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“Esiste un solo potere. Esso è la sovranità nazionale. Esiste una sola autorità. Essa è la presenza, la coscienza e il cuore della nazione”

PH Il Tazebao (2021)
PH Il Tazebao (2021)
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10 novembre 1938: muore a Istanbul Mustafa Kemal, padre della Turchia moderna.

Il 10 novembre del 1938, in una stanza del fastoso palazzo Dolmabahçe, sulla sponda europea di Istanbul, si spegneva il padre della moderna nazione turca, della Turchia laica e nazionalista, affamata di rivendicare il proprio posto nel mondo. Una Turchia uscita sconfitta dalla Grande Guerra, sconfitta nel corpo, ma non nell’animo. L’aggettivo turco era ancora estraneo e la nazione era formata da una miriade di nazionalità differenti.

L’élite ottomana era un’élite transnazionale, non turca. Buona parte di essa proveniva dai territori dell’Impero, nemmeno dalla terra turca come la intendiamo oggi. I sultani stessi erano figli di donne “importate”, le circasse dalla pelle chiara e dalla chioma bionda erano le preferite di corte. Per non parlare della lingua: la lingua di corte, la lingua del popolo, i vari dialetti locali. Il tutto era un mix di arabo e persiano, nulla di autoctono.

Eppure, noi europei, il Papato in primis, paradossalmente, dovremmo essere grati al glorioso Impero Ottomano: il suo famelico respiro giunse al cuore dell’Europa con i due assedi, falliti, di Vienna.  L’impero musulmano consentì e legittimò molte delle azioni degli imperi del Vecchio Continente e favorì alleanze impensabili, costrette dalla necessità di far fronte contro il nemico comune e tenute insieme da un unico fattore: il cristianesimo. Per altro in tempi in cui è stato funestato da scissioni e lotte fratricide.

L’Impero perduto

Uscito dalla Grande Guerra in qualità di sconfitta, il paese, oltre al trauma della disintegrazione dell’Impero, alla quale seguono scelte non certo coerenti e rispettose dei popoli, e dunque della perdita di una guida (concetto questo ripreso dalla nascente letteratura nazionale ed esplicitato in personaggi maschili rimasti orfani di padre in giovane età e che, in virtù di questo, rovinano famiglie intere e non sanno come costruire una loro identità) dovette affrontarne altri due: l’occupazione, principalmente, francese e inglese di Istanbul, e l’occupazione greca dell’Anatolia occidentale.

Una agiografia…molto reale

Il romanziere Yakup Kadri Karaosmanoğlu, nella sua monografia dedicata al padre della Repubblica turca (opera non oggettiva in quanto l’autore nutriva una profonda venerazione per Mustafa Kemal), ci offre una chiara immagine di quelli che si apprestavano a diventare turchi e del loro stato d’animo:

«Eravamo scettici in materia di nazione e paese, nonché nelle nostre vite personali, e stavamo cercando di trasformare questa bancarotta di spirito e fede in una sorta di sistema di idee scientifiche con l’aiuto di molti libri franchi. Anche in questo stavamo attraversando un periodo molto difficile…»

Emerse così la straordinaria figura di Mustafa Kemal, dell’eroe nazionale, del “messia” tanto atteso che avrebbe dato lustro al paese e costruito egregiamente l’identità nazionale e il concetto stesso di nazione in un paese che fino allora era diviso in comunità religiose, si estendeva su tre continenti e l’idea di stato era rappresentato dalla figura del sultano. Sempre nel libro dedicato alla persona di Kemal, Karaosmanoğlu paragona il Padre della Patria al generale francese per l’abilità e la strategia militare (basti pensare ai Dardanelli), e al rivoluzionario russo per la portata rivoluzionaria delle riforme kemaliste:

