Una seconda riflessione sull’esito delle amministrative in Italia: i segnali (inascoltati) di malessere dai territori. L’analisi cerca di andare oltre alle semplici vittorie o sconfitte nei singoli territori tentando di capire perché la Terza Italia, caratterizzata dalla continuità del voto, sia così fluttuante.
Punti cardine
- La crisi energetica come fine di un modello, in particolar modo nella Terza Italia, dove organizzazione industriale e sociale ruota intorno ai distretti specializzati.
- Il territorio politico: banco di prova, mediazioni e civismi.
- Bianco, verde, blu e rosso: l’evaporazione delle “zone” politiche e malessere dei territori.
Introduzione
L’allargamento delle basi di cittadinanza, la partecipazione popolare unitamente a un catalogo dei diritti, più o meno ampio, sono alcuni dei pilastri formali del sistema democratico. Tuttavia, la realtà offre indicazioni contrarie. Il processo democratico è molto meno partecipativo e allargato di quanto sollennemente statuito.
Le prove sono innumerevoli: la sovrabbondanza di interessi parziali e confliggenti – non esiste un “interesse generale” – che orientano il lavoro parlamentare e l’agenda di governo – il lobbying influenza ma non crea un consenso profondo e duratura – mentre la tecnicalità sostituisce la mediazione politica.
Di fatto, salvo alcune eccezioni in cui gli attori politici riescono ad essere ancora un sindacato del territorio nelle sedi di Roma e soprattutto a Bruxelles, l’attenzione per le “centralità periferiche”, la capacità di esserci e di trasformarne le istanze in politiche da parte dei partiti attuali diminuisce, fino a scomparire.
In più, la crisi energetica ed economica, che smantella il modello del benessere su cui si è imperniato il Paese, aggrava il malessere dei territori. I fluttuanti territori italiani, in particolare nella Terza Italia [1], sono una riserva di profondo malessere, che i canali politici tradizionali non riescono più a intercettare e processare, come dimostra l’evaporazione della continuità del voto nelle ultime elezioni amministrative.
Trasformare questo malessere in politica richiede un processo di partecipazione a livello locale effettiva, anche con strumenti nuovi.
La fine di un modello?
La ricerca e stabilizzazione del consenso avevano richiesto un enorme sforzo economico e organizzativo. La ramificazione dello stato sociale permetteva di intercettare e potenzialmente risolvere le istanze locali, ammortizzando la carica di conflittualità. Parallelamente, le condizioni economiche generali avevano consentito un allargamento delle basi reddituali, anche se in modo non uniforme: i beni di consumo erano diventati accessibili a tutti. L’automobile, che ha permesso a tutti di superare la distanza geografica che è distanza socio-economica, dunque esclusione, è stata il simbolo di questa fase.
La smobilitazione dell’apparato sociale è un processo irreversibile, sorretto da esigenze di bilancio. Ciò porta a un deterioramento materiale delle condizioni di vita, alimentando un senso di sfiducia e insicurezza. Allo stesso tempo, soprattutto nei paesi occidentali, è emersa la necessità di ridurre i consumi; il consumismo ha raggiunto livelli di ipertrofia impossibili da sostenere, visto che le risorse sono naturalmente limitate e la competizione per esse serrata. E come se non bastasse, si aggiunge la crisi energetica con prezzi destinati ad essere alti e insostenibili, a ulteriore erosione dei redditi e delle capacità di spesa.
Queste condizioni portano alla scomposizione di quel modello di stabilità e benessere sopra descritto. Gli effetti politici sono a lento rilascio ma ci sono prime avvisaglie di cui tener conto.
Il voto amministrativo: istruzioni per l’uso
Non solo per l’approssimarsi delle politiche ma anche come misurazione del malessere dei territori, meritano attenzione le ultime elezioni amministrative italiane (dopo il voto Il Tazebao si è soffermato sul dato dell’affluenza).
Proiettare il voto locale a livello nazionale, e viceversa, è sempre una forzatura, quindi ogni riflessione dev’essere ponderata e circostanziata. I territori percorrono spesso traiettorie sfuggenti e autonome, talvolta anticipano, talvolta ritardo. Proprio per questo meritano attenzione.
In primo luogo, il territorio come stress-test e la nazionalizzazione del voto. Ogni partito utilizza il territorio come banco di prova, sperimenta e proietta le formule vincenti a livello nazionale: “modello Genova” per la Destra, “modello Bologna” per la Sinistra. Ciò serve anche per contrattare i rapporti di forza in seno alle coalizioni.
«Il territorio è semplicemente un mercato che restituisce indicazioni di gradimento o meno. Le vittorie sono casi di studio, adattabili altrove».
In seconda istanza, il rigetto dei prodotti standardizzati da parte dei territori o il loro adattamento alle realtà locali: la necessità di mediazione con il territorio. Non è raro che il territorio reagisca. A livello amministrativo si presentano alleanze a geometria variabile, scoordinate o anche in aperta critica alle logiche nazionali, solo a livello locale resistono formule che a livello nazionale non sono più in uso (si pensi al bipolarismo delle coalizioni in tempi di governo “gialloverde” o “giallorosso”), o anche coalizioni che tentano di anticipare un possibile sviluppo successivo.
«Questa prospettiva permette di cogliere il territorio nella sua complessità: intreccio di interessi, aspirazioni, ansie, stratificazioni, progettualità e storie».
