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Gerusalemme Est, il finto pomo della discordia

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La notizia del 25 settembre 2020 [1] che Fatah e Hamas, al termine di una lunga negoziazione tenutasi ad Ankara, abbiano raggiunto un accordo di massima per lo svolgimento di elezioni generali da tenere nei primi sei mesi del 2021, apre nuovi spazi per il futuro istituzionale palestinese, lasciando intravedere, forse per la prima volta, spiragli possibili per avviare a soluzione le criticità insite nell’attuale assetto istituzionale.

Mahmoud Abbas ha fissato, già dal 15 gennaio, tre tornate elettorali da tenersi entro l’estate:

  1. rinnovo del Parlamento il 22 maggio;
  2. elezione del Presidente dell’Autorità Palestinese il 31 luglio;
  3. il 31 agosto rinnovo del Consiglio Nazionale dell’OLP che rappresenta i Palestinesi a livello internazionale.

Le elezioni di maggio e di luglio riguardano i palestinesi che vivono in Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est: circa di 2 milioni e mezzo [2] di persone chiamate a rinnovare le cariche legislative ed esecutive riguardanti il loro territorio; eleggeranno il PLC, Consiglio Legislativo Palestinese, ovvero il Parlamento, e il presidente dell’Autorità Palestinese.

L’elezione di agosto richiama al voto tutto il mondo palestinese fuori della Palestina chiamato ad eleggere il PNC: Consiglio Nazionale Palestinese, organo legislativo dell’OLP, Movimento per la Liberazione della Palestina.

Il Parlamento Palestinese

L’assemblea si compone di 132 membri [3]. Le prime complicazioni nel corso della preparazione dell’elezione riguardano la formazione delle liste perché ciò riverbera effetti sulla successiva elezione del Presidente. I due maggiori partiti: Fatah, di Abbas (in Cisgiordania), e Hamas (con la lista “Jerusalem is our Goal”, Gerusalemme è il nostro obiettivo), il cui leader in Gaza è Yehiya Sinwar, sono concordi sulla convocazione elettorale ed in esplorazione della possibilità di presentare una lista unica avendo Hamas preannunciato che non presenterà candidati contro Abbas nell’elezione presidenziale (da sottolineare che la spinta finale alla riconciliazione fra i due, nemici dalla vittoria di Hamas del 2006, si deve al piano di pace, meglio noto come Accordi di Abramo, fortemente sbilanciato in favore di Israele, presentato dall’amministrazione Trump.)

Intanto è emerso un terzo polo politico (lista Freedom, Libertà) intorno a un personaggio che vanta una prestigiosa parentela: Nasser Al-Kidwa nipote di Yasser Arafat. È membro di Fatah e capeggia una fazione avversa alla ricandidatura presidenziale di Abbas.

Mahmoud Abbas ha 85 anni e gode di instabile salute; è il padre storico della causa palestinese, ma la sua lunga persistenza al potere doppiata dalla simile persistenza di Netanyahu in Israele ha creato uno stallo.

Al centro della rivalità fra Abbas e Al-Kidwa c’è una personalità sulla quale converge il convinto sostegno popolare in tutti i sondaggi: Marwan Barghouti. Nato in Cisgiordania, membro di Fatah, detenuto in Israele con 5 ergastoli da scontare, è considerato il Nelson Mandela palestinese. Abbas lo vuole nella lista di Fatah per rafforzarne la fortuna, ma anche per tenere Barghouti lontano dalla corsa per la presidenza; come incentivo gli ha offerto la possibilità di scegliere 10 candidati al Parlamento che godano della sua fiducia [4]. Al-Kidwa parimenti, lo invita ad aderire alla sua lista e successivamente candidarsi alla Presidenza. Le visite in carcere dei rappresentanti di entrambe le liste si susseguono in modo frenetico. La lista Freedom, di cui lo stesso al-Kidwa è capolista, vede al secondo posto Fadwa Barghouti, avvocato e membro del consiglio rivoluzionario di Fatah, nonché moglie di Marwan.

