«Dei costumi del tempo diamoci meno cura
E facciamo un po’ di grazia alla natura umana;
Prendiamola in esame senza troppo rigore,
E con qualche indulgenza guardiamo i suoi difetti».
Il Misantropo, Atto I
Grazie a e attraverso Raffaele Tarchiani, certissimo lettore e tazebante ante litteram, disveliamo il nuovo spazio Civitas Chianti, un esperimento di ri-territorializzazione, alla costante ricerca di altri luoghi.
Sambuca Val di Pesa, 28 luglio 2022 – È un tentativo, un esperimento, certamente una sfida e risponde a una necessità. Abbiamo spesso trattato del territorio ma senza calarci concretamente in esso, quasi con diffidenza e ritrosia epidermica. I nostri venticinque lettori sanno che ciò si deve alla scotoma dei media nostrali che sovra-espongono e lesti dimenticano le minuterie, senza cogliere la complessità globale donde son generate – il particolare senza il generale.
Il salto evolutivo per Il Tazebao, all’approssimarsi del secondo anno di vita, è tener insieme e, per quanto possibile, connettere l’internazionale, che trattiamo come ancora nessuno tratta, e il locale, così fluttuante, piccolo e umano – tra reciprocità e un ventaglio d’eccezioni. Dischiuso l’estero vicinissimo, il ritorno al territorio, la ri-territorializzazione, dopo aver respirato altri luoghi, alla ricerca di altri tempo-spazi, nostalgico, a ritroso.
Indi per cui, abbiamo scelto il Chianti, un territorio che genera una sua gens e un genius loci, una terra altra, identitaria perché limes. Attraverso Raffaele Tarchiani, imprenditore ma anche da sempre impegnato per la collettività, cercheremo di affrontare il Chianti e coglierne le migliori energie. A lui, che rifugge l’epiteto di presidente e predilige quello di prima luce, il compito di raccoglierle nel gruppo per la pratica dell’obiettivo Il Grande Chianti.
Non abbiamo avuto dubbi nella scelta essendo lui un po’ Fra Diavolo, un po’ strillone, agitato-agitatore, particolarissimo per non dire unico, certamente provocatorio in ispregio ai potenti che se la rifanno con i deboli, eppure giocherellone, congenitamente tra i buoni, teatrale quanto basta.
La conversazione è, come Fabrice Luchini – Serge in Alceste à bicyclette – dice a Gauthier, una “scenetta” fatta molte volte da due amici che si conoscono da anni. E in effetti è una trapunta di pensieri e parole, a due menti, intessuta in anni ma anche ragionata, rivista, scomposta e ritessuta. Suvvia, non indugiamo oltre!
Civitas Chianti, perché civitas contiene la civiltà, la cultura, la cittadinanza e quindi l’identità dinamica, fungerà da contenitore denso e poroso: un’utopia reale ovvero una eterotopia. Anche questa è la pratica dell’obiettivo!
Lorenzo: Tra i miei libri accatastati, che gelosamente tengo su di un comodino stracolmo, sotto la stampa della solitudine di Amleto del Maestro Zeffirelli, c’è Tormenti di un ambasciatore di Alberto Tarchiani – cito anche Il potere che frena di Cacciari, la purezza di Lucrezio e un campionario di cucina futurista che mi ricorda la simultaneità del cocktail. Me lo regalasti anni addietro ma, precisiamo, non c’è legame di parentela tra di voi. Ammetto che quella lettura mi ha segnato, per quella forma di appunti fulminanti come un epigramma; mi hai regalato anche La banda del brasiliano ma è un’altra storia. Considerando quanta cultura ci sia nel dono e dietro il dono e quanto il dono sia centrale in molte culture, perché quel regalo? Perché ti ha colpito e cosa ci dice dell’oggi?