Infine, a frammentare ulteriormente il quadro, la diffusione del civicismo nelle sue infinite sfumature, ora alleato ora autonomo/ostile, cuneo traa le coalizioni, come espressione politica di un dissenso locale ma con una limitata capacità di proiettarsi a livello nazionale.
Questa riflessione considera i due protagonisti, Centrosinistra (vincente in questa tornata) e Centrodestra, e non del M5S che, al netto della prima discesa in cui è riuscito a vincere anche Roma e altre città (Parma, Livorno, Torino), ha scelto un percorso singolare di virtualizzazione del consenso, che meriterà ulteriori e più approfondite analisi, anche per le modificazioni che ha indotto sul sistema politico dal 2013 ad oggi.
Malessere e distacco: la fine delle zone politiche?
In quest’ultima tornata, la scomparsa del voto territoriale notoriamente continuo, caratteristico del “caso italiano” – un tipo di voto che distilla politica e territorio, particolarismi territoriali e ideologia – è un segnale di latente malessere, riconducibile anche alla liquidazione del welfare state e alla crisi energetica che erode il modello economico dei distretti industriali (tipici di Veneto, Emilia, Toscana, Marche), caratteristici della testè citata Terza Italia. Dove soffre il modello socio-economico, soffrono gli attori politici che lo hanno rappresentato o che ne hanno ereditato la rappresentanza (Lega e Forza Italia eredi della DC e PD erede del PCI).
Questa analisi tiene conto principalmente della Terza Italia ovvero Triveneto, le “Regioni rosse” e le Marche. La capitale del lavoro Milano ha intrapreso un percorso di alterità da un secolo, con l’esperienza del governo della Sinistra Radicale, mentre la capitale legale Roma è un mondo a parte. Sardegna e Sicilia hanno una loro traiettoria particolare, dove pesano le rispettive spinte autonomiste. Una dinamica tipicamente insulare: la Corsica sfugge alla tripartizione attualmente in voga in Francia, pur premiando Le Pen alle elezioni nazionali; Creta non abbandona Syriza (elezioni del 2019). Il Sud sperimenta oscillazioni cicliche destra-sinistra, con ampie porosità.
Va, quindi, indagata la fluttuazione elettorale di questa Italia. Qui il voto era consolidato quale espressione di un’identità pre-politica; qui la società si strutturava intorno al modello del distretto produttivo e della piccola-media industria, capace anche di coinvolgere gli operai nei processi aziendali.
Nel tempo, i contorni delle zone, una bianca (a predominio centrista) e una rossa (sinistra), sono diventati sempre più disconnessi. Le ultime elezioni amministrative fotografano un’estinzione quasi definitiva: in Liguria, storicamente di sinistra, si consolida un Centrodestra di governo, come in Toscana (ma non in Emilia), mentre la Lombardia, già roccaforte del Centrodestra, vede una presenza sempre più consolidata e stabile del Centrosinistra di governo nei capoluoghi.
L’esecutivo Draghi, sostenuto da una larga maggioranza, ha dovuto ridurre l’attività del Parlamento. Il malessere cerca di fuoriuscire come può. Uno è il distacco dall’identità territoriale e la fine della continuità del voto. Così, a Monza, si è votato contro la “politica senza territorio” [2]. A Verona il partito che ha abbandonato la sua matrice territoriale ha pagato conto pesante. Allo stesso modo, a Genova e Pistoia, gli elettori hanno scelto di punire il partito che ha voltato le spalle alla sua classe sociale. La Grande crisi corrode le identità politiche.
Il nostro esperimento di ri-territorializzazione: “Civitas Chianti. Codesti son altri luoghi! L’ouverture di Raffaele Tarchiani” – 28/07/2022
Conclusioni
Di fronte a una politica che evapora, che perde la capacità di essere una staffetta territorio-Roma-Europa o che non ha mai saputo esser presente nel territorio, esternalizzando ai media, di fronte a una politica che perde i propri connotati, come nel caso delle continue aspirazioni centripete, quando il Centro non ha giustificazioni geopolitiche né socio-economiche, l’arcipelago dei territori è una riserva di malessere politico, che non riesce a trovare un referente politico.
Da qui la necessità di nuovi strumenti per catturare le richieste e trasformarle in politica. È un processo che coinvolge tutti gli attori del processo democratico: i partiti, qualora riescano a ricostruire una rete territorio-Roma-UE, i media, chiamati a dare un’attenzione non sporadica al territorio, le associazioni financo i gruppi industriali e le associazioni di categorie.
Note
- L’espressione “Terza Italia” è introdotta da A. Bagnasco negli anni ’70 e permette di valorizzare quell’Italia socioeconomica spesso marginale nelle riflessioni. Sono quei territori che vivono “all’ombra” delle capitali: Torino, capitale della grande industria e Roma. Una provincia produttiva ma bistrattata che, in ragione del suo potere economico, reclama maggiore peso decisionale.
- Una spiegazione della “politica senza il territorio”, con particolare riferimento a Forza Italia, è contenuta in “Mappe dell’Italia politica” di Ilvo Diamanti (2009). Pur riferita in origine alla sola FI, che infatti si presenta trans-territoriale (Nord produttivo e Mezzogiorno), essa costituisce una tendanza accentuatasi in tutti gli attori del panorama politico italiano.