L’altra lista concorrente, denominata Futuro, è affiliata all’ex leader di Fatah in Gaza: Mohammed Dahlane. Su di lui converge una giustificata e condivisa ostilità: il politico più divisivo e una sorta di deus ex machina del panorama palestinese, grand commis d’Israele e delle monarchie del Golfo. [5]

Il presidente Abbas, dopo un accordo intervenuto fra Fatah e Hamas [6], ha emesso il decreto che istituisce il tribunale (4 giudici della Cisgiordania, 4 della Striscia di Gaza e 1 di Gerusalemme Est) che esaminerà eventuali casi di contestazioni elettorali, ma una serie di impegni devono ancora essere formalizzati. Per esempio, si parla di abbassare l’età dei candidati, aumentare la percentuale delle candidature femminili, abbassare le tasse per l’iscrizione delle liste partecipanti (ora $ 20.000), decidere quale forza di polizia sorveglierà le cabine elettorali a Gaza. Infine, si deve discutere la questione delle elezioni presidenziali.

L’eterna questione di Gerusalemme Est

There will be no elections without Jerusalem” [7]

 

(“Non ci saranno elezioni senza Gerusalemme”).

Uno dei problemi da affrontare è quello degli arabi residenti a Gerusalemme Est sotto occupazione israeliana. L’ONU e i principali paesi occidentali non hanno mai riconosciuto l’annessione di Gerusalemme est a Israele.

“As part of the effort to prepare the Palestinian public for the announcement, PA officials on Tuesday claimed Israel has “verbally informed” the Palestinian leadership of its refusal to allow the elections to take place in Arab neighborhoods under Israeli sovereignty in Jerusalem”. [8]

 

(“Come parte dello sforzo di preparare l’opinione pubblica palestinese per l’annuncio, i funzionari dell’Autorità Palestinese, martedì hanno affermato che Israele ha “informato verbalmente” la leadership palestinese del suo rifiuto di permettere che le elezioni si svolgano nei quartieri arabi sotto la sovranità israeliana a Gerusalemme”).

Questo è quanto riporta The Jerusalem Post in data 27 aprile 2021. Sullo stesso giornale, fra le righe scritte dal giornalista Khaled Abu Toameh, si può leggere come diverse fazioni e candidati palestinesi abbiano espresso forte opposizione al rinvio o alla cancellazione delle elezioni. Accusano Abbas di usare cinicamente la disputa sul voto a Gerusalemme come scusa per non tenere le elezioni.

Secondo fonti palestinesi, Abbas ha informato l’Egitto, la Giordania, il Qatar e altri paesi arabi della sua intenzione di ritardare le elezioni fino a nuovo avviso a causa del presunto rifiuto di Israele di permettere agli arabi di Gerusalemme di votare all’interno della città.

Molti palestinesi, tuttavia, sono convinti che la profonda crisi di Fatah sia la ragione principale dietro la paura di Abbas di tenere le elezioni. La competizione, per Abbas, è tutta interna a Fatah come per Netanyahu la competizione si è giocata tutta a destra. Per quanto riguarda Abbas, la vera sfida che sta affrontando è quella dei leader veterani di Fatah come Kidwa, Barghouti e Dahlan. È particolarmente preoccupato che molti altri attivisti di Fatah si siano uniti all’alleanza Kidwa-Barghouti e al campo di Dahlan.

Annullare o posticipare le elezioni intensificherà maggiormente l’ostilità dentro Fatah e alienerà la fazione dei Senior leali ad Abbas dentro Fatah stessa, in particolare Jibril Rajoub. Segretario generale del Comitato centrale di Fatah, il più alto organo decisionale della fazione, Rajoub è stato l’ingegnere dell’accordo con Hamas per tenere le elezioni generali attese da tempo. Secondo fonti palestinesi, sperava che il riavvicinamento di Fatah-Hamas avrebbe rafforzato la sua posizione tra i palestinesi e migliorato le sue possibilità di succedere all’ottantacinquenne Abbas.