Raffaele: “Ci dice che sono un avido arrogante. In questo momento IL Tarchiani è Alberto Tarchiani. Domani voglio che sia Raffaele Tarchiani. Quel regalo è una dichiarazione di indipendenza. Ti ho dato una prima risposta che ha un valore soggettivo manifesto e oggettivo velato insieme. Con la seconda domanda invertirò: quel libro insegna l’enorme importanza civica di UNA persona che ha rispetto e stima, e pretende rispetto e stima, da QUELLA persona nello specchio, sempre, qualunque attività svolga, anche fosse l’ambasciatore nel paese più potente, che, in quanto tale, è fatto di persone che hanno specchi in casa, sicuramente”.
Lorenzo: So che apprezzi la mescolanza e il sincretismo come suo momento successivo. Spesso mi hai detto che, nel tuo territorio, c’è una difficile sintesi tra indigeni e trapiantati, spesso dal capoluogo. Pensi sia un conflitto risolvibile e come?
Raffaele: “Odio annoiarmi, la mescolanza difficilmente induce noia: non è il mio territorio, sono io ad appartenere al territorio, finché me ne cruccio”.
«Il celebrato Chianti è una frontiera da sempre, in fase di colonizzazione perpetua, perché viene abbandonato e riconquistato da nuovi arrivati sempre più gentili nei confronti di indigeni sempre più cattivi».
“Il fascino sta nel constatare e coltivare un aumento del valore spirituale del territorio e la diminuzione di quello materiale. La soluzione è la lotta, raffinata e decisa di chi arriva, becera e pusillanime di chi non accoglie”.
Lorenzo: Di questo incredibile territorio, mi stupisce non ci sia una narrazione profonda. O meglio, che ci sia una narrazione piatta: il paesaggio, il vino, la colonica. Un po’ stantia? Cosa dovrebbe emergere di più?
Raffaele: “Completamente d’accordo: parola chiave EMERGERE, bravo! Proviamo a dire così: il Chianti è un insieme di atolli, ogni villaggio è un atollo, chiuso, con uno o due ingressi, un ambiente interno protetto. Fuori un mare di boschi, vigne, olivi, in cui sprofondare e da cui estrarre preziosi frutti”.
«Il villaggio galleggia appena sopra la storia, sempre a rischio di esserne coperto e rimanere distrutto da una tempesta di passaggio. Banchi di sabbia spuntano effimeri, sono le case coloniche, più diffuse nel Chianti fiorentino, audaci e rassicuranti lumini sparsi nel buio».
“Il visitatore distratto può percepire una evanescente armonia: sbagliato, l’armonia è solida perché tornato a casa il visitatore svilupperà il desiderio di vivere in Chianti, perché la visione unitaria, senza la massa fluida delle vigne e degli olivi, mostra una enorme città diffusa su tanti colli. Tanti colli, tanto onore!”
Lorenzo: Mi hai confessato che l’allocuzione di Moni Ovadia, premiato alla XXXIII edizione – gli anni di Cristo per non andare troppo oltre – del Festival di Tignano, ti ha incantato e il suo stare dalla parte degli ultimi ha colpito anche me. Cosa possiamo contribuire a trasmettere ed eternare dei suoi pensieri?
Raffaele: “Per coerenza al Chianti: stare dalla parte dei perdenti induce modestia, ritrosia e responsabilità, che sono tutto! Servono a fare e a farsi domande giuste e pretendere da sé e dagli altri le risposte”.
«La pace si vive quando il singolo fa esercizio di vita da straniero tra gli stranieri; la pace è la più impegnativa delle guerre poiché combattuta da uomini capaci, motivati da popoli capaci, a usare la testa e non le armi».
Toscana Chianti Ambiente: “Festival, è il tempo dei premi a Moni Ovadia e Stefano Liberti” – 12 luglio 2022
Lorenzo: A casa c’è ancora il quadro della donna del Cadore, in abiti tradizionali, che era della nonna. Nell’altra, dello zio, c’è quell’omaggio a Longarone. Come sai, parte della mia famiglia proviene da lassù. Ricordo che – intreccio di tempi e spazi e storie – anche in Barberino Tavarnelle c’è una comunità di “esuli”…
Raffaele: «C’è una comunità che rievoca un atto di eroismo, una generazione di Longarone è cresciuta insieme ad una del Chianti: la prima volta che li vidi insieme, non potei altro che soccombere alla commozione di vederli ancora felici di rivedersi. Longarone in Chianti esiste di fatto».
