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Il mio Marco Biagi, Gabriele Canè racconta

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“Era avanti rispetto a un’Italia ancora bloccata dalle ideologie. Da giornalista si è dimostrato un ottimo divulgatore di argomenti altrimenti settoriali”

Aveva intuito, studiato e compreso le tendenze che si sarebbero verificate negli anni successivi. Avrebbe orientato il cambiamento attraverso la riforma, lo strumento che la politica ha per incidere sul reale, ammorbidendone le storture, che pur ci sono e che, oggi, sono ancor più evidenti. Grazie alla sua cultura riformista socialista, infatti, avrebbe agevolato la transizione di un mercato del lavoro, ancora rigido, novecentesco, verso un mercato dei lavori, basato sulle competenze. Marco Biagi manca da 19 anni e Gabriele Canè, ex direttore del Resto del Carlino e de La Nazione, ma anche amico personale di Biagi, lo ricorda così.

“Sono ancora arrabbiato per come lo hanno lasciato morire… indifeso. È stato vittima di un clima di intolleranza che ha scatenato i folli che lo hanno ucciso”.

“Io e Marco ci conoscevamo fin da giovani perché abbiamo frequentato lo stesso Liceo a Bologna, il Galvani. Si vedeva fin da allora che aveva una marcia in più. È sempre stato studioso, serio, preparato, non secchione però; amava i libri certo, ma anche il pallone. Quando mi iscrissi a Giurisprudenza lo ritrovai che, a 24-25 anni, era assistente del professor Giuseppe Mancini, grande giuslavorista. La scuola di Mancini è stata determinante per lui. Biagi è stato anche correlatore della mia tesi. Io allora lavoravo già al Resto del Carlino e mi trovai a fare una tesi sulla contrattazione nel lavoro giornalistico. Sarò sincero: non avevo né tempo, soprattutto, e neppure grande voglia di farla. Marco mi aiutò con la ricerca delle sentenze in materia permettendomi di completarla. Gliene sono stato sempre grato”.

“Non bisogna inoltre dimenticare che Biagi è stato anche un precoce giornalista. Un mestiere che ha iniziato, tra l’altro, prima di me. Infatti è stato anche direttore de La Rana, il giornale del nostro liceo. Successivamente, quando ero direttore, collaborò con il Resto del Carlino. Era sempre molto preciso e puntuale nel produrre gli articoli. Se dovevano arrivare alle 17, anche alle 12 già c’erano. Una collaborazione di spessore scientifico, ma anche di qualità letteraria. Marco scriveva bene con il taglio del divulgatore che sa farsi capire anche su argomenti per loro natura tecnici e settoriali”.

È stato un precursore, elaborava teorie di ampio respiro, era avanti rispetto ad un’Italia ancora ostaggio delle sedimentazioni ideologiche. Anche per questo la sua morte è stata ed è una grande perdita.

“Non è affatto vero quello che una certa sinistra ufficiale ha fatto credere: non era certo un teorico della flessibilità assoluta. Figuriamoci! Capiva semplicemente che il mercato del lavoro non poteva progredire con le rigidità e gli schematismi che lo avevano contraddistinto. Biagi era figlio di una cultura con una profonda radice popolare. Non a caso si riconosceva nella cultura socialista, in un Psi moderno, ammortizzatore rispetto alle vecchie logiche padronali, ma anche rispetto all’ideologia comunista”.

Ringraziamo sentitamente Gabriele Canè per aver condiviso i suoi ricordi con noi, restituendoci dei lati di Marco Biagi (che ho citato anche nell’ultimo contributo per il nuovo numero “Non c’è democrazia senza lavoro” della rivista Nazione Futura), umani prima che professionali-accademici, che altrimenti non avremmo conosciuto.

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