Rajoub sperava di prendersi il merito di aver posto fine alla disputa Fatah-Hamas, di aver riunito la Cisgiordania e la Striscia di Gaza e di aver organizzato le prime elezioni generali in 15 anni. Hussein al-Sheikh, capo dell’Autorità generale dell’Autorità Palestinese per gli affari civili, e Majed Faraj, capo del Servizio di intelligence generale dell’Autorità, si sono opposti agli sforzi di Rajoub per raggiungere la “riconciliazione nazionale” [9] con Hamas e tenere nuove elezioni nelle attuali circostanze. Sheikh e Faraj, insieme ad alcuni membri veterani del Comitato Centrale di Fatah, si dice siano anche diffidenti nei confronti della crescente influenza di Rajoub su Abbas.

Gli analisti politici palestinesi [10] ritengono che la cancellazione delle elezioni eroderà ulteriormente la fiducia dell’opinione pubblica palestinese in Abbas e Fatah. I sondaggi di opinione hanno dimostrato che più del 60% dei palestinesi vorrebbe vedere Abbas dimettersi.

Trentasei liste si sono iscritte alle elezioni del 22 maggio con la speranza di rilanciare la vita parlamentare in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Il PLC (il Consiglio Legislativo Palestinese) è rimasto paralizzato dall’acquisizione da parte di Hamas della Striscia di Gaza nell’estate del 2007. La maggior parte di queste liste si sono già pronunciate contro la possibile cancellazione delle elezioni, definendolo un “crimine” contro la democrazia palestinese (dubbing it a “crime” against Palestinian democracy.) [11]

Annullando le elezioni, Abbas fornirà ai suoi rivali politici e critici una scusa per mettere in discussione il suo diritto di prendere decisioni importanti a nome dei palestinesi, in particolare alla luce delle discussioni su una possibile ripresa dei negoziati di pace con Israele. Eletto nel 2005 per un mandato di quattro anni, esteso successivamente per altri 12 anni, Abbas è stato a lungo accusato di non essere più un leader legittimo. [12]

L’accordo di Fatah-Hamas sulle elezioni è stato visto da alcuni palestinesi come un’opportunità per porre fine alla rivalità tra le due parti. Fatah e Hamas hanno accettato di smettere di arrestare i rispettivi membri in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Hanno anche accettato di smettere di attaccarsi a vicenda attraverso dichiarazioni pubbliche e sui media. Ora la luna di miele rischia di finire con la cancellazione delle elezioni.

Khaled Abu Toameh, conclude il suo articolo con il seguente ragionamento: Abbas può essere in grado di prevenire una rivolta guidata da Hamas in Cisgiordania, ma la questione è se riuscirà a prevenire una rivolta da membri scontenti di Fatah e altri palestinesi che sono evidentemente stufi del suo governo autoritario.

Secondo Udi Shaham [13], anch’egli giornalista di The Jerusalem Post, dietro la cancellazione delle elezioni palestinesi ci sarebbe un piano che potrebbe essere definito ‘complottista’, ma in linea con la politica ostile e violenta dei territori palestinesi nei confronti di Israele. La cancellazione delle elezioni viene analizzata in relazione a due eventi: una tale mossa potrebbe far sì che Hamas, che dovrebbe ottenere i maggiori guadagni nelle elezioni, punti il dito contro Israele e fomenti la violenza; l’altro evento è Laylat al-Qadr, la notte in cui i musulmani credono che il Corano è stato rivelato per la prima volta a Maometto. È considerata una delle notti più sacre del calendario religioso.

