“L’Italia esporta da sempre una cultura della cooperazione”. Lorenzo Somigli a L’Italia Futura

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Sabato 11 settembre Lorenzo Somigli è intervenuto all’evento L’Italia Futura di Francesco Giubilei trattando degli esteri.

“Grazie ai presenti, grazie a chi è intervenuto prima di me, grazie soprattutto a Francesco Giubilei per avermi invitato e per avermi chiesto di trattare di un tema che da sempre mi è caro. Eventi come questo, in un momento di profonda contrazione della cultura, sono essenziali, al pari dei luoghi di elaborazione di pensiero che ci possono offrire un dissenso ragionato, di cui democrazie che ambiscano a dirsi mature non possono privarsi.

Per cercare di parlare di estero con completezza – ciò che non si sforza di fare quasi mai la stampa italiana insomma – dobbiamo partire da alcuni concetti essenziali. Uno. Ciò che succede là molto probabilmente produce conseguenze sui vicini e, quindi, potrebbe manifestarsi, in altre forme, in altri tempi, anche qui. La nostra regione, la Toscana, è cerniera tra il Nord e il Sud di una Penisola ormeggiata in un mare, e che mare! Due. Per capire cosa succeda là e perché dobbiamo esserci altrimenti ogni riflessione si altera. Ultima ma non meno determinante: sebbene non conosciamo i popoli che vivono fuori, non è detto che siano incivili o barbari, forse dovremmo fare lo sforzo di capirli, di capire che certi aspetti che ci sembrano anomali sono frutto di processi storici. E questo dovrebbe aiutarci a capire la difficoltà di applicare i nostri modelli, frutto dei nostri processi, ad altri luoghi che risentono di opposte dinamiche.

Non sono concetti nuovi quelli che ho illustrato poco fa. Ce li ha insegnati il padre di tutti i corrispondenti esteri nostrani: Luigi Barzini. Eminente collega finito un po’ troppo nel dimenticatoio per una sua, tardiva per altro, adesione al Fascismo. Il suo resoconto dell’Estremo Oriente a inizio del Novecento è una pagina di giornalismo da riscoprire e tramandare. Lui arriva nella Cina sconvolta dalla rivolta dei Boxers. Scopre il Giappone che, dopo le navi nere e la baia di Shimonoseki, sta evolvendo verso potenza e mette i semi del futuro impero. E poi seguirà la guerra tra Russia e Giappone culminata nell’immane massacro di Mukden. Una guerra così lontana e ugualmente così vicina, come sarà. Ecco cosa voglia dire fare bene il mestiere di giornalista!

Fedele a questa linea, ho avuto il piacere di visitare il Libano questa estate per un reportage dettagliato. Abbiamo vistato il Nord e il Sud, la montagna, il deserto e il mare, abbiamo conosciuto musulmani drusi, cristiani maroniti, giovani e meno giovani. Abbiamo seguito le proteste del 4 agosto a Beirut (mi sono preso anche il gas dei gentilissimi gendarmi libanesi), a un anno dalla drammatica esplosione del porto. Lasciatemi dire, contrariamente a un’immagine piatta e banale che ci hanno fornito i nostri media, spesso non presenti sul posto, ho visto un popolo vivo, dinamico, arrabbiato ma composto nell’infinito dolore. E se qualcuno si indigna perché qualche pietra è stata lanciata (ricordiamo che le vittime non hanno ancora giustizia) domandiamogli perché non è sceso in piazza per la tragedia di Ponte Morandi. È necessario, insomma, guardare al Libano poiché è la cartina di tornasole del Medioriente: ciò che succede là si ripresenta qui, se la temperatura sale lì è molto probabile salga pure da noi.

Vengo dunque anche all’Afghanistan. Premetto che non ho visitato l’Afghanistan e che quindi non posso essere esatto in quel che dico. Ho parlato con gli afghani, con chi è stato lì, con chi ha conosciuto Bin Laden. Vorrei da un lato mettere in guardia da questa ipotesi dell’impantanamento: l’Impero Americano sa perfettamente quali sono i suoi confini, ha valutato di agire così in ragione nella necessità di concentrarsi sull’Indo-Pacifico. Mi fa simpatia – diciamo così – questa pretesa, inoltre, del cofirmatario della lettera Trichet, che silurò Berlusconi (mi scuserete ma ancora non mi è passata), di farsi guida morale della NATO proponendo un nuovo G20 sull’Afghanistan. Abbiamo Turchi e Russi alle porte, al Canale di Sicilia, preoccupiamoci prima dei problemi nel giardino di casa prima di vagheggiare la grande geopolitica.

Concludo così: un futuribile governo di Centrodestra, ammesso esista ancora questa coalizione – e non è così scontato – dovrebbe impegnarsi per recuperare una politica estera coerente valorizzando quella che da sempre è nostro gioiello: la cooperazione. L’Italia, ricordiamo, esporta da sempre, oserei dire, naturalmente una cultura della cooperazione che tutti ci riconoscono e apprezzano”.

L’intervento è disponibile qui: Radio Radicale – L’Italia Futura


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