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L’Uomo de La Repubblica: Eugenio Scalfari (sine ira et studio)

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Su Il Tazebao Gianni Bonini e Lorenzo Somigli dedicano una riflessione a una figura centrale nella storia della Repubblica italiana e del giornalismo: Eugenio Scalfari.

Lorenzo Somigli. So della tua predilezione per Tacito ma oggi parto Sallustiano. Sallustio vive e cerca di analizzare il lento trapasso della Repubblica, di cui è stato parte, forse complice. Lo fa sapientemente, stringendo sulla singola personalità, Catilina su tutti, cogliendola nelle sfumature psicologiche stratificate – l’affastellamento “simulator ac dissimulator… alieni adpetens” – ma calandola nella complessità del suo tempo, in un rapporto inscindibile. Ecco che la sua così tipica variatio diventa gravida di ansie, la sua peculiare brevitas sintesi di anni di cambiamento. Ispirandoci a questo metodo, incentriamo il dialogo su un uomo centrale in tutta la storia della Repubblica.

L’ultima intervista a cura di Somigli: Civitas Chianti. Codesti son altri luoghi! L’ouverture di Raffaele Tarchiani

Gianni Bonini. Scalfari ha attraversato tutti gli anni della Repubblica. La morte di Scalfari mi evoca il finale del Cinque maggio. Non è stato certo Napoleone ma sicuramente uno dei personaggi più importanti della Repubblica nata dal disfacimento statuale monarchico dell’8 settembre e dall’opera di ricostruzione consacrata col 25 aprile.

Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola:
Il Dio che atterra e suscita,
Che affanna e che consola,
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.

Ho un ricordo diretto di lui. Una giornata di sole nel 1988 – mi pare – a ridosso del referendum sul nucleare e per la giustizia giusta. Ci trovammo casualmente a dividere un tavolo al Coco Lezzone, trattoria storica di una Firenze che va scomparendo. Eravamo io e due noti professionisti fiorentini, un uomo e una donna. Scalfari era accompagnato ad una signora. Cominciammo a parlare del più e del meno – ovviamente l’avevamo riconosciuto – e fu inevitabile ad un certo punto entrare in rebus, dichiarare la nostra fede craxiana. Ebbene rimanemmo sorpresi dalla sua reazione, che svelava un accanimento che mal si conciliava con i suoi modi disincantati; si sentiva un risentimento verso il PSI e, in particolar modo, verso Bettino Craxi, peraltro, assolutamente coerente con la linea politica del suo quotidiano. Finito il consueto desinare ci congedammo con reciproca cortesia, non senza qualche coda acida.

Cionondimeno, ogni giudizio politico – consentimi – non mi stanco di ribadirlo, deve seguire il motto di Tacito, che poi non sempre rispettava: “sine ira et studio”. Proviamo, quindi, a dare un’analisi più profonda e sgombriamo il campo dal fatto che fosse stato fascista in gioventù. Senza la classe dirigente formata durante il Fascismo, in tutti gli ambiti, non avremmo avuto il Miracolo italiano. Tutti appartenevano ai Giovani Universitari Fascisti, ad eccezione di coloro che potevano contare, in qualche modo, sulla copertura di un certo cattolicesimo organizzato o addirittura del Vaticano.

Nel percorso della sua vita politica è appartenuto coerentemente al partito anglosassone che ha giocato un ruolo fondamentale nelle vicende della Repubblica e, soprattutto, nel passaggio tra la I e la II.

Scalfari alla fine degli anni Sessanta è sponsorizzato dal PSI, ma già è palese la sua guerra contro le partecipazioni statali, anche se selezionate sulla base dell’appartenenza, vorrei dire, più tribale che politica. Un’avversione che anticipa i temi del XXI secolo sulla casta. Mi riferisco a “Razza padrona”, scritto nel 1974 insieme a Turani. Possiamo rintracciare in quel libro il nocciolo duro della sua filosofia politica, più che nel cool “Andavamo la sera in via Veneto”, titolo per altro brillante.

La Repubblica sarà la punta di lancia della polemica, nata berlingueriana, e qui accenno soltanto alla battuta tutt’altro che estemporanea di Giancarlo Pajetta sulla iscrizione diretta di Berlinguer alla Direzione del PCI, sulla questione morale per diventare il cavallo di battaglia degli anni Ottanta contro la rottura degli schemi politici ciellenistici, portata avanti dal riformismo socialista di Craxi – in discontinuità con le logiche di derivazione azionista – e predittiva di un socialismo tricolore, asfaltato da Mani Pulite. A differenza di Benincasa da Laterina scampò al suo Ghino di Tacco.

Bonini: «La Repubblica sarà la punta di lancia della polemica, nata berlingueriana, sulla questione morale per diventare il cavallo di battaglia degli anni Ottanta contro la rottura degli schemi politici ciellenistici, portata avanti dal riformismo socialista di Craxi – in discontinuità con le logiche di derivazione azionista –e predittiva di un socialismo tricolore, asfaltato da Mani Pulite».