Durante un normale Laylat al-Qadr, circa 250.000 palestinesi assistono a preghiere ed eventi nella Città Vecchia di Gerusalemme e nella moschea di al-Aqsa. Dopo gli scontri avvenuti la penultima settimana di aprile nei pressi della Porta di Damasco, quest’anno potrebbe verificarsi un altro aumento di attriti creando una scintilla che, a sua volta, innesca ulteriore violenza.

Inoltre, Laylat al-Qadr potrebbe svolgersi intorno al Giorno di Gerusalemme (in ebraico Yom Yerushalaim, celebra la riunificazione di Gerusalemme avvenuta dopo la guerra dei Sei Giorni, nel 1967, il giorno 28 del mese ebraico di Iyar, prevista per il 9 maggio), quando gli israeliani tengono marce e sfilate nella Città Vecchia. Un altro evento imminente è il Nakba Day (indica l’esodo forzato della maggior parte degli abitanti arabi della Palestina nel 1948), il 15 maggio, un giorno di solito carico di tension. Come dimenticare che la penultima settimana di aprile, Israele ha assistito a un’escalation, da parte di Hamas nella Striscia di Gaza. Il picco era lo scorso venerdì sera (23 aprile 2021), quando oltre 30 razzi sono stati lanciati nel sud di Israele.

Israele è pronta per le elezioni palestinesi?

E se le elezioni andassero avanti e Hamas vincesse? Questo porterebbe a uno scenario simile a quello del 2006, o si concluderebbe con una guerra civile in seno all’Autorità palestinese?

Non si può permettere ad Hamas di prendere il potere a Ramallah, una mossa che rappresenterebbe un’inevitabile via verso ulteriori conflitti. Si tratta di un conflitto a più fronti, perché Hamas non solo vuole sradicare Israele, ma vuole anche reprimere i palestinesi. Molti funzionari di Fatah sono stati duri con Hamas, e Hamas vorrà vendetta. D’altra parte, a Israele non è sembrato interessarsi realmente del risultato di queste elezioni (da sottolineare come i palestinesi o le loro elezioni non sono stati una questione elettorale israeliana, anche perché i candidati israeliani, Bibi in primis, hanno corteggiato le tribù arabo-israeliane e adesso sia il blocco di sinistra che quello di destra stanno cercando di convincere Mansour Abbas di entrare nelle rispettive coalizioni).

C’era una volta – La possibile “Alleanza di Abramo” – Il Tazebao

Pur ammettendo tranquillamente che un fallimento di Fatah nelle elezioni potrebbe danneggiare Israele, Gerusalemme ha fatto uno sforzo per non interferire [14]. Anche perché Israele ha ben altri problemi domestici da risolvere. Le varie fazioni politiche israeliane sono ancora intente a cercare accordi, possibili alleanze per formare un governo, governo che al momento è ancora guidato dal Likud di Netanyahu, leader politico più votato, ma senza una maggioranza parlamentare.

Netanyahu ha sostenuto l’inerzia nella gestione del conflitto con i palestinesi; gli accordi di Abramo, come ricorda Gianni Bonini [15] su Le Sfide costringevano i palestinesi ad accettare il loro destino, accettare e riconoscere la legittimità dello Stato Ebraico, ultima carta a loro disposizione in seguito alla distensione dei rapporti tra Israele e monarchie del Golfo.

Netanyahu crede che lo status quo funzioni a favore di Israele. Secondo questo ragionamento, un’Autorità palestinese e una leadership divise significano che, a lungo termine, Israele non deve affrontare una nuova intifada o pressioni internazionali. Israele è riuscito, per esempio, a neutralizzare le minacce della Jihad islamica palestinese da Gaza, pur mantenendo una parvenza di silenzio con Hamas. Ma in generale, la situazione della sicurezza in Cisgiordania è buona. I recenti scontri a Gerusalemme, tuttavia, mostrano come le cose possano andare fuori controllo. I messaggi contrastanti ricevuti dai palestinesi, con l’installazione e l’eliminazione delle barriere alla Porta di Damasco e gli scontri con la polizia, lasciano molti a chiedersi cosa stia succedendo. Il Ramadan è sempre un periodo delicato.

