo nel 1977), abbiamo un colloquio con l’Abate Tannous Nehme, ex superiore Generale dell’Ordine Maronita Libanese.

“Pregate per il Libano!” – Il Tazebao

4 agosto: un anno senza giustizia

Ore 22:00. Dall’Italia l’interesse per il nostro reportage cresce di giorno in giorno. Grazie al collega Roberto Roggero siamo stati ripresi dal sito di Assadakah Onlus: https://www.assadakah.net/post/libano-un-anno-senza-giustizia

Ore 20:00. Il ritorno è lungo e tortuoso. Siamo esausti, stremati, telefoni inutilizzabili, assetati. Passiamo tra zone al buio, zone piene di miliari, zone non proprio raccomandabili ma anche zone patinate della città. Camminiamo fino alla macchina e dunque torniamo a Byblos. Giornata intensa ma storica per il popolo libanese e per noi che abbiamo avuto l’onore di esserci e di esserci anche per rappresentare la vicinanza del popolo italiano.

Beirut brucia ma la politica si nasconde – Il Tazebao

Ore 19:00. Le proteste arrivano al centro di Beirut. Il centro di ogni rivoluzione. Il luogo più caro al popolo libanese. Seguendo la folla giungiamo a Piazza dei Martiri della Rivoluzione. Droni della polizia la sorvolano a ogni angolo. Iniziano gli scontri con la polizia. Dopo tante prelibatezze il nostro viaggio ci offre anche un assaggio del gas lacrimogeno libanese.

A proposito di gas, ci viene mostrata un’opera a forma di cuore che è composta per metà da pietre, lanciate in passato dai dimostranti, e per l’altra metà da bombolette di gas lacrimogeno vuote.

Ore 18:00. Il porto mutilato. Dramma economico e ferita aperta nel cuore del Libano. L’afflusso di folla è enorme. Si passa a fatica, non c’è un metro libero. C’è chi sale sul guardrail, chi sulle auto, chi sul pullman dei pompieri. Anche questi ultimi partecipano alle proteste perché sono stati i primi a subire delle perdite umane dopo l’esplosione.

La rabbia serpeggia ovunque. I discorsi sono infuocati. Partecipano esponenti di tutta la società libanese: avvocati, ingegneri, religiosi. Il cuore produttivo, dinamico, i motori dell’economia e dello spirito si scagliano contro il sistema. Alle 18:07, orario dell’esplosione, viene osservato un minuto di silenzio per le vittime.

Gli interventi dal palco

Una fiumana di persone diretta verso il porto

Ore 17:00. Nella manifestazione, come in tutte le manifestazioni, ci sono le sfumature, le differenze di vedute, i punti di vista, anche originali. Notiamo uno striscione fuori dal coro che recita “Iran out”. Riusciamo a intercettare Anis B Karam, Chairman dell’AMEC (American Middle East Coalition for Freedom and Democracy).

“Iran out” chiedono alcuni

Secondo lui uno dei problemi principali del Libano è la presenza di una forza armata come Hezbollah, che è sostenuta materialmente dall’Iran. “E non è accettabile” sottolinea. La sua proposta per risolvere questo problema, infatti, è di dare piena e completa applicazione alla risoluzione 1599 che prevede il disarmo di Hezbollah (a cura di Roberta Vaduva).

Ore 16:00. Mentre il corteo si snoda per la città ci colpisce una bandiera che è sventolata da una sopravvissuta all’esplosione, Lea Freiha, che abbiamo intervistato (a cura di Roberta Vaduva). L’intervista: Beirut senza il porto: una barzelletta che non fa ridere! – Il Tazebao

Ore 15:30. Ci uniamo ad uno dei presidi delle famiglie delle vittime. Il dolore e lo strazio sono palpabili. Ad un certo punto il clima diventa rovente e un uomo tenta di superare un posto di blocco con filo spinato. Rimarrà, per quello che abbiamo potuto documentare, uno dei pochi episodi violenti (ricordiamo comunque che si parla di vite spezzate senza nemmeno giustizia): le proteste sono state civili e ugualmente le forze dell’ordine sono state comprensive. Anche nel caso citato.

Ore 15:00. Passiamo davanti al Palazzo di Giustizia. C’è un picchetto organizzato dall’Ordine degli Avvocati.

Ore 14:00. Direzione Beirut. Entrare a Beirut è un’Odissea. Ci sono molti check point e molte deviazioni. Sembra fatto per scoraggiare la partecipazione. Senza successo. Molti non si lasciano scoraggiare, parcheggiano le macchine e proseguono a piedi. Il popolo vuole esserci.

