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C’era una volta – “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora”

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Le elezioni in Israele potrebbero portare a un cambio nella politica nei confronti del Libano e soprattutto di Hezbollah. I possibili scenari e gli attori in campo.

Il 28 marzo Arab News pubblica un articolo della dottoressa Dania Koleilat Khatib, specialista nelle relazioni arabo-americane con un particolare focus sul lobbying, con il seguente titolo: “Why Lebanon should also look East” [1] (“Perché anche il Libano dovrebbe guardare ad Est”), in cui si tratta della crisi libanese alla luce del voto israeliano, ipotizzando i possibili scenari che si apriranno.

Si considera ancora una volta il Libano come un microcosmo nel complesso e variegato macrocosmo mediorientale.

Sembra di rileggere Oriana Fallaci quando apre il secondo capitolo di “Insciallah” con la descrizione della città di Beirut:

“Per un tempo che a molti sembrava immemorabile e che invece risaliva ad un passato recente, Beirut era stata una delle contrade più gradevoli del nostro pianeta: un posto comodissimo per viverci e per morirci di vecchiaia o di malattia. Sia che tu fossi ricco e corrotto, sia che tu fossi povero e onesto, lì trovavi il meglio che una città possa offrire: clima dolce d’estate e d’inverno, mare azzurro e colline verdi, lavoro, cibo, spensieratezza che vendeva qualsiasi piacere, e soprattutto una grande tolleranza perché malgrado la babele di razze e di lingue e di religioni i suoi abitanti andavano d’accordo fra loro. I musulmani sciiti o sunniti coabitavano garbatamente con i cristiani maroniti o greco-ortodossi o cattolici, gli uni e gli altri con i drusi e gli ebrei, le litanie dei muezzin si mischiavano con disinvoltura al suono delle campane, nelle chiese non si maledicevano i fedeli delle moschee, nelle moschee  non si maledicevano i fedeli delle chiese, nelle sinagoghe non si disprezzavano i fedeli delle une e delle altre  e ovunque si celebravano senza problemi i riti dei diciannove culti permessi dalla Costituzione. […] Fin troppi peccati commessi ed ammessi”. [2]

Ancora Israele?

Perché partire da Israele? Secondo l’autrice, la preoccupazione israeliana è la precisione dei missili di Hezbollah. Missili che spesso e volentieri sono diretti dal Libano verso sud, verso Israele per l’appunto. Dall’inizio dell’anno, il governo israeliano a guida collegiale Netanyahu-Gantz, pur mantenendo alta ed aggressiva la retorica contro Hezbollah, non l’ha trasformata in un’azione concreta contro di esso temendo anche una possibile ripercussione negativa dell’opinione pubblica all’indomani del voto. Ma adesso che le elezioni sono passate e hanno designato per la quarta volta in due anni Netanyahu vincitore che, però, fatica a costruirsi una maggioranza mentre l’elettorato israeliano rimane molto frammentato, sulla scia del ragionamento della dottoressa Khatib, gli scenari possibili post-voto sono tre.

Le opzioni

Coalizione di destra, formata con sudore e sangue da Bibi e dunque a guida Likud, guida che stavolta potrebbe essere più aggressiva nei confronti del Libano se Ra’am decide di far parte della maggioranza (la “questione palestinese”, come avevamo preannunciato, perderebbe la sua centralità almeno in patria).

Coalizione di sinistra che raggrupperebbe tutti i partiti di centro-sinistra e possibile adesione di Ra’am; coalizione frammentata programmaticamente perché l’unico punto di contatto fra i suoi partiti è la volontà di mettere all’angolo Netanyahu. Che decisione potrebbe mai adottare in politica estera un tale governo, si domanda l’esperta, se un partito di sinistra come Meretz invoca lo stop all’occupazione della Cisgiordania e un partito come Blu e Bianco di Benny Gantz è fiero sostenitore dell’occupazione?

Una terza opzione è che la situazione di stallo rimanga e che il paese si diriga a una quinta elezione nei prossimi due anni. Opzione, come abbiamo detto spesso, non così remota.

Tuttavia, un governo di “estrema destra”, alternativa più in voga al momento, (“far-right government” precisa attentamente l’esperta) che ha una visione più estrema sulla sicurezza nazionale e sui palestinesi, potrebbe essere attratto dal colpire il Libano, soprattutto se un nuovo leader emerge e vuole dimostrare che è più “duro” (tougher) del suo predecessore, come quando Ehud Olmert ha colpito il Libano dopo essere succeduto ad Ariel Sharon nel 2006.

