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Transizione ecologica, un grande abbaglio?

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Lorenzo Somigli: “La transizione ecologica ridisegna le basi stesse del modello democratico”. Francesco Casini: “Può essere l’inizio di una contrazione di uno stile di vita”.

Quali sono le prospettive della transizione ecologica e come si stanno posizionando e riposizionando gli attori globali? Da questi temi si è sviluppata la riflessione di Francesco Casini, giornalista e direttore di Progetto Prometeo, e Lorenzo Somigli, fondatore de Il Tazebao, nella nuova diretta Instagram di approfondimento.

Lorenzo: “Da sempre le ambizioni di potenza si sorreggono sulle scelte in campo energetico. Senza stabili approvvigionamenti energetici non si possono coltivare velleità di alcun tipo. E il controllo delle risorse energetiche determina anche le azioni sullo scacchiere globale. Quando la Royal Navy di John Fisher sceglie di abbandonare il carbone per il più pratico petrolio si apre una nuova finestra sul Medioriente. Anche in questo si può leggere lo scontro, che offre comunque punti di incontro ove non di congiunzione, tra Stati Uniti e Cina. Un capitalismo fossile che invecchia sempre di più, e, insieme, il modello democratico che ha generato, e un capitalismo di stato che sta forzatamente cambiando le basi energetiche del suo sviluppo perché non intende in alcuni modo rinunciare al suo sviluppo ma lo vuole fondare su basi meno impattanti. Chiamiamola, se vogliamo, via cinese…”

«Un capitalismo fossile (USA) che invecchia sempre di più, e, insieme, il modello democratico che ha generato, e un capitalismo di stato (Cina) che sta forzatamente cambiando le basi energetiche del suo sviluppo»

Francesco: “La Cina si sta muovendo molto sull’energia nucleare ma anche sul fronte delle rinnovabili, di cui è primo produttore in termini di eolico, solare ed idroelettrico. Però è anche vero che i programmi nucleari ci mettono molto ad andare a regime, da quando viene decisa la costruzione a quanto diventa efficiente passano anni. Anche per questo oggi la Cina rifiuta di abbandonare le fonti fossili, il cui consumo aumenta nella RPC (carbone, petrolio, gas naturale). Se intende continuare a crescere non può fare altrimenti. E questo la fa dipendere dalle importazioni, che passano tutte per Malacca e Hormuz – controllati da potenze ostili o comunque alla base di crisi internazionali. Per il carbone idem, viene dall’Australia con cui la Cina è ai ferri cortissimi.

Per quel che riguarda gli Stati Uniti, diversi programmi specie di eolico offshore sono stati introdotti dall’amministrazione Biden, ma c’è una considerazione politica. Gli USA oggi sono passati da essere importatori ad esportatori di petrolio grazie all’estrazione dello shale oil grazie a nuove tecniche estrattive (cracking e fracking). Ne consegue un’esplosione nella produzione, che raddoppia dal 2010 e nel 2017 raggiunge l’autarchia petrolifera. Il 2020 segna un’inversione eccezionale legata al Covid, però si tratta di un intoppo situazionale. Colpire questa produzione significa colpire milioni di lavoratori (votanti) e privandosi di un asset molto importante – ricordiamoci che la transizione la paga sempre qualcuno. La deindustrializzazione, ad esempio, ha portato allo sviluppo di attività ad alto valore aggiunto nei Paesi occidentali, ma è stata una tragedia per milioni di persone che erano impiegati in settori come quello delle auto”.

Lorenzo: “La transizione ecologica non è una passeggiata di salute come viene venduta, è una strettoia e per un paese manifatturiero, di trasformazione, ma anche energivoro come il nostro, rischia di essere un bagno di sangue se non adeguatamente letta e controbilanciata. Dobbiamo averne contezza e muoverci di conseguenza. Non si tratta solo di una rimodulazione delle fonti di approvvigionamento energetico, obiettivo condivisibile pur con tutti i limiti delle rinnovabili. Il nostro modello economico si è basato sull’accesso, pressoché illimitato, alle fonti fossili che hanno garantito stabilità e sviluppo continuativo. Il cambio, più forzato che graduale, porta una contrazione dei consumi, delle aspettative, della qualità della vita. Porta a ridefinire le basi stesse del modello democratico che, fino ad oggi, si è basato sul benessere diffuso e accessibile, e che ha avuto nella classe media, la più penalizzata, il suo perno principale. Da tutto questo discende che dobbiamo avere un approccio neutro, pragmatico, valutare tutte le opzioni energetiche, tutte le tecnologie, incluso il nucleare, che abbiano la caratteristica comune delle basse emissioni di CO2″.

