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La ‘Palestina’: collante della politica israeliana

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L’approfondimento de Il Tazebao dopo la recrudescenza degli scontri e sempre consultando le fonti estere.

Come già riportato nell’articolo precedente, “Gerusalemme Est: il finto pomo della discordia”, il Ramadan è sempre un periodo delicato. E quando la tua casa è in territorio ebraico, il Ramadan riguarda anche te da vicino, volente o nolente.

La comunità internazionale ha recentemente assistito all’espulsione forzata di famiglie palestinesi dalle loro case nel quartiere dello Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est e agli attacchi contro il complesso della moschea Al-Aqsa dove la polizia israeliana ha sparato proiettili di gomma e granate stordenti mentre i palestinesi lanciavano pietre e bottiglie. Il complesso della moschea Al-Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme è uno dei luoghi più venerati dall’Islam, ma, a causa della sua posizione, è anche il sito più sacro dell’Ebraismo, conosciuto come il Monte del Tempio. Il sito è un frequente terreno di scontro fra le due fedi religiose; la violenza, accelerata dalla pesante spiritualità che contraddistingue il luogo, si è dispiegata nuovamente venerdì sera dopo che migliaia di palestinesi si erano radunati per osservare l’ultimo venerdì del mese santo del Ramadan.

A volte, in passato, quando la violenza divampava sul Monte del Tempio, si poteva chiedere alla Giordania, con il suo ruolo storico di custode dei siti sacri ‘non ebraici’ della città, di intervenire e aiutare a calmare la situazione. Ma oggi, le relazioni tra Gerusalemme e Amman sono al minimo, e il re Abdullah II, travolto da problemi personali interni al proprio regno, è improbabile che faccia quel miglio in più e aiuti Israele ad uscire da una situazione difficile.

Reazione internazionale: si alza la voce, ma si guarda altrove

Un portavoce del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha detto che Washington era “profondamente preoccupata per le tensioni accentuate” [1]. L’Unione Europea ha condannato la violenza e ha detto che “i colpevoli di tutte le parti devono essere ritenuti responsabili”. [2]

Il coordinatore speciale delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, Tor Wennesland, ha esortato tutte le parti a “rispettare lo status quo dei luoghi santi nella Città Vecchia di Gerusalemme nell’interesse della pace e della stabilità. I leader politici e religiosi devono agire ora.” [3] Sempre le Nazioni Unite hanno esortato Israele ad annullare qualsiasi sfratto e impiegare “massima moderazione nell’uso della forza” contro i manifestanti.

Il segretario generale della Lega araba, Ahmad Abul Gheit, ha condannato “con la massima fermezza” [4] l’assalto degli agenti della polizia di Israele alla moschea di al-Aqsa e l’attacco ai fedeli che stavano pregando all’interno dell’edificio sacro. Dura condanna nei confronti del governo del premier Benjamin Netanyahu, anche dalla Turchia, dalla Giordania, dal Kuwait, dall’Arabia Saudita, dall’Egitto e dall’Organizzazione per la cooperazione islamica.

Reazione interna: l’opposizione si fa governo

La situazione politica interna sia per Israele, reduce da recenti elezioni infruttifere, sia per i territori palestinesi dove Mahmoud Abbas ha cancellato le tanto attese elezioni per paura di una non così lontana vittoria di Hamas nonché per dissensi all’interno della stessa Fatah, è un caos altalenante. Il governo israeliano a guida Netanyahu è in cerca di nuovi trofei: dopo il successo, soprattutto personale, della campagna vaccinale, Bibi vuole completare il processo di annessione della Cisgiordania possibilmente prima della formazione, sempre più improbabile, dell’ennesimo governo a guida Likud (ricordiamo come ‘la questione palestinese’ non sia stata tema delle elezioni israeliane). Per raggiungere questo obiettivo è disposto a dialogare con tutti in una prima fase, e a collaborare con tutti in una seconda, offrendo ai suoi avversari (e non ne sta risparmiando uno) e futuri partner di coalizione un governo collegiale a rotazione. Ciononostante, il fantasma delle urne aleggia sullo stato ebraico.