La risposta internazionale è stata un silenzio inquieto. Piuttosto che affrontare la sfida incombente della partecipazione terroristica alle elezioni palestinesi, l’amministrazione Biden ha dato priorità all’assegnazione di fondi aggiuntivi all’Autorità palestinese. A marzo e aprile, Washington ha annunciato piani per fornire 15 milioni di dollari in supporto COVID-19, 10 milioni di dollari in programmi di “costruzione della pace“, e 75 milioni di dollari in altri aiuti indiretti [16]. Una nota trapelata di quattro pagine esprime il desiderio di ristabilire i legami con l’Autorità Palestinese (dopo che l’ex presidente Donald Trump li ha ridotti) mentre solo abbozza la “preoccupazione” che Hamas possa battere Fatah nelle prossime elezioni.

Netanyahu è distratto dal suo fallimento nel formare un governo. In questo senso, Israele rimane anche bloccato in una realtà di continua instabilità di coalizione. Questo fa quasi sembrare che il caos politico interno di Fatah e il caos interno di Israele siano simbiotici, il che permette ad Hamas e ad altri estremisti di fare breccia. Lo stato ebraico ha bisogno di avere una strategia con i palestinesi. Ignorarli non ha funzionato. “Gestire il conflitto” porta solo sicurezza temporanea, ma non un cambiamento concettuale a lungo termine. Se Israele viene accusato di aver impedito le elezioni palestinesi, non sarà d’aiuto nel tentativo del paese di creare un’immagine più positiva di sé in tutta la regione.

La paralisi istituzionale degli ultimi 15 anni testimonia come l’ordinamento palestinese, colpito dal perdurante conflitto con lo Stato di Israele ma anche e soprattutto da un apparato istituzionale fragile e molto confuso, non possa esimersi dalla necessità di riformare profondamente i propri supremi organi statali e il relativo rapporto reciproco.

Bibliografia

[1] Enrico Campelli, “La Travagliata Storia Istituzionale Palestinese: Riflessioni in Vista delle (Possibili) Elezioni Generali del 2021”.

[2] “Come i Palestinesi Eleggeranno i loro Rappresentanti”, dal blog Intemperie del 09/03/2021.

[3] Ibidem.

[4] Ibidem.

[5] Daoud Kuttab, “36 Electoral Lists will Compete in Upcoming Palestinian Vote”, Al-Monitor del 02/04/2021.

[6] Daoud Kuttab, “Decree on Election Court Removes one Obstacle for Palestinian Elections”, Al-Monitor del 02/03/2021.

[7] Khaled Abu Toameh, “Abbas: Palestinian Elections Postponed After Israel Blocks Jerusalem Vote”, The Jerusalem Post del 30/04/2021.

[8] Khaled Abu Toameh, “Nixing Elections will Harm Abbas, Reignite Fatah – Hams Dispute – Analysis”, Jerusalem Post del 27/04/2021.

[9] Ibidem.

[10] Ibidem.

[11] Ibidem.

[12] Jonathan Schanzer, “The Return of Palestinian Politics”, Foreign Politics del 09/04/2021.

[13] Udi Shaham, “Canceling Election, Nakba Day and Ramadan Could Cause Eruption – Analysis”, The Jerusalem Post del 29/04/2021.

[14] Jpost Editorial, “Israel is not Prepared for the Palestinian Elections – Editorial”, The Jerusalem Post del 28/04/2021.

[15] Gianni Bonini, “Le Sfide. Non c’è Futuro Senza Memoria”,Il Puzzle Mediorientale, gli USA e le Altre Potenze”, periodico della fondazione Craxi, n.9, Aprile 2021.

[16] Jonathan Schanzer, “The Return of Palestinian Politics”, Foreign Politics del 09/04/2021.

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