Lorenzo: Sei stato un fermo sostenitore della fusione tra i due comuni, Barberino e Tavarnelle. Unificare tutto il Chianti fiorentino? E quello senese?
Raffaele: “Nel prossimo futuro, amministrativamente, è ineluttabile avere amministrazioni comunali inferiori a 50.000 abitanti”.
«Socialmente, fioriranno gli orgogli locali per reazione alla aggregazione: contrapposizione, antitesi continua, antagonismo, lotta collaborativa, anche questo lo ha detto Ovadia spiegando che lo studio del Talmud si fa in due che DEVONO criticarsi senza pace per non farsi la guerra. Ma non serve Ovadia ad insegnare questo ai chiantigiani fiorentini. Forse servirebbe di più a quelli senesi».
Lorenzo: Come la regione alpina, come un grande spazio mediterraneo – koinè se preferisci – Chianti regione d’Europa?
Raffaele: “No, la mia nazione è l’Europa, la mia regione è l’Italia, il mio comune è il Chianti”.
Lorenzo: Come connettere questo Grande-piccolo Chianti al mondo, che tanto lo brama?
Raffaele: “La FRONTIERA ha sempre attirato genti da tutto il mondo: una frontiera della parola, illuminata dalle LUCI del coraggio e della esuberanza. Qui queste luci ci sono: trovatele, sono persone”.
Civitas Chianti, atto II. Un polo di attrattività? La visione di Claudio Tongiani (Confindustria Fiorentina Sud – Chianti) – Il Tazebao (13 agosto 2022)
Lorenzo: Tunisia, Libano, Turchia, intravedi, nel gurgite vasto, opportunità per il Grande Chianti nell’Ak-deniz?
Raffaele: “Tunisia: se entrasse in Europa, non saremmo più noi i meridionali! Comunque sarei felice se si volessero, un po’, non tanto, affidare ai chiantigiani, per discutere, di quello che vogliono, alla bisogna. Libano: è una altra situazione, dovremmo andare lì, prima fare in Chianti quello che dovrebbero fare in Libano e poi…”
«Turchia: è su una dimensione completamente diversa dal Chianti, possiamo solo offrirgli un po’ di sollievo, e distrazione impegnata, dalle pesanti responsabilità che si sono assunti in tutto lo scacchiere asiatico turcofono, se loro non reggono lo stress, sentirai che botto».
Lorenzo: La grande crisi ci spinge a nuove forme di solidarietà orizzontale; penso al Salvatore che tiene pulito e sicuro il sottopasso delle Cure nel bel Campo di Marte e che ier l’altro suonava, con tanto di mini-megafono, un’armonica senza stecche, non dico blues ma poco ci manca, e riecheggiava tutta.
Raffaele: “Scusa, spiegami la solidarietà verticale, anzi te la spiego io: essa è la compensazione alla avidità e si attua con le tasse. Tutto quello che il singolo fa dopo aver pagato le tasse è solidarietà SE non adora gli oggetti ma la parola, qualunque parola”.
Lorenzo: Eterotopia è uscire dall’inquadratura, oltre il bordo, smarcarsi dallo schema, eterotopia è guardare nella fessurazione del muro. Per me l’eterotopia è quel luogo-non luogo che cambia dimensione dove il potere (ancora) non arriva. Per te?
Raffaele: “La seconda che hai detto, perché l’eterotopia è ridere per il fascino delle idee”.
Lorenzo: Ti senti sufficientemente tazebante?
Raffaele: “Non lo so. Sicuramente adoro i Tuoi articoli di geopolitica che hanno un solo concorrente: Lotta Comunista!”