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Trump e Macron: vite parallele?

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Parallelismi e differenze tra Macron e Trump. La riflessione di Matteo Gerlini.

La lunga intervista rilasciata dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron alla testata on line Brut chiude un intervallo temporale aperto con l’intervista-manifesto apparsa su Le Grand Continent, e già commentata su Tazebao. Un intervallo in cui sono avvenuti due fatti di rilevante valore simbolico. Il primo è il filmato dell’intervento della polizia contro un produttore musicale, intervento particolarmente violento e condito di appellativi razzisti. Il secondo è la morte di Valery Giscard d’Estaing, Presidente della Repubblica negli anni cruciali della costruzione europea e della mondializzazione della Francia. Eventi diversi, ma che possono essere inseriti nel percorso macroniano di rilancio della Francia come rilancio dell’Europa; in questo intervallo temporale però si possono apprezzare elementi che portano questo percorso più prossimo all’altra sponda dell’Atlantico che a quella della renana intesa franco-tedesca.

Vive l’Empereur, vive la France!

La declinazione nazionale della politica di Macron affronta questioni decisamente analoghe all’America first del presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Sebbene collocati su pianeti diversi, Trump e Macron orbitano nello stesso sistema solare, quello della ricostruzione nazionale in un mondo globale: una globalizzazione dalla quale la Francia e gli Stati Uniti, seppure su scala diversa, non intendono minimamente sottrarsi, anzi. Senza voler affrontare la complessità della politica commerciale trumpiana, non si può non notare che lo strumento tariffario sia stato usato a beneficio di alcune industrie nazionali, e che la stessa battaglia sul 5G sia stata condotta come un’esigenza nazionale sì, ma rivolta in primo luogo verso gli alleati degli Stati Uniti, affinché il mantenimento dell’indipendenza dai player cinesi dell’ICT fosse contemporaneamente strategia di sicurezza nazionale e mantenimento della posizione pivotale degli Stati Uniti nel sistema euroamericano. Una linea di interesse nazionale che è supervacaneo ricordare quanto sia storico nerbo della politica francese di cui Macron è ortodosso interprete. Eziandio superfluo richiamare la completa identità dei due presidenti con quello che un tempo il marxismo avrebbe definito “gran capitale”: banchiere Macron, circondato di banchieri internazionali, l’immobiliarista Trump, cosa questa che i sovranisti con l’iPhone italiani non vedono per non dolerne.

Similitudini e…differenze

Le vere differenze fra i personaggi risiedono nella diversa collocazione dei due Paesi nel villaggio globale: così gli accordi sul clima, la cui osservanza da parte di Macron è stata contestata nella copertina del 6 dicembre di Libé, valgono perché la Francia ha un’industria nucleare – ormai l’unica vera nell’Europa continentale e insulare – ed è meno dipendente dai combustibili fossili di altri Paesi del vecchio e del nuovo continente, laddove Trump ha privilegiato l’industria statunitense, petrolifera e carbonifera. Di intervista in intervista, ricordiamo quanto Macron ebbe a dire un anno fa a The Economist sulla morte cerebrale della NATO, e la sostanziale consonanza con l’attitudine trumpiana verso l’alleanza atlantica.

È forse il ritorno del marchese Lafayette, che come cantava Rino Gaetano importa dall’America la rivoluzione e un cappello nuovo. Sicuramente Macron ha trovato, non certo per sua volontà, un’opposizione interna analoga a quella con cui si è confrontato Trump, ovviamente rispondente alla differente angolazione politica dei due personaggi. I gilet gialli, che hanno riportato le tensioni di piazza a livelli forse comparabili con quelli dello scorso secolo, come collocazione politica potrebbero essere pure trumpiani, in questa anomia delle identità ideologiche della protesta. L’opposizione a Trump è stata meno eteroclita ma certamente più eterogenea, spaziando dal capitale tecnologico californiano alla protesta del black lives matter.

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Ecco, proprio sulla questione cosiddetta razziale – che altro non è che la questione del razzismo – si sta consumando l’ultimo parallelismo fra le due vite politiche. Parte integrale della campagna presidenziale statunitense, il tema delle azioni violente delle forze dell’ordine e delle rivolte ad esse intrecciate ha visto Trump lanciare lo slogan “legge e ordine” e in subordine esprimere comprensione verso alcuni casi di persone decedute a causa dell’intervento della polizia.

E la stessa forma sta prendendo in Francia l’attuazione della legge per la sicurezza globale, voluta da Macron in continuità con le misure restrittive già attuate contro i gilet gialli, che proibirebbe appunto la video testimonianza di fatti come il pestaggio del produttore.

Nella società dell’immagine, senza i video l’indignazione popolare sarebbe indubbiamente minore. E questo il governo francese l’ha appreso dai video che hanno testimoniato le brutalità della polizia statunitense e acceso sia la fiamma delle rivolte nei quartieri, sia le manifestazioni pacifiche. Una duplicità della protesta che in Europa la si ritrova nelle piazze francesi. Così il testimone che Macron ha raccolto da Giscard e dai grandi presidenti della Repubblica francese si trova, novella statua della libertà, a navigare nella baia di New York all’ombra della Trump Tower, invece che sul Reno.

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