Come ben rimarca Elijah J. Magnier [5] nel suo artico “Perché Hezbollah ha indetto una mobilitazione generale in Libano?”:

“Il fatto che Israele, in questo momento, non abbia un governo dà al primo ministro Benjamin Netanyahu piena libertà di fare tutto quello che lui ritiene essenziale per cercare di aumentare le possibilità di essere rieletto”.

La stessa opposizione israeliana, in questi giorni di forte tensione, appoggia l’attuale governo Netanyahu: Lapid giura di sostenere il governo di transizione guidato da Netanyahu “nella guerra contro i nemici di Israele” [6], Bennett, che sta tenendo colloqui con Lapid sulla formazione di un governo che vedrà i due emergere come premier, ha chiesto all’attuale governo di rispondere con un “pugno di ferro”.

“Chi mette gli israeliani nei rifugi deve sapere che se ne pentirà”, ha scritto Bennett su Twitter. “Sosterremo una risposta decisa da parte del governo israeliano.” [7] Il capo di Nuova Speranza, Sa’ar, che è anche in trattative con Lapid e Bennett, ha anche pubblicato un tweet che chiede una forte risposta all’ “aggressione di Hamas”. “Sosterremo le decisioni del governo che porteranno a questo” [8], ha specificato.

Liberman, che si è dimesso come ministro della difesa di Netanyahu nel 2018 per protestare contro ciò che ha definito essere una risposta insufficientemente forte al lancio di razzi da Gaza, ha colpito il primo ministro proprio come un razzo!

“Ancora una volta, è stato dimostrato che la politica di risoluzione di Netanyahu è un linguaggio che imbianca una politica di resa al terrore che porta conseguenze dolorose”. “Ora dobbiamo concentrarci sul ripristino della sicurezza dello Stato di Israele e mettere la questione in cima all’agenda.” [9]

L’autorità religiosa sionista Bezalel Smotrich di estrema destra, si è opposto ad affidarsi a Ra’am, ha bloccato Netanyahu dal formare un tale governo, ha lanciato un nuovo appello a Bennett e Sa’ar per unire le forze con il blocco dell’attuale premier.

“Mettete tutto da parte e formiamo oggi un governo di emergenza. Tutto il resto può aspettare”, ha twittato Smotrich. [10]

L’homo novus: Mansour Abbas

L’ormai famoso e decisivo leader arabo, Mansour Abbas, il “kingmaker” delle elezioni israeliane, sta dialogando con tutte le parti in gioco per formare un governo e la sua presenza è indispensabile. Abbas non ha escluso la possibilità di unirsi a un potenziale governo di coalizione con il partito di destra Likud del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, anche se questa coalizione includesse il partito di estrema destra Sionismo religioso.

La volontà del politico palestinese-israeliano di cooperare con l’intero spettro politico israeliano si è dimostrata controversa.

Più recentemente, Abbas ha attirato la condanna dei palestinesi dopo che è stato citato dai media ebraici [11] dicendo che le vittime israeliane di una sparatoria in un checkpoint in Cisgiordania questo mese erano “innocenti”. Abbas è stato anche precedentemente citato dalla televisione israeliana Channel 12 [12] riferendosi ai prigionieri politici palestinesi come “terroristi”.

Un gruppo di famiglie palestinesi che stanno affrontando l’espulsione dalle loro case nella Gerusalemme Est occupata ha rifiutato di incontrare il leader arabo, giustificando il rifiuto con il fatto che è “alleato” con la destra israeliana. [13]

Abbas ha annunciato [14] che di aver sospeso i colloqui per verificare la possibilità di formare una coalizione con il “blocco del cambiamento” dei partiti anti-Netanyahu dopo che i terroristi palestinesi nella Striscia di Gaza hanno sparato una raffica di razzi verso Gerusalemme e le comunità del confine meridionale di Israele, in un colpo potenzialmente importante agli sforzi dei partiti che si oppongono a Netanyahu per formare un governo.

Il leader del Ra’am doveva incontrarsi con Lapid e Bennett prima del lancio dei razzi, ma l’incontro è stato ritardato, apparentemente a causa dei grandi scontri scoppiati al mattino tra i rivoltosi palestinesi e la polizia sul Monte del Tempio, scontri seguiti ore dopo dalle raffiche di razzi.