Se il caos divora il Libano chi potrebbe trarne maggior vantaggio?

Riportando ancora le parole di Oriana Fallaci: “[…] Ma un brutto giorno erano arrivati i Palestinesi. Erano arrivati con la loro rabbia e il loro dolore e i loro soldi. Molti, moltissimi soldi. E grazie a quei soldi, visto che a Beirut si poteva comprare tutto fuorché l’immortalità, s’erano comprato il permesso di stabilirsi in tre zone della periferia musulmana: Sabra, Chatila e Bourji el Barajni.

[…] Avevano istaurato uno Stato dentro lo Stato: una nazione con le sue leggi, le sue banche, le sue scuole, le sue cliniche, il suo esercito. Un autentico esercito, fornito di uniformi e caserme e carri armati e cannoni a lunga gittata […] grazie alla mafia locale riceveva ogni tipo di equipaggiamento compreso il materiale necessario a scavare un’altra città: invisibile e inespugnabile. Un labirinto di catacombe che custodivano tonnellate di armi e di munizioni, di gallerie che contenevano camerate per i combattenti e sale chirurgiche e centrali radio”. [3]

Israele non vuole che il suo vicino Libano sia in preda al caos, ma non deve nemmeno essere riappacificato dalle potenze straniere, europee in particolar modo. Israele ha un forte interesse che il nemico vicino goda di una stabilità interna relativa, stabilità politica e sociale. Se il paese precipita nel caos più totale, Hezbollah potrebbe essere l’unico soggetto a trarne vantaggio. Hezbollah è molto e ben organizzata dal punto di vista militare e può benissimo riempire il vuoto istituzionale che verrebbe a crearsi.

In merito alla capacità di Hezbollah di resistere alle sollecitazioni esterne, che non hanno prodotto l’effetto sperato, segnaliamo la pregevole intervista de Il Tazebao a Maroun El Moujabber (“Il Libano cartina di tornasole del Medioriente”) in cui il tema è stato trattato con accuratezza.

Tornando a quanto riferisce l’esperta, due settimane fa, il capo dell’esercito libanese ha messo in guardia l’élite politica dei rischi che il paese potrebbe correre nel caso in cui l’esercito si dovesse trovare privo di finanziamenti.

L’ordine sociale del paese dei Cedri è fragilissimo. Fra gli stessi libanesi sta crescendo il malcontento verso Hezbollah e chiedono insistentemente il suo disarmo (“From the Lebanese, who are blaming it for their problems and more insistently asking for its disarmament”) [4]. Israele, dal canto suo, è consapevole che Hezbollah non ha più il sostegno quasi unanime che aveva quando ha colpito il Libano nel 2006 e la percezione della minaccia è sempre la componente più allettante della retorica di destra. Colpire adesso Hezbollah getterebbe il paese nel caos assoluto e si dimostrerebbe una mossa poco lungimirante politicamente: un’azione rapida contro Hezbollah indebolirebbe il gruppo musulmano adesso, ma avrà modo di riprendersi e di prendersi il Libano. Creando una seria minaccia per il confine settentrionale israeliano.

Mosca come possibile mediatore e garante

Usa, Francia e Russia, quest’ultima forte della sua posizione in Siria, stanno cercando di far convergere gli interessi di tutti i partiti verso un governo stabile capace di attuare tutta una serie di riforme di cui il paese ha tremendamente bisogno e di renderlo ammissibile ai programmi di aiuti internazionali. Mentre, però, sono concentrati su questo, non hanno prestato attenzione al tacito conflitto tra Israele e Hezbollah. Tacito per adesso.

Fra le tre potenze, la Russia è quella in vantaggio: Vladimir Putin si è sempre mostrato disponibile a dialogare con tutte le parti coinvolte, in qualsiasi parte del globo. Russia e Hezbollah si sono schierate dalla stessa parte in Siria sostenendo il presidente Bashar al Assad. Durante la “campagna di Siria”, Israele bombardava Hezbollah, probabilmente con il tacito placet di Mosca che non si è mossa in difesa del suo allora “alleato”.