Stelio Solinas, nella sua pur stimolante riflessione su Il Giornale, ha commesso un errore nella sua analisi su Scalfari. Gli attribuisce una sconfitta, la scelta di De Mita, che non è così. L’azione di freno al nuovo corso socialista e alla sua affermazione come nuovo polo di una sinistra unita di stampo democratico e nazionale avrà successo. Questa operazione che passa per la scelta di De Mita, ci porta appunto a Tangentopoli in cui persegue il suo disegno con continuità, insieme agli altri media, nessuno escluso – nemmeno la Mediaset di Berlusconi – di abbattimento della I Repubblica e di riallineamento subalterno alle posizioni occidentali più oltranziste nei confronti dell’ex URSS, alla Brzezinski per intenderci. Che, dopo aver consentito l’implosione jugoslava, Kohl complice e Gorbacëv inerte, sfoceranno, caduto il Muro di Berlino, nel bombardamento della Serbia del 1999.

Un altro dialogo tra Bonini e Somigli: Il Grande Giuoco continua – 21/08/2021

Bonini: «L’azione di freno al nuovo corso socialista e alla sua affermazione come nuovo polo di una sinistra unita di stampo democratico e nazionale avrà successo. Questa operazione che passa per la scelta di De Mita, ci porta appunto a Tangentopoli in cui persegue il suo disegno con continuità».

Lorenzo Somigli. Mi inserisco qui e riavvolgo un po’ il nastro. In una antologia degli Anni ’70, ho ritrovato, in chiusura – l’antologia delle medie era un tomo di oltre 1000 pagine, roba che oggi scatenerebbe l’ira dei genitori preoccupati per il troppo apprendimento – un testo di Eugenio Scalfari “La rivolta degli studenti” (L’autunno della Repubblica, Etas Kompass 1969) dove ripercorre le origini del movimento, dapprima in cerca di contro-spazi, fedeli alla Kritische Universität berlinese, fino alle evoluzioni del giugno 1968-estate 1969.

La Repubblica è un prodotto editoriale innovativo, che allinea l’Italia alle evoluzioni globali dei mass media. Al pari di Mediaset, che porterà il modello di consumo stars & stripes al definitivo trionfo, La Repubblica sdogana il new journalism, con una precisa impostazione da tabloid: immagini in evidenza, titolazione geniale ma anche i supplementi, per scandire il quotidiano del lettore ma soprattutto una scrittura ariosa, al contrario del coevo Corriere della Sera, fittissimo e cattedratico, per agevolare la riflessione, financo l’appunto.

Proprio nel testo che citavo, Scalfari evidenzia la capacità del movimento di generalizzare “la lotta e le forme della lotta” ma vede nella sua sparizione dalla pubblica opinione un indizio del suo esaurimento. L’esperimento di Repubblica, credo, servì a costruire un media di riferimento per i figli di quella stagione politica: si rivolge a una gioventù rodata nella lotta politica, instradata verso solide carriere professionali, ma ancora periferica ai gangli del potere e senza copertura mediatica.

Chiudo così: inaugura il giornale intervistando De Martino: “Carte sul tavolo, compagno Berlinguer”, Bocca titola “Innocenti: come si uccide una fabbrica”; in apertura “L’incarico a Moro ma la sfida è sull’economia”. 14 gennaio 1976.

Somigli: «L’esperimento di Repubblica servì a costruire un media di riferimento per i figli di quella stagione politica: si rivolge a una gioventù rodata nella lotta politica, instradata verso solide carriere professionali, ma ancora periferica ai gangli del potere e senza copertura mediatica».

Gianni Bonini. C’è un terreno arato e seminato dal ’68, che anticipa lo scandalismo degli anni successivi. La strage di stato, il 12 dicembre… c’è un humus protestatario e apparentemente antisistema, irrorato con le novità tecnologiche provenienti dagli USA, sintetizzato nella scoperta della gioventù.

Lui provoca Mani Pulite, ne accompagna l’azione giudiziaria e politica, appartenendo a quel partito filo-anglosassone che ha attraversato anche il Ventennio, più che tollerato, protetto. Penso ai grotteschi complotti della corte sabauda che sottendevano una diarchia che la guerra ha smantellato, smantellando il fascismo; l’arresto di Mussolini non ha avuto sostanziali reazioni, nemmeno da parte dei fascisti.

È questo partito che di fatto si trova a gestire Mani Pulite – ciò sta alla base storica dell’attuale crisi euro-mediterranea, le cui radici stanno nella mancata integrazione dell’ex URSS in un sistema democratico e riformista, il colpo di coda fallito nel 2002 di Pratica di Mare.

Con il nuovo secolo la funzione di Repubblica va declinando, forse. Non esaurendosi.

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