Un importante intellettuale arabo-palestinese ed ex membro della Knesset Azmi Bishara [15] ha accusato Israele di voler trasformare Gerusalemme Est in un “ghetto” arabo, tra la minaccia di sfratto dei palestinesi per far posto ai coloni israeliani nel quartiere di Sheikh Jarrah e il continuo assalto delle forze israeliane ai fedeli della moschea di Al-Aqsa. Azmi Bishara, che ora dirige il Centro arabo per la ricerca e gli studi politici a Doha, ha detto al canale affiliato a The New Arab, Syria TV [16], che dal 1968, Israele ha costruito un gruppo di insediamenti a Gerusalemme est progettati per circondare i quartieri palestinesi della città, come Sheikh Jarrah e Silwan.

I gruppi di coloni, ha detto, sono finanziati da donatori americani pro-Israele [17] e sostenuti dal governo di destra di Israele, aggiungendo che la legge israeliana è stata “progettata per confiscare la terra degli arabi” [18]. Bishara ha aggiunto che i recenti accordi di normalizzazione di Israele con paesi arabi come gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrein e il Marocco lo hanno incoraggiato a intraprendere azioni più aggressive a Gerusalemme.

“Ogni volta che i governi arabi si muovono nella direzione di Israele e della normalizzazione, il divario tra questi governi e i loro popoli cresce”, ha detto Bishara, aggiungendo che l’opinione pubblica del mondo arabo sostiene i palestinesi non perché sono vittime di Israele, ma perché si battono per i loro diritti.

La giornalista libanese Raghida Dergham, in un’intervista rilasciata il 15 aprile 2021 per il canale libanese OTV, ha gridato forte e chiaro come “il finto pomo della discordia”, Gerusalemme Est non verrà restituita ai palestinesi, anche se è quanto spetta loro.

“Come arabi, non possiamo continuare a dire ai palestinesi, dall’esterno, che devono continuare ad essere umiliati dall’occupazione finché non restituiscono Gerusalemme. Noi tutti desideriamo che arrivi il giorno in cui Gerusalemme torni ai palestinesi, ma questo non accadrà. Non accadrà. Continuerete a tenere le generazioni palestinesi in ostaggio per l’eternità? No.” [19]

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[1] Yolande Knell, “Al-Aqsa Moscque: Dozens Hurt in Jerusalem Clashes”, BBC News del 9/05/2021.

[2] Ibidem.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Elijah J. Magnier, “Perchè Hezbollah ha Indetto una Mobilitazione Generale in Libano?”, del 09/05/2021.

[6] Alexander Fulbright, “Ra’am Freezes Coalition Talks with ‘Change Bloc’, amid violence”, The Times of Israel del 10/05/2021.

[7] Ibidem.

[8] Ibidem.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] The New Arab Staff, “Sheikh Jarrah Families Refuse Meeting with Palestinian- Israeli ‘Kingmaker’ Politician”, The Arab News del 09/05/2021.

[12] Ibidem.

[13] Ibidem.

[14] Alexander Fulbright, “Ra’am Freezes Coalition Talks with ‘Change Bloc’, amid violence”, The Times of Israel del 10/05/2021.

[15] Amzi Bishara nasce a Nazareth nel 1956. Nel 1995 ha formato il partito Balad ed è stato eletto alla Knesset nella sua lista nel 1996. È stato poi rieletto nel 1999, 2003 e 2006. Tuttavia, dopo aver visitato il Libano e la Siria all’indomani della guerra del Libano del 2006, Bishara divenne oggetto di un’indagine penale per atti di presunto tradimento e spionaggio e fu sospettato di aver fornito informazioni mirate a Hezbollah. Dopo essere stato privato della sua immunità parlamentare, fuggì da Israele, negando le accuse e rifiutando di tornare, sostenendo che non avrebbe ricevuto un processo equo. Da allora Bishara si è stabilito in Qatar dedicandosi al lavoro intellettuale.

[16] The New Arab Staff, “Israel Seeks to Turn Arab Jerusalem into Ghetto: Bishara”, The Arab News del 10/05/2021.

[17] Ibidem.

[18] Ibidem.

[19 ] OTV (Lebanon), “Lebanese Journalist Raghida Dergham: I Support Normalization And Peace With Israel Once Borders Are Demarcated; There Is No Shame In Peace; Jerusalem Will Not Be Returned To Palestinians”, del 15/04/2021.


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