Il dialogo tra Gianni Bonini e Lorenzo Somigli su Giorgio Napolitano, protagonista degli ultimi anni della Repubblica ma anche dell’evoluzione del PCI.
Lorenzo Somigli: Napolitano è stato protagonista assoluto dell’evoluzione del Paese dal 2011 a oggi. E non è un caso sia stato proprio lui. Ha gestito quella stagione che ha ridimensionato, definitivamente, il ruolo dell’Italia e di conseguenza della politica con la fine della stabilità mediterranea e con il puntellamento del vincolo esterno. Non solo. Napolitano ha inaugurato una fase nuova per il Colle, che prosegue tutt’oggi. Questa continua eccezione, perché di eccezione si parla visto che ci riempiamo la bocca con la Costituzione più bella del mondo, meriterebbe una riflessione maggiore, che quasi nessuno fa. Ci prova un po’ Marc Lazar su Le Grand Continent. Ricordo al tempo le polemiche per il doppio settennato e le richieste di dimissioni all’indirizzo di Napolitano, oggi il doppio settennato è quasi incontestabile.
«Mi stupisco che nessuno rifletta sulla pericolosità istituzionale di questa torsione della Carta che svincola il Presidente da un pur mediato consenso elettorale-popolare. Non possiamo parlare di “più bella del mondo”, se la Carta lascia certi vuoti e per un ruolo così apicale».
Gianni Bonini: Leggo da Luca Picotti, redattore di Pandora Rivista, su Twitter e cito: “La stagione di Napolitano è quella in cui inizia ad apparire in modo più manifesto il ruolo del Colle come garante ultimo del vincolo esterno, nelle sue due declinazioni: economico-istituzionale (Ue) e politica estera (Nato). Aspetto che si ritroverà poi anche con Mattarella”. Fotografa sine ira et studio il ruolo di Napolitano. In questi giorni si assiste alla solita pantomima di regime, sia nelle celebrazioni, sia nelle critiche, le une e le altre con un costume da social in cui come Tazebao non possiamo ritrovarci. Una lettura storica è difficile sia a caldo sia a freddo, perché le letture dipendono dagli attori e dagli interessi in giuoco.
La lettura deve partire dalla storia del personaggio. Quando nasce, Napoli è una città luminosa e una grande capitale europea, checché ne dica la storiografia di matrice anglosassone per interessi geopolitici ben precisi; consiglio di vedere il film “Non ti pago” di Eduardo De Filippo: siamo all’inizio della Seconda guerra mondiale e Napoli non ha conosciuto la devastazione degli alleati e l’immiserimento successivo. Napolitano si forma in questa città, che allora era una seconda sede per i Savoia, anche a contatto con l’intellighenzia napoletana, storicamente aperta agli influssi allogeni.
«Sicuramente è stato dei Giovani Universitari Fascisti (GUF) perché erano la punta di diamante del regime, una leva di formazione per la migliore gioventù fascista. La genialità di Togliatti, attraverso la cooptazione di questi quadri ex fascisti, crea l’intellettuale di massa; cosa che gli riesce sia per i rubli sia per il margine di manovra offertogli dalla Cortina di Ferro. A Nenni non riuscirà mai un’operazione analoga: gli viene affittata l’intellettualità azionista che è all’origine della subalternità storica del PSI rispetto al PCI. Solo Bettino Craxi la interromperà».
Napolitano è parte della complessità del partito comunista, un partito del proletariato sì, ma in cui vengono cooptati personaggi come Berlinguer che viene “iscritto direttamente alla direzione del partito”. Sta dalla parte di Amendola, io stavo con Ingrao, perché facevo parte del Manifesto. Dobbiamo guardare a un Napolitano immerso in questa complessità. Il viaggio di Napolitano, nel bel mezzo del sequestro Moro, negli Stati Uniti rientra perfettamente nel processo che porterà il PCI a diventare il “partito radicale di massa”.
«Tutto inizia con la nomina di Berlinguer a vicesegretario e prosegue con la teoria del compromesso storico che esclude un’alternativa di sinistra. Questo processo permetterà al PCI di arrivare pronto all’appuntamento con la storia, con la caduta del Muro, che ha aperto a contraddizioni che sono oggi riesplose sul limes orientale».
Per questo, dico che lui non è “migliorista”, è un protagonista di questo processo, oggi completato. Bettino, in udienza con Di Pietro, gli rimprovera il vuoto di memoria sui finanziamenti sovietici, forse come risposta alla sua non difesa del Parlamento e all’abolizione dell’immunità parlamentare. Infine, un ricordo personale: al Palazzo dei Congressi con suo figlio piccolo, vestito elegante come mi faceva vestire la mamma negli anni Cinquanta… ma eravamo già inizio Settanta. La storia di Napolitano, insomma, ha una intima coerenza che lo porta a essere Presidente della Repubblica e a rafforzare il ruolo del Colle, quando prima c’era una dialettica concessa dagli spazi e dalla levatura dei personaggi. Se poi ha avuto degli influssi inglesi… non so.
Lorenzo Somigli: In effetti, non è da escludere, come non lo è per Berlinguer. Si tende a studiare poco e male la storia degli anni ’20 e ’30 dell’Ottocento, che sarà determinante per la fine dei Borbone. Napoli, in quanto capitale euro-mediterranea – perché Napoli non è un sottoprodotto della storia – è sede della flotta della Nato, come lo era Miseno. La geografia non cambia. L’ottimo Buttafuoco ha ricordato sulle pagine del Corriere del Mezzogiorno i provvedimenti dei Borbone contro le sacche di esclusione sociale, i ghetti che invece erano ben presenti in Inghilterra. Del resto, i Borbone vengono sconfitti dall’interno e non dall’esterno…