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I tre Moschettieri: Russia, Iran, Cina. Nemico comune, obiettivi, strategie e investimenti diversi

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Grazie a Raghida Dergham, fondatrice e presidente esecutivo del Beirut Institute, ricostruiamo alcuni avvenimenti di notevole interesse per gli equilibri del Medioriente e non solo.

Marzo è stato un mese molto movimentato dal punto di vista diplomatico per i paesi del Golfo e del Medio Oriente. L’evento più clamoroso vede come protagonisti i nemici giurati degli USA, ovvero Iran e Cina, che hanno firmato un accordo bilaterale dalla durata di 25 anni e che vedrà cospicui investimenti cinesi in settori chiave della stremata economia iraniana.

Le sanzioni dell’amministrazione Trump

L’8 maggio 2018, l’allora presidente americano Donald Trump, revoca l’adesione del suo paese dall’accordo sul nucleare con l’Iran, il JCPOA, Joint Comprehensive Plan of Action (il Piano d’azione congiunto globale). L’accordo, faticosamente raggiunto dai cinque paesi con diritto di veto alle Nazioni Unite (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia, Cina, paesi ai quali si è aggiunta anche la Germania) e promosso dall’Unione Europea, sanciva la sospensione di uno dei più sofisticati sistemi sanzionatori adottati nei confronti di uno stato sovrano, in cambio, da parte del Governo di Teheran, dello smantellamento del piano di sviluppo nucleare perseguito da quest’ultimo a partire dagli anni 2000.

Trump non solo si sfila dall’accordo, ma annuncia e mette in pratica in seguito, aspre sanzioni contro il governo di Teheran: sanzioni primarie e secondarie. Queste ultime non hanno di certo lasciato indifferenti i paesi dell’Unione Europea. Infatti, colpiscono i soggetti fisici e giuridici non americani che intrattengono relazioni commerciali con l’Iran mentre le prime, le sanzioni primarie che colpiscono i soggetti fisici e giuridici americani, non sono mai venute meno, nemmeno con l’accordo del 2015.

L’efficacia delle sanzioni del 2018

In un articolo dal titolo “Six charts that show how hard US sanctions have hit Iran” [1] (“Sei grafici che mostrano quanto duramente le sanzioni statunitensi hanno colpito l’Iran”) pubblicato dalla BBC News e basandosi su dati forniti dalla Banca Centrale iraniana, il PIL iraniano volato a 12,3% in seguito all’accordo sul nucleare, (crescita legata all’industria petrolifera ovviamente), nel 2017, anno in cui la produzione dell’oro nero diminuisce drasticamente, scade fino al 3,7%. Nel 2018 arriva il colpo di grazia per l’economia di Teheran: la contrazione del PIL è del -4.8% e nel 2019 del -9.5%. Lo stesso anno, il tasso di disoccupazione arriva al 16.8%.

Il ripristino delle sanzioni statunitensi nel 2018, in particolare quelle imposte ai settori energetico, navale e finanziario a novembre, ha causato l’esaurimento degli investimenti esteri e ha colpito le esportazioni di petrolio. Le sanzioni impediscono alle società statunitensi di commerciare con l’Iran, ma anche con imprese o paesi stranieri che hanno a che fare con l’Iran.

Quanto sono state efficaci queste sanzioni? Esse non hanno prodotto il risultato sperato dagli USA e dagli altri paesi dell’UE perché l’Iran ha continuato con il suo programma di arricchimento dell’uranio, e per di più, paradossalmente, per il paese non sono state così drammatiche. A tal proposito si veda il contributo di Arti Sangar, avvocato con una vasta esperienza che abbraccia diverse giurisdizioni, tra cui l’Australia, gli Stati Uniti, il Medio Oriente e l’India, per il DRT International Law Firm & Alliance. Nel suo articolo “Sanctions in Iran: How Effective are they?” [2], l’avvocato porta a galla un effetto collaterale delle sanzioni: l’emersione di un florido mercato nero in Iran. Le sanzioni hanno invece spinto gli iraniani ad aprire nuovi e fiorenti mercati neri per beni e servizi proibiti. Hanno anche indotto i leader iraniani a guardare alla Cina e alla Russia per soddisfare il bisogno dell’Iran di capitale straniero. Per esempio, gli iraniani hanno fatto ricorso a banche e società di copertura in tutto il Medio Oriente per aggirare le sanzioni. Inoltre, le banche e le società iraniane ora rimuovono i loro nomi e le loro posizioni dai documenti delle transazioni. Teheran ha anche aumentato gli affari con le nazioni che non sono incluse nell’attuale regime sanzionatorio. La Cina ha quasi cento miliardi di dollari nelle riserve di petrolio e gas iraniane.

Nonostante l’afflusso di capitali dalla Russia e dalla Cina, “le sanzioni continuano a compromettere la capacità dell’Iran di condurre attività economiche regolari sul mercato globale” (“Notwithstanding the capital influx from Russia and China, sanctions continue to impair Iran’s ability to conduct regular economic activity in the global marketplace”). [3]

Si potrebbe quasi dire che il governo di Teheran non sia più in grado, o meglio, non sia più abituato a farsi strada legalmente nel mercato globale e che il mercato nero sia diventata ormai la sua fonte di sostentamento.

Accordo Iran – Cina

Sabato 27 marzo, Cina e Iran firmano una roadmap bilaterale che durerà 25 anni e si porterà dietro investimenti di Pechino in settori strategici di Teheran. La Cina ha le idee chiare in materia: già dal 2016 investe pesantemente in Iran e, in seguito al comportamento ostile dell’amministrazione Trump verso la repubblica islamica, ne è diventato il principale partner commerciale. Da quanto stabilito dall’accordo, Teheran riceverà annualmente venti miliardi di dollari da Pechino, soldi che gli permetteranno di realizzare i propri progetti interni e regionali, incluse strategiche operazioni in Siria, Iraq, Libano e Yemen.