«Non c’è nessuno che non sappia che la vita militare di Napoleone Bonaparte, che viene sempre citato come l’esempio più specifico, fu costellata di tante vittorie come di tante sconfitte. D’altra parte, la storia non registra una sola sconfitta o errore di Mustafa Kemal. Come fondatore dello stato e politico, l’imperatore francese è un miserabile nano accanto alla prima repubblica turca. Per quanto riguarda il campo del rivoluzionarismo, siamo costretti a considerarlo come una personalità unica. Molti autori stranieri hanno voluto tracciare un parallelo tra Mustafa Kemal e Lenin. Non c’è dubbio che Lenin fu un grande rivoluzionario. Ma Lenin, come Mustafa Kemal, ha trovato la sua ideologia. Non è un rivoluzionario che ha determinato la propria tattica e ha fatto tanto o più di quanto ha distrutto». (pag. 36)

Ritornando alla guerra di liberazione, l’autore enuncia quali sono stati i nobili ideali che hanno mosso l’animo di Gazi Mustafa Kemal: indipendenza e stabilità. Due concetti ancora molto cari ai turchi, che custodiscono gelosamente e che hanno raggiunto, basta guardare tutti gli altri stati della regione mediorientale! Ma lasciamo sempre parlare Karaosmanoğlu:

«Molti di noi hanno trovato gli sforzi di Atatürk in questo modo troppo esagerati, se non inutili. Tuttavia, con questa vittoria, Atatürk ha aperto una seconda fase della nostra lotta di liberazione nazionale. La prima fase di questa lotta ha portato alla nostra indipendenza politica ed economica. L’obiettivo della seconda fase è la nostra indipendenza culturale. A meno che non ottenga questo, cioè, a meno che la nazione turca non ottenga una vittoria di Dumlupınar nel campo della scienza e della saggezza del mondo della civiltà contemporanea, non sarà in grado di raggiungere la sua posizione elevata nella gerarchia delle nazioni civilizzate. Sarà sempre condannato a essere trattato come un subordinato [inferiore, di seconda classe]». (pag. 101)

Ma ancora precedentemente, scriveva:

«L’istituzione di uno stato è una delle funzioni più nazionali dei turchi. Proprio come gli uccelli su misura costruiscono i loro nidi e le api costruiscono i loro alveari, i turchi fondano uno stato. Questa sensibilità è un dono, una seconda natura, un istinto in loro. Quale idiota ha detto: “L’erba non cresce nel luogo dove passano gli eserciti turchi”? Ovunque andassero gli eserciti turchi, portavano ordine, ordine e tranquillità. Ha portato pace e armonia a paesi che sono stati agitati per secoli nell’anarchia». (pag. 75)

Il commento del fondatore Lorenzo Somigli

“La sconfitta nella Grande Guerra avrebbe potuto portare a un collasso di una porzione di Mediterraneo strategica e sicuramente la sua scomparsa, su cui si dibatteva da un secolo, per altro, la scomparsa del suo modello di millet, esempio di pluralismo e sussidiarietà, ha provocato conseguenze di lungo periodo nel Medioriente tutto e non solo. Per la Russia, altro glorioso Impero liquidato dal plotone dei vincitori, la risposta contro le voraci potenze straniere – si ricordi l’Armata Bianca – è stata la brutalità dello strapotere del comunismo reale che ha impedito per decenni l’arrembaggio all’Hearthland. Per la Turchia la strada è stata una costruzione di un’identità nazionale che non esisteva, che effettivamente non esiste dato il mosaico etnico-religioso al suo interno, ma che oggi, a quasi cento anni dalla fondazione della Repubblica, esiste, in cui ognuno, dovunque viva, si è riconosciuto, ognuno ha commemorato il padre della patria e il salvatore della sovranità, nel minuto di silenzio oggi 10 novembre. Da un dramma collettivo, Mustafa Kemal, figlio della dottrina sufi e massone, è stato capace di immaginare e costruire una nazione e una narrazione della stessa e ha evitato la riesplosione dei conflitti etnico-religiosi che hanno insanguinato tanti territori orfani degli Imperi. Non era scontato né semplice”.


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