Sul nucleare: Akkuyu, il nucleare turco. Massimo Giorgi spiega il progetto – Il Tazebao

Francesco: “Il punto da far comprendere che spesso viene trascurato è che la narrazione entusiastica della transizione – posto che ridurre le emissioni è una necessità – significa rinunciare allo stile di vita con cui sono cresciute le generazioni prima della nostra. I Paesi sviluppati hanno emissioni per capita rispetto ai paesi ancora non industrializzati, ovviamente. Solo in questi posti si parla di porre un freno al consumo energetico. Se però gli Stati decideranno di limitare i consumi energetici lo faranno aumentando il prezzo dell’energia per le cose “non necessarie”. Sembra una cosa universalmente giusta, ma cosa succede se la mettessimo dicendo che farsi una doccia più lunga di dieci minuti diventerà un privilegio per pochi? Ovviamente anche qui ad essere colpita sarà la classe media, che in termini assoluti è oggi quella che consuma di più (in termini relativi meno dei ricchi, ovviamente).

«Bisogna comprendere che la transizione significa la rinuncia ad uno stile di vita con cui sono cresciute generazioni».

Si potrebbero creare delle situazioni di instabilità, ma non solo. Poniamo il caso della carne di manzo, che noi occidentali mangiamo spesso. Se limitiamo le emissioni anche quel tipo di industria andrà compressa, dato che è quella che consuma più CO2. Farlo vuol dire aumentare i prezzi e il discorso non cambia, rischia di diventare un privilegio per pochi. E che dire del nostro modo di abitare? Le abitazioni monofamiliari oggi sono cosa “normale”, ma anche poco ecologica. Siamo disposti a adottare soluzioni in cui più famiglie vivono insieme come nelle Kommunalka sovietiche?

Si tratta di cose che modificano direttamente il nostro vivere quotidiano. Non bisogna dimenticarsi che per noi cittadini transizione energetica vuol dire anche questo. A pagare sarà la classe media, la stessa che ha pagato il prezzo più costoso della globalizzazione. Tutto questo aggiunto all’idea che si affaccia sempre più spesso di intervenire direttamente sulla demografia “dell’umanità”. Ma l’umanità non è un soggetto politico. Alcune zone hanno demografie insostenibili, in altri luoghi come Europa e Giappone gli abitanti diminuiscono. Se diciamo di limitare le nascite stiamo dicendo una cosa sensata, ma ogni Stato può pensare la propria. Nessuna comunità internazionale può andare a intervenire efficacemente sulla demografia della Nigeria. Non bastano preservativi e cultura. Ci possiamo “impegnare” dall’esterno ma questi continueranno comunque a crescere, nessuno può decidere (nel senso che ne è in grado o ne ha i mezzi) per loro. Che poi ci sarebbe da dire che spesso quando si decide di adottare politiche demografiche non va a finire bene…

E poi c’è il discorso energie rinnovabili. Almeno, quelle che vengono comunemente considerate sotto questo nome e cioè geotermico, idroelettrico, eolico e solare. Le prime due fonti dipendono dal territorio: il geotermico lo possiamo installare in Islanda ma non in Germania, mentre per l’idroelettrico servono corsi d’acqua che si prestino, come quelli che scendono dalle montagne. Dove si possono fare funzionano ma non può essere una soluzione globale. Per quel che riguarda eolico e solare abbiamo diverse criticità. La produzione di energia di pale e pannelli dipende molto dalle condizioni metereologiche, dunque non è costante. Il solare produce energia solo di giorno, l’eolico quando c’è vento. Oggi non abbiamo ancora delle batterie così grandi da stoccare energia per una città (nemmeno un paese) e anche se ci si sta lavorando la strada è lunga.

Come facciamo dunque? Credo che l’unica alternativa sia utilizzare tutto il ventaglio di possibilità senza farsi tappare gli occhi dall’ideologia. Le rinnovabili “canoniche” servono, ma da sole non bastano. Bisogna considerare alternative, come l’energia nucleare. Nella fase di transizione poi sarà molto difficile fare a meno delle fonti fossili, che dovranno essere eliminate gradualmente. Alcune forze politiche a mio avviso hanno una visione miope, che è tutta idealismo e poca sostanza. Prendiamo i Verdi tedeschi, sono ideologicamente ostili all’energia nucleare, motivo per cui oggi propongono addirittura di aumentare la produzione da carbone. I Verdi scandinavi, invece, anche loro una forza progressista, sono generalmente a favore. È la dimostrazione che non si tratta di ambientalismo, ma di pregiudizio”.

Sul tema della transizione ecologica segnaliamo anche i contributi di Mario Verna, direttore generale di Queen Car:
  1. L’altra faccia della transizione “ecologica” (introduzione) – Il Tazebao
  2. È sempre una questione di dati… – Il Tazebao

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