La giornalista libanese-americana Raghida Dergham [4], fondatrice e presidente esecutivo del Beirut Institute e editorialista per The National, si concentra molto sulla tempistica di questo accordo: viene stipulato ed annunciato nei primi cento giorni della presidenza Biden, il quale auspica il ritorno all’accordo del 2015. L’annuncio, dunque, non è casuale: Cina e Russia, ma la prima in particolar modo, non vogliono correre il rischio di perdere un ‘alleato’ così prezioso come la repubblica islamica. Investire in quello che un tempo è stato il cuore dell’impero persiano, significa prima di tutto conquistare una posizione strategica in Medio Oriente, emulando la posizione russa in Siria a supporto del regime di Bashar Al Assad. Perché, in fondo, è questo il desiderio cinese, potersi sedere al tavolo negoziale in qualità di garante e avanzare richieste e condizioni benefiche per il consolidamento della presenza cinese nella regione del Golfo.

Controllando l’Iran, Pechino può puntare anche a quei territori in cui l’influenza iraniana è forte, come nel caso libanese.

Il Libano cartina di tornasole del Medioriente. Gianni Bonini e Lorenzo Somigli a colloquio con Maroun El Moujabber – Il Tazebao

Ma la giornalista Dergham si spinge oltre e chiede al lettore un ulteriore sforzo: la Cina proteggerà militarmente l’Iran se Teheran dovesse inasprire le tensioni nelle acque del Golfo, o se continuasse a sostenere gli attacchi degli Houthi nel vicinato?

Non manca di certo il riferimento alle petro – monarchie. Raghida Dergham sottolinea come nella regione, le monarchie del Golfo, siano una presenza ‘ingombrante’: sempre a marzo il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov “toured the region” [5] (ha messo a ferro e fuoco la regione, ovvero si è lanciato in questo tour diplomatico nel Golfo per discutere della strategia da adottare nei confronti degli USA di Biden). Tappa fondamentale del suo tour, è stata anche Pechino dove ha incontrato la sua controparte cinese per coordinare le strategie dei due paesi per quanto riguarda le relazioni con gli Stati Uniti, gli Stati del Golfo e il Medio Oriente, tra “l’evidente declassamento della regione da parte dell’amministrazione Biden nella sua lista di priorità”. [6]

La Cina è vista dai paesi del Golfo come un possibile argine alle ambizioni iraniane: considerando i progressi nelle relazioni cinesi con le petro-monarchie, Pechino cercherà di ridurre una potenziale e futura escalation. Queste relazioni saranno quindi importanti poiché questi Stati cercano di far leva sul partenariato di Pechino con Teheran per contenere le incursioni dell’Iran nella regione. Solo allora sarà possibile per tutte le parti interessate sognare un grande accordo tra l’Iran e gli Stati Uniti.

Il ruolo della Russia

Come scrive sempre Raghida Dergham:

“China and Russia share frosty relations with the US. Both powers see Iran as an important card to use against the Biden administration”. [7] (“I rapporti della Russia e della Cina con gli USA sono ancora ‘congelati’. Entrambe le potenze vedono l’Iran come una carta importante da usare contro l’amministrazione Biden”).

La Russia vede l’accordo Cina – Iran come complementare alle sue relazioni commerciali con la repubblica islamica.

In più, Mosca, a differenza di Pechino, non dispone di ingenti quantità di denaro: la mano negoziale è l’unica leva su cui può affidarsi al memento. Il suo tentativo di sponsorizzare soluzioni ad alcuni conflitti nella regione è un mezzo efficace per rafforzare la sua presenza in un modo che le permette di competere con Washington. Ha puntato molto su Israele in questo contesto, cercando di diventare un ponte tra Israele, l’Iran e gli Stati arabi.

Mosca, non ritiene che l’amministrazione Biden sia pronta a svolgere un ruolo significativo nella regione e che l’elaborazione di una politica chiara da parte di Washington richiederà tempo, il che crea un’opportunità per Mosca di colmare il vuoto attraverso un’azione rapida e coraggiosa. L’accordo Cina – Iran è fondamentale proprio per questo: sulla scia degli Accordi di Abramo (che continuano a produrre notevoli effetti), voluti da Donald Trump, Vladimir Putin mira a sponsorizzare un accordo tra Iran e Israele. Potrebbe decidere insieme alla Cina di far pressioni sull’Iran affinché si muova in questa direzione.

Dal canto suo, anche Israele dovrà guardare all’Iran con un occhio più benevolo: ora che ha il sostegno della Cina non rappresenta più una minaccia così grande.

Ma l’ostilità tra i due potrebbe anche aumentare per eguagliare le crescenti tensioni tra i rispettivi alleati (Washington e Pechino).

Rimane da vedere come il Dragone cinese riuscirà a perseguire tutti i suoi obiettivi, concentrando le proprie energie e risorse su più fronti contemporaneamente ed evitando di sprofondare nelle sabbie mobili dei deserti politici del Medio Oriente.

Bibliografia
  1. “Six Charts that Show how Hard US Sanctions Have Hit Iran”, BBC News del 09/12/2019.
  2. Arti Sangar, “Sanctions in Iran: How Efferctive are They?”, DRT International Law Firm and Allience;
  3. Ibidem;
  4. Raghida Dergham, “Will China – Iran Deal Change the Middle East?”, The National del 04/04/2021;
  5. Ibidem;
  6. Ibidem;
  7. Ibidem.
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