Il Tazebao – Siamo dunque arrivati al fatidico 20 gennaio: alle nostre ore 18:00, Donald J. Trump giurerà di nuovo come Presidente degli Stati Uniti d’America, quattro anni esatti dopo aver lasciato la Casa Bianca in mezzo a rivolte, polemiche e accuse di brogli, senza neanche accogliere l’allora entrante presidente Biden come da formula di rito. Sebbene abbia incentrato la sua seconda campagna elettorale sulla promessa di “far finire la guerra in Ucraina in 24 ore”, già ci si è ridimensionati all’obiettivo “entro Pasqua” o “in sei mesi”; Trump dovrà infatti, grossomodo, ricominciare tutto da capo per quanto riguarda i progressi nelle relazioni con la RPD di Corea, con una Corea del Sud instabile e ancor più ostile rispetto a quattro anni fa (ricordiamo che, tra fine 2023 e inizio 2024, Pyongyang ha abbandonato ogni progetto e obiettivo di riunificazione pacifica della penisola coreana), un Giappone tanto instabile all’interno quanto bellicoso all’esterno (ha appena istituito una propria missione indipendente presso la NATO), e un’America Latina largamente a sinistra a cominciare dal confinante Messico. Gli obiettivi in questo continente, nonostante le rivelazioni di Maduro sulla volontà del tycoon di intrattenere buoni rapporti con Caracas frenata da John Bolton, sono Venezuela e Cuba. I primi rimangono però Iran e Cina, da vedere se, quanto e quale seguito avranno le sue rivendicazioni su Canada, Messico e soprattutto Panama e Groenlandia. Ce n’è abbastanza per chi sognava un “presidente di pace”: l’America First passerà ancora una volta, verosimilmente, dalla corsa agli armamenti. (JC)

Grand Hotel Gaza o la diplomazia delle betoniere
Una riflessione sul modello capitalistico su cui poggia il “piano” di Trump per Gaza. Il Tazebao – Gaza è ground