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Una confederazione per uscire dallo stallo del settarismo? A colloquio con l’Avv. Roger Eddé

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Al rientro dal Libano Lorenzo Somigli e Roberta Vaduva hanno intervistato l’Avvocato Roger Eddé sulle sue proposte di riforma.

Il territorio prima della religione. Il territorio è il luogo delle comunità, il luogo dove si sostanziano la vita e i rapporti socioeconomici, dove si sperimentano con successo, da secoli, formule di compresenza, di reciprocità e di collaborazione. Il territorio è il luogo da cui partire per uscire dallo stallo politico e istituzionale che attanaglia il Libano per colpa del confessionalismo secondo Roger Eddé, Avvocato, imprenditore, politico.

Abbiamo avuto il piacere di conoscerlo e di essere ospitati da lui e sua moglie Alice durante il nostro reportage in Libano. L’architettura della loro meravigliosa casa e il giardino armonico ben sintetizzano i rapporti che si sono costruiti nei secoli tra Italia e Libano (merito di Faccardino). Roger ci aveva accennato ad alcune proposte di riforma delle Istituzioni. Lo abbiamo contattato poco dopo il nostro rientro per proseguire insieme quelle riflessioni così stimolanti.

Lorenzo Somigli e Roberta Vaduva incontro con Roger Eddé

Per gli stati fortemente divisi al loro interno, come il Libano, l’opzione confederale si è dimostrata l’unica via d’uscita dallo stallo, prima della disgregazione definitiva. “La nostra storia ci ha reso una repubblica delle minoranze. Abbiamo accolto perseguitati, come gli Sciiti durante gli Abbassidi e altri perseguitati, che hanno trovato casa soprattutto nel Sud, provenienti dalla Persia. Il nucleo del nostro stato nasce alla fine di un terribile massacro tra sunniti e maroniti nell’Ottocento. Al momento della nascita del Libano per volontà della Società delle Nazioni ci volle la presenza del patriarca dei Maroniti e del Muftì sunnita per tenerci uniti e per rimarcare la nostra appartenenza al mondo arabo. Questo percorso storico ha fatto sì che ognuno senta il legame alla propria comunità religiosa molto più forte di quella alla nazione. Questo è un problema che dobbiamo risolvere”.

Una via d’uscita può essere valorizzare di più il rapporto con il proprio territorio attraverso una riforma in senso confederale del Libano.

Roger, che intorno a sé ha radunato un gruppo eterogeneo di esperti e professionisti, è da sempre propugnatore di una riforma complessiva del sistema politico libanese.

“Bisogna archiviare quello che a tutti gli effetti è un sistema di privilegi che garantisce ad alcuni guadagni e rendite di posizione tenendo larga parte del popolo esclusa. Chiamiamo questa mafia al Manzouma”.

Roger ci riferisce di come anche in precedenza ci siano stati dei tentativi di riforma che non hanno dato i risultati attesi. L’avvocato chiede che il Libano venga dichiarato Stato fallito: “In questo modo verrebbero liquidati governo e parlamento. Verrebbe nominato un governo di transizione, composto di figure autorevoli, chiamato a trattare con le istituzioni internazionali un programma di riforme”.

Prima di qualunque tipo di riforma è opportuno risolvere il problema delle milizie irregolari disseminate nel paese.

“Molte comunità si sono dotate di proprie milizie, che adesso devono essere tutte disarmate. Quanto a Hezbollah, non possiamo tollerare la presenza di uno stato nello stato, che opera come il padrino della mafia. Bisogna implementare la risoluzione 1599 e disarmare Hezbollah”. Per inquadrare il problema della presenza di Hezbollah cita anche la notizia, evidenziata dal Jerusalem Post il 14 agosto e ripresa da larga parte dei media mediorientali, della fitta rete di tunnel, che consentono anche il passaggio di motociclette e mezzi, costruita sotto tutto il Libano che è addirittura “più grande di quella di Hamas a Gaza”. Questa rete, costruita all’incirca dopo il 2006 con il finanziamento di Iran e Corea del Nord, serve ad Hezbollah per muovere le truppe dal quartier generale di Beirut alla valle della Beqaa e al sud del Libano. La notizia si evince da un dettagliato report dell’israeliano ALMA Center.

