Un’analisi sul trionfo di Trump dopo il cruciale quadriennio del “sonnolento” Biden. Differenze e similitudini con il 2016. Il peso specifico di Musk, cioè il capitalismo politico. Le conseguenze mondiali e, soprattutto, sull’Europa.
Il Tazebao – La grande T d’America è tornata. Come previsto, a differenza dei media ripiegati sulla narrazione mainstream e sempre più incapaci di leggere le dinamiche sociali e impersonare un dibattito interno alla società, l’attentato di Butler, al quale Trump è miracolosamente sopravvissuto, è stato il punto di svolta verso la vittoria.
Non proprio sleepy questo Joe
L’immagine pubblica di Joe Biden non è una delle più rifulgenti: adesso, al “sonnolento” Joe subentra il “muscolare” Trump; ad ogni modo, gli interessi di fondo sono condivisi da entrambi.
Quattro anni, quelli a guida Biden, segnati dal virus “Corona” – prima grande crepa nell’ordine internazionale – e dall’affermazione del primato della medicina, contraddistinti dall’avvio delle operazioni belliche – le aziende americane fanno il pieno di commesse belliche – e da una sempre più pervasiva penetrazione del digitale, ovviamente Made in Usa. Sono stati quattro anni decisivi, nei quali l’Europa, da cuore produttivo ed economico mondiale, imperniata sulla Germania, aperta alla Cina e soprattutto integrata con la Russia, si è avviata verso una sempre più marcata dismissione.
Insomma, se si considerano gli interessi angloamericani, ovvero anglosassoni e atlantici, la Special Relationship rimane la stella polare e l’asse portante rimane quello tra Londra e New York, non sono stati certo quattro anni negativi, al prezzo – nessuna guerra egemonica è senza sacrifici – della riduzione del potere di acquisto che penalizza o polverizza la classe media, con la conseguente concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. E anche questa è una costante delle fasi preparatorie alla guerra. Finisce il ciclo storico, dallo scontro nascerà un nuovo assetto e gli Usa vogliono mantenere l’egemonia.
Infiammata l’Europa, colpita la sua industria e fatto il pieno di investimenti in madrepatria, interrotto il vitale collegamento tra Europa e Cina (in economia di guerra da anni) via Suez, avviata la nazione verso una produzione bellica a pieno regime, il compito di Biden può dirsi concluso e il “dinamico” Trump può subentrare serenamente.
I prossimi quattro anni
Il ritorno di Trump era prevedibile in ragione dello uno scenario mondiale, tra guerra e impoverimento, che si sta definendo. In una fase di privazione tornano i governi di Destra.
Del Trump della seconda maniera spiccano, fin da subito, alcuni tratti distintivi rispetto alla prima versione. Prima di tutto, si è rivelato determinante l’apporto di Elon Musk, il magnate del capitalismo digitale che ha accompagnato la fase finale della “traversata del deserto”, fino alla trionfale rielezione. Politica e capitalismo, ancora una volta, marciano insieme, con buona pace del “liberalismo”. Le elezioni, come sempre, sono state una prova di forza all’interno del capitalismo e la “nuova” frangia di Musk, vista la penetrazione dell’intelligenza artificiale, reclama spazio.
Portato su come “anti-sistema” nel 2016, sfiduciato – non prima di aver eliminato un Soleimani scomodo per tutti – durante le fasi più acute della pandemia e definitivamente spodestato, confinato nel buen retiro Mar-a-Lago, mantenuto in vita con i processi mediatici, Trump torna adesso alla guida del pivot militare e tecnologico mondiale, trascinato in modo decisivo da quei cosiddetti poteri forti che promette di voler combattere.
Non è da escludere che il tycoon abbia raccolto e incorporato nel suo programma delle istanze realmente popolari, provenienti dai ceti operai e “rurali”, e che, di conseguenza, abbia qualche tic anti-sistema. Trump difende il suo spazio politico dando voce a coloro che in questa fase del capitalismo, tra Nomadland e inflazione, sarebbero esclusi. Come fece a suo tempo Silvio Berlusconi, anche Trump ha vestito i panni dell’operaio (McDonald’s, “operatore ecologico”), consolidando un consenso ampio nei ceti popolari e bucando nelle zone critiche, come fece Johnson (ferocemente russofobo come da tradizione conservatrice inglese) nel red wall.