Ore 11:00. Tutto il Libano si è fermato. Tutto il Libano tace. Un silenzio di rispetto per le vittime, di riflessione, di unità, perché la tragedia unisce tutti i libanesi, anche quelli sparsi per il mondo, ma carico di angoscia, di rabbia per la giustizia negata. Oggi seguiremo le manifestazioni e le proteste a Beirut a un anno dal dramma del 4 agosto 2020.

3 agosto: giornata di interviste a Beirut e splendida cena vista mare

Ore 20:00. Piacevole cena in squisita compagnia. Abbiamo avuto il piacere di conoscere delle persone meravigliose come Edde Roger e sua moglie Alice Kingsbury Bradley. Edde è un avvocato e un businessman di fama internazionale e un attento osservatore della politica del suo paese. Ci ha fornito utili ed originali idee e soluzioni che il Libano dovrebbe abbracciare per uscire da questa crisi sistemica che tiene in ostaggio generazioni di giovani.

Edde è stato molto attivo, e ancora oggi lo è da dietro le quinte, sulla scena politica libanese e ha fatto di tutto per portare all’attenzione della comunità internazionale la causa libanese. Insieme alla moglie Alice, persona di una tranquillità, cordialità ed eleganza indescrivibili, sono proprietari di Eddé Sands Beach Resort and Wellness (www.eddesands.com), una realtà quasi esotica, costruita prestando grande attenzione all’ambiente – il tocco femminile è innegabile a tal riguardo – nell’antica città di Byblos.

Al ritorno dal Libano abbiamo avuto il piacere di intervistare l’Avvocato Roger Eddé: Una confederazione per uscire dallo stallo del settarismo? A colloquio con l’Avv. Roger Eddé – Il Tazebao

Qui molti giovani e talentuosi libanese hanno trovato una speranza, una possibilità di riscatto. È questo il caso di una giovane libanese che svolge la mansione di cuoca, adesso cuoco chef, e che cuoca (il sorbetto all’albicocca è da leccarsi i baffi), presso il Resort.

La ragazza, che parla italiano, è cresciuta nella cucina del Resort di Alice – che parla perfettamente l’italiano, oltre ad altre lingue tra cui il farsi –, ha avuto modo di migliorare e di imparare nuove ricette e nuove tecniche da un cuoco italiano. Spera di poter raggiungere il nostro paese il prossimo anno. La cena, a base di pesce e consumata in riva al mare, è stata splendida (a cura di Roberta).

Ore 13:00. Pausa pranzo al quartiere armeno. Dopo due incontri con due personalità di grande calibro, il Prof. Hamze e il Dott. Fattouh, con i quali abbiamo avuto modo di scambiare qualche chiacchiera sulla cooperazione Italia-Libano e di allargare i nostri orizzonti conoscitivi sul sistema bancario non solo libanese, ma anche dell’intero mondo arabo, abbiamo fatto una rapida ma squisita tappa nel quartiere armeno della Grande Beirut. Superata la chiesa armena, le vetrine delle gioiellerie – gli armeni sono raffinati artigiani – e, dettaglio non trascurabile, il fitto e rumoroso traffico libanese, siamo finiti nella bottega “Basterma Mano” dove abbiamo assaggiato shawarma con carne io, con pollo Lorenzo, accompagnata da sottaceti e makanek, panino con salsicce dal ripieno variegato e speziato. Un ottimo pranzo consumato in piedi al riparo dal sole sotto le tende davanti la bottega. I suoni dei clacson dell’ affollata strada hanno intrattenuto l’atmosfera (a cura di Roberta).

Ore 12:00. La crisi finanziaria del Libano, la sua fragile economia, le possibili strategie d’uscita, l’importanza della diversificazione e delle infrastrutture. Oggi è una giornata di grandi incontri e, quindi, abbiamo il piacere di conoscere Wissam Fattouh, Segretario Generale dell’Unione delle Banche Arabe che ci accoglie nel suo ufficio per un dialogo approfondito. Un’occasione unica di andare a fondo dei problemi reali del Paese grazie anche alle informazioni e ai dati che il Dott. Fattouh ci fornisce e che saranno la base di un successivo articolo.

Ore 11:00. Finito il colloquio con il Prof. Hamze, proseguiamo il nostro tour per Beirut. Abbiamo modo anche di vedere diverse case della vecchia Beirut, oggi sommerse da altri e più alti palazzi.