Tornando alla riforma questa non può prescindere da due passaggi: “Il nuovo parlamento dovrebbe avere il mandato preciso di abolire il confessionalismo e di aprire alla decentralizzazione multilivello del potere, ovvero municipale e distrettuale”.

La decentralizzazione deve avvenire su base geografica: “Possiamo affermare con sicurezza, e gli esempi non mancano, che il sistema centralizzato è il principale ostacolo alla prosperità del Libano. Viceversa, nelle comunità locali ci sono le risorse sociali, politiche, intellettuali, il capitale sociale adatto per ridare slancio alla nostra terra. Nella mia visione i distretti sarebbero il nucleo di autogoverno locale della confederazione”.

Al governo centrale rimane la politica estera, il coordinamento e l’armonizzazione delle politiche locali, l’esercito. Una formula “ispirata dall’esempio svizzero ma figlia della storia del Libano”.

Si tratterebbe di una “transizione pragmatica” che necessita, come accompagnamento, di una nuova legge elettorale ispirata al doppio turno francese che “ha garantito un governo moderato”. A fronte di una legge elettorale che, comunque, comprime la volontà degli elettori al secondo turno premiando chi è meno lontano dalle proprie posizioni, Roger consiglia per le assemblee elettive come quelle locali, il proporzionale così da “dare piena rappresentanza a tutte le componenti della società”. Anche questi dettagli fanno parte di un principio del “check and balance” che Roger richiama spesso.

In linea con questo principio è basilare la garanzia di indipendenza della magistratura che altrimenti non può operare per il bene dei cittadini.

Un caso emblematico, racconta Roger, è quello delle indagini sulla drammatica esplosione al porto di Beirut, per la quale non sono stati ancora individuati i colpevoli, anche a causa delle difficoltà di indagare e delle frequenti intromissioni del potere politico (è una richiesta anche dei “club laici” nelle università). E a proposito del porto di Beirut Roger ci racconta: “La vicenda del porto di Beirut è oltremodo emblematica di come sia amministrato il nostro paese. Fino al 1999 il porto era gestito da privati e funzionava. Poi il governo lo ha ripreso e lo ha affidato ad una commissione, che tutt’ora è attiva, e che non si sa bene cosa abbia prodotto. Di sicuro ha distratto i proventi del porto e di sicuro non ha saputo controllare come avrebbe dovuto quel magazzino”.

Per rompere questo meccanismo distorto e disfunzionante ci vuole una riforma coraggiosa affinché “il cittadino torni ad essere pienamente inserito nei meccanismi decisionali, incida concretamente nel governo del territorio che gli risponderà direttamente, senza mediazioni e anticamere. Sa dove e come vengono spese le sue tasse e può protestare direttamente quando ciò non lo convince. Un cambiamento epocale rispetto ad ora: solo così inizieremo a percepirci libanesi e ad avere a cuore il bene comune”.

Le nostre interviste

La crisi del Libano e le possibili vie d’uscita secondo Wissam Fattouh (Unione delle Banche Arabe) – Il Tazebao

Il CNRS Libanese e l’importanza della cooperazione italiana. A colloquio con Mouin Hamze – Il Tazebao

English version

Does Lebanon need a confederation to break the deadlock of sectarianism? A chat with lawyer Roger Eddé

Territory before religion. The territory is the place of communities, the place where life and socio-economic relations are substantiated, where formulas of coexistence, reciprocity and collaboration have been successfully experimented for centuries. According to Roger Eddé, lawyer, entrepreneur and politician, the territory is the starting point for overcoming the political and institutional deadlock in Lebanon caused by confessionalism.

We had the pleasure of meeting and being hosted by him and his wife Alice during our reportage in Lebanon. The architecture of their wonderful house and the harmonious garden summarise the relationships built up over the centuries between Italy and Lebanon. Roger had mentioned to us some proposals to reform the institutions. We contacted him shortly after our return to continue these stimulating reflections together.

