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La Grande Sultana si è mossa

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La via turca verso la modernità e le nuove ambizioni di Ankara. Roberta Văduva e Lorenzo Somigli dialogano sulla Turchia, potenza vecchia-nuova.

Dedichiamo questo dialogo a un fine conoscitore della Turchia, il giornalista Giuseppe Mancini, scomparso prematuramente. Mancini ci ha donato alcune analisi di alta profondità e competenza, che sono da esempio per chiunque voglia trattare di estero o non si voglia limitare ai pochi stringati e laconici bollettini. Cotidie morimur e, quindi, dobbiamo accettare, certo è che ci ha lasciato molto: lo stimolo, la scintilla, la curiosità per un paese vario. Scippiamo al Poeta – non ce ne voglia – il titolo adattandolo alle contingenze: curiosamente, un secolo dopo, la Grande Proletaria è tagliata fuori dalla Libia, fulgido esempio di tribalizzazione, dove nel 1911 approdava pomposamente banchettando sulle spoglie degli Ottomani, i discendenti dei quali si sono ripresentati e oggi occupano stabilmente il territorio.

Lorenzo Somigli: “Un successo (o un insuccesso) non è mai causale. Il rinnovato peso globale della Turchia, il suo dinamismo e la costante presenza negli scenari strategici, in Libia e nel Corno d’Africa, sono frutto di scelte di lungo periodo e della sedimentazione di processi lenti. Innanzitutto, l’eredità del Kemalismo è tangibile, e si rinnova quotidianamente. Si può vivere in Anatolia, nel Caucaso, affacciati sul mare nostrum (Ak Deniz) o sul Mar Nero ma la mezzaluna e la stella su fondo di rosso squillante uniscono tutti. Da identità sparse è nata una nazione. E non era e non è scontato. La Repubblica Turca nasce il 29 ottobre 1923, quasi cento anni fa, in Italia era appena iniziato un periodo di tutt’altra natura.

Negli anni successivi alla Seconda Guerra Mondiale la Turchia è partner strategico della NATO, se consideriamo la sua posizione di ponte naturale, e rappresenta un saldo antemurale contro gli appetiti di Mosca: la base di Incirlik e le sue numerose bombe atomiche (dati ufficiali riferiscono circa 80) parlano chiaro. Negli ultimi decenni, inoltre, la Turchia investe in infrastrutture, costruisce, collega i suoi variegati territori e si collega con il mondo e questo lo dico memore delle tante battaglie per le infrastrutture, come l’aeroporto a Firenze: le infrastrutture sono la nostra porta verso il mondo.

Il compianto Giuseppe Mancini ci ha donato un’acuta riflessione Kanal İstanbul: La cultura del Bosforo. A colloquio con Giuseppe Mancini – Il Tazebao

Antalya, insomma, ben rappresenta la nuova Turchia di Erdoğan. Subito si nota la forte urbanistica, il governo scientifico dello sviluppo urbano, la progettazione, l’uniformità che si traduce in case in serie, moschee in linea con il paesaggio, che sembrano quasi chiese bizantine, spoglie, contenute (ma ricche all’interno). La religione irrompe con pudore, solo negli orari di preghiera con il canto del muezzin che scandisce un altro ritmo sociale, parallelo e non ostile. A vederla sembra l’impianto di una città europea, tedesca e giustamente mi ricordi che perfino Ankara ricevette il contributo di architetti tedeschi, come Jansen, già noto per il piano “Groẞ-Berlin”, che, non a caso, contemplava la tutela del verde urbano.

In più, grandi palazzi, tutti dotati di pannelli solari per riscaldare l’acqua – con buona pace della nostra transizione green – molto recenti (dagli anni ’80 in poi), giardini dove le persone si incontrano, il vivace bazar che tutto mischia. La loro urbanistica mi affascina. Le linee tramviarie che tutto connettono, i cimiteri non separati dal tessuto urbano ma abbracciati da viali e quartieri, queste nuovissime gated communities equipaggiate di tutto”.

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Roberta Văduva: “È una società piramidale e sistemica, anche se organica sarebbe il termine giusto. Mi spiego: ognuno conosce, accetta, è fiero e geloso del proprio posto nella piramide. Tutti sono consapevoli della propria importanza e utilità nella comunità. E ciò non è dovuto affatto alla temperanza che Platone individuava come collante della società da lui ideata, ma è imputabile alla religione. Una religione pudica, che ognuno vive come meglio crede (non rimaniamo attaccati in eterno alla conversione di Aghia Sophia in moschea).

Tutto è molto ordinato ed armonico: gli ingranaggi della vita quotidiana, una vita lenta, calma e segnata da lunghe pause conviviali e di socialità scandiscono l’inevitabile passare del tempo. Il muezzin ce lo ricorda ogni giorno, cinque volte al giorno!