Ore 10:00. Arriviamo al quartiere sciita. Ad accoglierci c’è un manifesto di Soleimani quindi altri con leaders del radicalismo islamico.

Sulla cosiddetta linea verde, che divide cristiani e musulmani, si vedono ancora le tracce della guerra. Palazzi distrutti e diroccati uno dietro l’altro.

Quindi incontriamo Mouin Hamze, Segretario Generale del CNRS, con cui parliamo della situazione del Libano, a partire dalla crisi del confessionalismo, ma anche del ruolo della cooperazione. Il dialogo completo è disponibile (anche in inglese) qui: Il CNRS Libanese e l’importanza della cooperazione italiana. A colloquio con Mouin Hamze – Il Tazebao

Ore 9:00. Entrando a Beirut è forte l’assenza di urbanistica, di governo e di pianificazione del territorio. Lo spazio è saturo. Le conseguenze non tarderanno a farsi sentire, anche in termini di rischio idrogeologico. Svettano le due ciminiere della centrale elettrica, direttamente attaccata alla città. E poi casermoni vuoti e incompleti vista mare.

2 agosto: una cucina povera per un paese ricco di umanità

Ore 21:00. Continua il nostro viaggio culinario a Byblos. Per cena una nuova avventura in tavola, un’immersione nei sapori, colori e profumi nella cucina del paese del cedro.

Iniziamo subito fumando il narghilè dal gusto limone-menta che dona alla serata un tocco magico. Tra le varie nuvole di fumo dalle indistinte forme e tra un’alternanza di buio-luce, dovuta alla mancanza di gasolio per alimentare i generatori, il cibo fa il suo ingresso: fattoush, una colorata insalata composta da pezzi di khubz (pane piatto arabo) fritti combinati con verdure e spezie miste; baba ganoush, una crema a base di polpa di melanzane; sojok, piccole salsicce piccanti di agnello; fegatini di pollo con melassa di melograno; patate piccanti; makanek, altro tipo di salsiccia fatta di un mix di carni speziate.

Il delicato aroma dell’Almaza, birra libanese, ha accompagnato il tutto e intrattenuto l’atmosfera conviviale. Per cena si è unita a noi anche la moglie di Maroun El-Moujabber, Roula Khadra, Esperta nella Gestione delle Risorse Idriche e membro dell’Arab Water Council (intervenuta al Meeting di Rimini 2021), dai cui discorsi emergeva l’immenso amore che nutre per la sua terra, una terra martoriata ma ricca di umanità ed eccellenze (a cura di Roberta).

Ore 20:00. Pillole di sistema politico libanese. Dopo aver analizzato il confessionalismo (l’intervista a Amin Elias) ero curioso di conoscere il funzionamento dell’amministrazione locale. Ne conversiamo sempre con Maroun, che è stato anche un coraggioso consigliere comunale (carica gratuita e intesa come puro servizio alla comunità), fino a poco prima di un’ottima cena.

A livello locale, ci spiega, si stemperano quelle divisioni che, invece, sono ben presenti a livello nazionale. L’appartenenza religiosa, che pure incide molto e in vario modo, non ha particolare valore. A maggior ragione a Byblos dove le comunità convivono da sempre. Tutto si incentra sull’appartenenza alle famiglie. Più esse sono numerose più c’è corsa a inserire quello o quell’altro candidato così da assicurarsi un pacchetto di voti. A livello locale, infatti, si sostengono i candidati della famiglia o quelli a essa vicini.

Quanto a Maroun parte della sua popolarità, che gli valse appunto l’elezione, deriva dal nonno, fervente cristiano e animato dai valori della Fede, che era solito curare le persone bisognose quasi gratuitamente poiché i pochi proventi venivano donati. Moujabber, ci racconta, significa, infatti, “colui che guarisce”.

Immancabilmente parliamo dei cristiani che fungono da sempre da elemento stabilizzante, da ammortizzatore contro ogni radicalismo.

“Una delle proposte – spiega – che soprattutto i cristiani muovono è un deciso decentramento amministrativo che permetterebbe alle comunità locali di essere protagoniste e di incidere veramente”.

Ore 13:00. Cultura e integrazione alimentare. A pranzo da Maroun. Cucina sua madre, che ci accoglie come figli. Si mangia tutto insieme: non c’è divisione tra primo e secondo. “La nostra – ci spiega Maroun – è una cucina orizzontale”. Oggi pranziamo con la ghamme, una trippa ripiena di riso, ceci, cipolla, tante spezie come la curcuma, carne macinata. Un cibo povero, che sazia, che permette di non buttare nulla: è la tradizione della cucina povera, come la nostra. Che è sempre la più buona. L’accompagnamento è memorabile: una salsa di aglio dolce e acidula al tempo stesso che stempera e accorda i sapori. Ragioniamo di quanto sia importante il cibo nelle culture mediterranee, di quanto esso sia l’apripista verso una completa integrazione tra i popoli.