For internally divided states, such as Lebanon, the confederal option has proved to be the only way out of the stalemate before the final break-up. “Our history has made us a republic of minorities. We have taken in persecuted people, such as the Shiites during the Abbasids, and other persecuted people, who found a home mainly in the south, from Persia. The core of our state was born at the end of a terrible massacre between Sunnis and Maronites in the 19th century. When Lebanon was created by the League of Nations, it took the presence of the Maronite patriarch and the Sunni mufti to keep us united and to underline our belonging to the Arab world. This historical path has meant that everyone feels the bond to their religious community much stronger than that to the nation. This is a problem that we have to solve”.

Lebanese impasse: a way out – Il Tazebao

One way out could be to enhance the relationship with its territory through a confederal reform of Lebanon.

Roger, who has gathered around him a diverse group of experts and professionals, has always advocated a comprehensive reform of the Lebanese political system.

“We have to put an end to what is effectively a system of privileges that guarantees a few privileges and income while excluding a large part of the population. We call this mafia al Manzouma”.

Roger tells us that there have also been previous attempts at reform that have not yielded the expected results. The lawyer calls for Lebanon to be declared a failed state: “This would liquidate the government and parliament. A transitional government would be appointed, made up of authoritative figures, which would be called upon to negotiate a programme of reforms with international institutions”.

Before any kind of reform, the problem of the irregular militias scattered throughout the country must be resolved.

“Many communities have their own militias, which must now all be disarmed. As for Hezbollah, we cannot tolerate the presence of a state within a state, operating like the godfather of the mafia. Resolution 1599 must be implemented, and Hezbollah must be disarmed. In order to frame the problem of Hezbollah’s presence, he also mentions the news, highlighted by the Jerusalem Post on 14 August and taken up by a large part of the Middle Eastern media, of the dense network of tunnels, which also allow the passage of motorbikes and vehicles, built underneath the whole of Lebanon, which is even “bigger than that of Hamas in Gaza”. This network, built roughly after 2006 with funding from Iran and North Korea, is used by Hezbollah to move troops from its headquarters in Beirut to the Beqaa Valley and southern Lebanon. This was revealed in a detailed report by the Israeli ALMA Center.

“The new parliament should have a clear mandate to abolish confessionalism and open up the multilevel decentralisation of power, i.e. municipal and district power.

Decentralisation must take place on a geographical basis: “We can safely say, and there are plenty of examples, that the centralised system is the main obstacle to prosperity in Lebanon. On the contrary, in the local communities there are the social, political, intellectual resources, the right social capital to give our land a new impetus. In my vision, the districts would be the core of local self-government of the confederation”.

Foreign policy, coordination and harmonisation of local policies and the army would remain with the central government. A formula “inspired by the Swiss example, but daughter of Lebanon’s history”.

This would be a “pragmatic transition” that would require, as an accompaniment, a new electoral law inspired by the French double turn that “has guaranteed a moderate government”. Faced with an electoral law that, in any case, compresses the will of the electorate in the second round by rewarding those who are less distant from their positions, Roger recommends, for elected assemblies such as local ones, the proportional system so as to “give full representation to all the components of society”. These details are also part of a ‘check and balance’ principle that Roger often refers to.

In line with this principle, it is essential to guarantee the independence of the judiciary, which otherwise cannot work for the good of the citizens.

An emblematic case, says Roger, is that of the investigation into the dramatic explosion at the port of Beirut, for which the culprits have not yet been identified, partly because of the difficulties of investigating and the frequent meddling of political power. About the port of Beirut, Roger tells us: The case of the port of Beirut is very emblematic of how our country is run. Until 1999, the port was privately managed, and it worked. Then the government took it over and entrusted it to a commission, which is still active, and we don’t really know what it has produced. It has certainly misappropriated the port’s income and it has certainly not been able to control the warehouse as it should have done”.

To break this distorted and dysfunctional mechanism, a courageous reform is needed so that “the citizen is once again fully involved in decision-making mechanisms, has a concrete impact on the government of the territory, which answers to him directly, without mediation and antechamber. He knows where and how his taxes are spent and can protest directly when he is not convinced. This is an epoch-making change compared to now: only in this way will we begin to perceive ourselves as Lebanese and to have the common good at heart”.


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