Quando senti il suo lamento (chiamiamolo lamento perché trasmette bene l’idea del pathos, della trascendenza divina), sai già che ore sono senza il bisogno di guardare l’orologio: è il momento di fermarsi un attimo e dare un senso a ciò che si fa e organizzare la propria giornata.

La comunità è un’organizzazione sociale ancora molto forte e sentita, sia dagli anziani sia dai giovani. L’urbanistica si innesta artificiosamente sul costrutto della comunità e, contemporaneamente, aiuta a preservare questa entità sociale.  Mi viene in mente il ragazzo giovane che è venuto in moschea a pregare mentre noi ci meravigliavamo della spiritualità che si respirava in quel luogo. Quella moschea, dall’aspetto esteriore poco gradevole, povero, ma così barocca all’interno con quel contrasto rosso – blu molto accentuato, è la rappresentazione del cittadino turco: a prima vista può sembrare poco amichevole, chiuso e poco cordiale, ma, ora che anche tu hai avuto modo vi vivere l’umanità turca sulla tua pelle, ti sei accorto della loro calorosa accoglienza e gentilezza. Eh, l’umanità…questo extraterrestre per il decadente Occidente! 

Non riesco davvero a togliermi dalla mente quell’immagine: un giovane da una parte, un anziano dall’altra, solo loro due, gettati a terra, a pregare in silenzio. Ti svelo un altro particolare: mentre l’anziano aveva un tappetino per la preghiera, il giovane è arrivato lì con il suo giacchetto e si è seduto su quello. Ritornando all’aspetto esteriore dell’edificio: palesemente la struttura è di recente costruzione intorno a un minareto retrodatato. Il nuovo che si modella sul vecchio e intorno al vecchio. La Repubblica turca abbraccia l'”occidentalismo” e il “moderno”, rimanendo fedele alla sua tradizione e cultura. E il ‘vecchio’ non puzza di morto come è già avvenuto in molte parti del mondo, ma convive perfettamente con il nuovo”.

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Lorenzo: “Una via turca alla modernità. Una via rispettosa del proprio passato, conscia che ogni cesura netta e non meditata con la tradizione potrebbe portare a nuove, insanabili lacerazioni, autenticamente conservatrice nel senso prezzoliniano del termine. Non un rigetto del nuovo, non un’apostasia del vecchio: un altro modo di porsi rispetto al cambiamento, che non è negativo né positivo tout court ma va compreso e interpretato ben sapendo che se fino ad oggi si è fatto in un certo modo non è necessariamente un errore. È una via che dimostra estrema consapevolezza, lontana l’ideologia del nuovismo, non c’è traccia di cancel culture. Hanno costruito ex novo un’identità nazionale ritagliando uno spazio per la religione non avversativo, non parallelo, che si interseca. Se ripenso al travagliato percorso italiano, dalla lotta contro la Chiesa fino al riconoscimento del pluralismo con la revisione del Concordato grazie a Craxi, quello turco è un esempio notevole…”.

Roberta: È il loro modo di vivere, che ci piaccia o no. Non ci possiamo fare niente. Non possiamo e non dobbiamo imporre loro niente. La loro autenticità, l’ancoraggio e la manifestazione di questa, fanno paura. I mediorientali in generale, citiamo in ballo anche l’esempio libanese per navigare in acque sicure, sono persone alla mano, sbrigative. Un po’ per loro natura, un po’ anche dovuto alla storia travagliata e sofferta della regione e di ogni paese di questa in particolare, hanno imparato bene a fare tutto da soli, a non aspettarsi niente da nessuno: i turchi sono in grado di organizzare l’evento più grandioso di sempre la sera prima, e possiamo essere certi che verrà un successo. Questa è la resilienza, termine molto in voga in Europa, per non parlare delle acque di casa dove si vive solo di “andrà tutto bene” e “ne usciremo migliori”, come e quando è mistero!

Voglio soffermarmi un momento in più sull’autenticità turca: perché le telenovele turche hanno così tanto successo?  Eppure, mostrano chiaramente la vita turca, quella di Istanbul in prevalenza, ma pur sempre la vita turca. Drama a iosa, come se non ci fosse un domani, quartieri limitrofi al Bosforo come ambientazione principale, donne da copertina all'”europea” e donne coperte all'”orientale”, nessuno scandalo, e amori impossibili trovano il loro coronamento dopo un’epopea che farebbe invidia a quella di Gilgamesh. È il soft power turco che domina i Balcani ma non solo. In Romania abbiamo Kanal D, il canale televisivo più seguito nel paese che fa parte del trust turco Doğan. Una buona fetta di popolazione romena (non è il mio caso e lo dico con rammarico), conosce un po’ di turco. Pensiamo anche al successo della serie televisiva “Erkenci Kuş”: in Italia ha spopolato letteralmente, merito anche dell’attore principale, che tra l’altro vive nel Bel paese adesso”. 

La versione in inglese: The Great Sultana has moved – Il Tazebao


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