Ecco che Mosca può e dovrebbe ergersi a mediatore e garante tra le due parti; con i libanesi che chiedono il disarmo di Hezbollah come citato prima, Mosca può influire su quest’ultimo chiedendo di congelare momentaneamente il suo arsenale, e cioè ridurre il flusso di armi proveniente dall’Iran e mediare un patto di non aggressione tra le forze armate libanesi e Israele. Questo patto rimarrebbe in vigore fin quando la situazione non si stabilizza e si terranno le elezioni per un nuovo parlamento. Sarà compito di questi nuovi parlamentari decidere sul destino delle armi di Hezbollah (“These lawmakers would then decide the fate of Hezbollah’s weapons”) [5].

La dottoressa Khatib suggerisce anche che questo progetto di cui Mosca potrebbe assumersi la paternità, se risulterà vincente, verrà preso come modello anche per future cooperazioni, perché no, tra Russia e USA nella regione. E cita espressamente il caso della vicina Siria.

La delegazione di Hezbollah “in visita” a Mosca e la reazione israeliana

Il 15 marzo, Mosca ha ospitato per tre giorni, consultazioni tra esponenti di Hezbollah guidati da Mohammad Raad, responsabile della fazione “Lealtà alla Resistenza”, e politici russi (il ministro degli Esteri Sergei Lavrov era il capo della delegazione russa). Hezbollah non ha annunciato ufficialmente la visita della delegazione a Mosca, ma informazioni da ambienti politici libanesi [6] affermano che la parte russa, ha sollevato con Hezbollah la questione della formazione del governo libanese. Il The Arab Weekly [7] ha aggiunto che Mosca aveva sollevato la questione anche con gli iraniani, che hanno risposto che una tale questione dovrebbe essere discussa con Hezbollah, non con loro.

Fonti libanesi [8], tuttavia, affermano che le ambizioni di Hezbollah di controllare il prossimo governo sono il principale ostacolo alla soluzione della crisi.

Il viceministro degli Esteri russo, Mikhail Bogdanov, ha detto durante i suoi contatti con un certo numero di funzionari libanesi in concomitanza con la visita della delegazione di Hezbollah a Mosca,

“è tempo di un accordo che vada verso la formazione di un governo”. [9]

La reazione israeliana è arrivata puntuale come un missile Jericho III. Benny Gantz, qualche settimana fa ancora ministro della Difesa, sempre secondo The Arab Weekly, ha affermato: “We’re prepared for every scenario on the northern front. I’d recommend that the Lebanese side not test the IDF’s abilities” [10] (“Siamo pronti per ogni scenario al confine nord. Raccomanderei ai libanesi di non testare le abilità delle forze armate israeliane”). È come se Gantz mettesse in guardia il vicino: per Israele non c’è più alcuna differenza tra Hezbollah ed il Libano. Infatti, continua rincarando la dose: If we have to go to battle, Lebanon will tremble and Hezbollah will be fatally wounded” [11] (“Se dovessimo arrivare alla guerra, il Libano tremerebbe e Hezbollah sarà ferito fatalmente”).

Uri Gordon, maggior generale delle forze armale israeliane, ha dichiarato che secondo le stime israeliane Hezbollah oggi ha un arsenale di circa 150.000 razzi, e alcune delle sue armi possono colpire qualsiasi punto all’interno di Israele. [12]

Conclusioni

“Parlare di Libano significa parlare di qualcosa che esiste a intermittenza, proprio come la luce elettrica nelle case dei suoi cittadini” scrive Andrea Baldi su Geopolitica.info [13].

Il paese è stato colpito da una gravissima crisi economica che ha costretto il governo, l’estate scorsa, ha dichiarate il default. I cittadini scendono ciclicamente nelle piazze per protestare contro l’incapacità dell’élite politica di far fronte alle varie crisi che governano il paese. La pandemia globale non ha di certo risparmiato il Libano, aggravando ulteriormente la situazione e le ingerenze straniere, visto la sua strategica posizione geografica, sono molte e discordanti tra loro. Gli interessi dell’una confliggono con gli interessi dell’altra trasformando il paese dei Cedri in un ring da boxe.

L’intervento russo potrebbe placare la turbolenta situazione trovando un accordo, seppur momentaneo, tra le forze in campo: perché mentre l’Unione Europea ed anche gli USA fanno leva sullo strumento anacronistico ormai delle sanzioni, la Russia dialoga direttamente con tutti i protagonisti. Le sanzioni in Medio Oriente non conducono al risultato sperato: i popoli che vi abitano sono abituati alle privazioni, vivono in condizioni avverse e precarie benissimo.

Il confine tra passato, presente e futuro è quasi invisibile in un paese in cui la percezione del tempo sembra variare con la geografia.


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