“Ci dobbiamo concentrare su ciò che ci unisce, non su ciò che ci divide – aggiunge ancora – e il cibo è un terreno perfetto di incontro e di condivisione. Per questo è determinante far conoscere, far apprezzare, far rispettare a chi emigra il cibo del paese di accoglienza e ugualmente far conoscere agli autoctoni la meraviglia delle tradizioni culinarie altrui”.

A conclusione non può mancare il caffè, che è italiano. Italia-Libano.

1° agosto: Byblos e gli amici libanesi

Ore 19:00. Dopo la fitta e caotica densità di Beirut, ci stupisce la varietà di piante, il cangiare dei fiori del centro di Byblos. Ogni angolo è colorato e odoroso. Gli archi e le volte della città vecchia si allietano di rosa e di rosso. Fragranze diverse che prosperano insieme.

Byblos città di cristiani e musulmani. Il clima di pace che si è istaurato tra i popoli nei secoli si respira nell’aria. Al monastero maronita Eglise Saint Jean Marc segue la moschea Sultan Abdul Majid che è pochi metri dalla chiesa Saydet El bouwebe.

«Capitò un giorno di Fenici, scaltra
gente e del mar misuratrice illustre,
rapida nave negra, che infinite
chiudea in sé stessa bagattelle industri».
Odissea, XV, 516 e successivi

Quindi c’è il porto, assiepato di navi fenicie. La luce del giorno si congeda con un tramonto arancio nel porto da cui chissà quanti sono partiti nei millenni.

Ore 10:30. Byblos-Bari. Ci incontriamo con il nostro uomo: Maroun El Moujabber, Senior Officer dell’Istituto Agronomico di Bari del CIHEAM. Lo abbiamo ospitato per la prima volta a febbraio scorso ed è scattata subito una grande amicizia. Stendiamo il programma dei prossimi giorni. Dunque torniamo per un attimo a Beirut. Di giorno ci è ancor più chiara la totale confusione nello sviluppo urbano, la carenza infrastrutturale ma anche l’incredibile convivenza di stili e tradizioni. Mi soffermo anche sulle varie forme di spiritualità spontanea e sincera che si vedono ai bordi delle strade: Madonne, altarini, una riproduzione della Pietà. Passiamo anche dal porto: lo squarcio materiale e spirituale è ancora profondo e dolente.

Ore 1:00. Sbarcati a Beirut è subito un’insufflata. Rumore, odori, smog, clacson. “Benvenuti in Libano” ci dicono. Una confusione totale che ti fa innamorare.

Le mille luci del porto, le case ancora devastate, qualcuna si regge a malapena, le case abbarbicate sulla roccia, le zone al buio intervallate da palazzi glitterati con vetrate tirate a lucido e poi chiazze dense di vegetazione mediterranea. Insegne ovunque: insegne in arabo che fanno il verso a quelle americane. E anche qualche Madonna sbiadita. Intravedo un minareto sulla collina. E ancora, benzinai chiusi ma ci sono pure i rivenditori d’auto. Anche qualche carcassa d’auto non manca. Alla fine arriviamo a Byblos, dove il mare ci accoglie.

31 luglio: volo per Beirut

Ore 14:00. Il primo che incontro è Mohamed. Libanese di Tiro ma abita al Campo di Marte. È mio dirimpettaio e lavora come corriere. Lui è musulmano, sua moglie Federica, romena, è cristiana. “Cristiani e musulmani devono stare insieme. Un paese come il nostro, che è grande poco più della Toscana, non può permettersi più divisioni” mi racconta a Fiumicino. Con gli italiani il legame è forte, gli italiani sono fratelli: “Basta vedere quello che hanno fatto dalle nostre parti con l’ospedale. Mi è capitato di passare alla caserma in via Aretina e molti dei soldati sono stati in Libano”. Quando parliamo dell’attuale Libano, si dispera: “Era un bel paese. Ora è un dramma. Tutti vanno via”. Prima di imbarcarci per Istanbul c’è tempo anche per parlare un po’ di Firenze. Campo di Marte (Firenze) – Beirut.

Firenze-Beirut. Il nostro reportage sul Libano a un anno dall’esplosione del 4 agosto 2020 – Il Tazebao


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