Tuttavia, nel corso del primo mandato presidenziale, a frenare, disattivare o a snaturare, tanto da stravolgerli, i provvedimenti più “popolari” hanno provveduto consiglieri o vere e proprie quinte colonne dell’inner circle trumpiano. Lo stesso inner circle in cui oggi spicca proprio Musk. Si può supporre che il potere abbia affossato un Trump “ribelle” per riportarlo in auge solo dopo averlo reso cliente. Più affidabile. O correttamente consigliato.
Ciò non toglie che, questa volta, Trump abbia le mani libere. Il Partito Repubblicano è stato perfettamente pacificato, gli elementi ribelli sono rimasti ai margini e si sono eclissati i clan come quello dei Bush. Cionondimeno, gli interessi degli operai e di Musk difficilmente coincidono, come gli interessi americani strutturalmente non coincidono con quelli europei.
I primi effetti del Trump-bis
La Germania, il cui governo si è incrinato in un momento in cui si paventano nuovi dazi (l’attacco all’industria tedesca comincia con il Dieselgate nel settembre 2015 e anche in questo c’è una continuità nella discontinuità), arriva all’appuntamento con la storia nella massima debolezza interna. Non è un caso che il primo affondo del solito Musk (i buoni uffici Meloni-Musk possono essere una buona assicurazione per il futuro) sia proprio contro lo stesso Scholz.
Esaurita la spinta verso la riunificazione, la Germania, posta strategicamente al centro dell’Europa, è tornata ad essere un magnete e la classe politica tedesca ha profuso i suoi sforzi nella ricostruzione del sistema economico, senza al contempo guidare una ristrutturazione dello spazio ex-sovietico. Il prodigioso sviluppo industriale tedesco si era fondato sulla disponibilità a prezzi contenuti delle sconfinate risorse naturali dalla Russia (prove tecniche di quella unione tra potenze di terra aborrita dagli strateghi anglosassoni), sull’accesso alla tecnologia cinese e su una manodopera a basso costo per effetto delle riforme Hartz (ci sono similitudini con il lavoro coevo di Biagi), poco curandosi dei danni sociali, senza dimenticare l’integrazione con l’Italia come naturale propaggine verso il Mediterraneo.
La Russia di Putin, sdoganato all’audience trumpiana dall’intervista con Tucker Carlson, ha già teso la mano al rieletto Presidente. Indebolitasi l’Unione Europea, priva in questo frangente storico di un coordinamento unico, la gracile Ucraina sta già perdendo terreno ogni giorno e la Russia vuole arrivare alle trattative da un punto di forza. Stati Uniti e Russia, insomma, vogliono tornare a fare affari insieme, anche più di prima, oltre la Cortina di Ferro.
Del resto, anche l’economia americana ha bisogno delle preziose risorse naturali della Russia, la quale, andata all’incasso in Ucraina ma sufficientemente dissanguata, sarà ben disposta a indirizzare il suo dinamismo verso il Pacifico. In tal senso, come cinque anni fa, la Corea del Nord assume un ruolo tutto particolare. E imprevedibile. Pausa tattica, e affari (tornano gli anni di Vodka-Cola), con la Russia, massima pressione su Iran e Cina e massima pressione – commerciale – sull’Europa: queste le coordinate internazionali del bis di Trump. Per l’Europa saranno anni durissimi.
Conclusioni
Ciò detto, è anche vero che i nuovi fenomeni globali sono irreversibili e che nessuno potrà fermare l’avvento del digitale e della cibernetica né tornare indietro sul primato della medicina dopo l’esperienza della pandemia. Ci può essere, se non un corso diverso, un riequilibrio, una pausa momentanea, anch’essa funzionale a un disegno più ampio ma apprezzabile. Sicuramente una guida democratica e liberal sarebbe stata molto schiacciata sulla narrazione mainstream. Preso con queste precauzioni e letto, pur sempre all’interno della cornice del capitalismo digitale e della sorveglianza, Trump promette anche cose buone, da seguire.