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Finis Florentiae

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Copyright Jacopo Canè (2021)
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Dopo l’evento del 22 maggio “Firenze Campo di Marte: lo stadio, la comunità, l’occasione perduta” alla libreria L’Ora Blu, Il Tazebao pubblica tutti gli interventi.
«Sarà il Viola Park di Bagno a Ripoli a riscrivere l’identità viola col suo corredo di marketing e di valorizzazione paesaggistica. Noi però un compito lo abbiamo e non dobbiamo disertare».

di Gianni Bonini

Grazie all’unico vero sindaco di Reggello, Pieraldo Ciucchi, che è qui con noi. Pochi lo sanno ma Pieraldo è stato tra l’altro campione d’Italia con gli Allievi della Fiorentina nel 1970. Presto ne saprete di più sulla sua storia di socialista riformista. Saluto anche Andrea Chiarantini che, prima di diventare un artista molto bravo – ha esposto recentemente a Villa Salviati – ha giuocato nelle giovanili viola e, alla fine della sua carriera calcistica, nel mitico Bar Giovanna di via Sirtori vecchia, quello delle maglie verdi coi buchi alle ascelle e dell’indimenticabile Maurino Pratesi, che riposa a Trespiano. Dall’Università di Bologna, Facoltà di Scienze Politiche, molti anni fa mi fu assegnata una ricerca sul corporativismo fascista e sullo stato totale, era il suo titolo e studiai a fondo, tra le altre, la rivista Primato 1940-43 su cui Bottai fece scrivere i più bei nomi della cultura italiana. Riguardatevela. Filippo Luti coi suoi libri sulla Fiorentina va oltre: ci illumina su come concretamente si esercita il soft power del regime attraverso il calcio; il suo lavoro sull’Ordine del Marzocco è esemplare. Dobbiamo ringraziare Fabio Fallai, Vice Presidente dei Viola Club, per averne diffuso la conoscenza. Per questo, quando ho conosciuto Luti ho avuto una folgorazione, i suoi libri tra la storia e la sociologia, valgono più di tanti burbanzosi paper, come si dice oggi, dell’Università del nulla.

Lo Stadio Franchi e il Campo di Marte come punta di una sperimentazione architettonica e urbanistica

Il regime non si limita a governare e a plasmare la società, con lo Stadio di Firenze e con le altre opere degli anni Trenta si sperimenta il fiore dell’avanguardia architettonica e urbanistica italiana. La torre di Maratona è una sintesi del Futurismo: leggera, dinamica e protesa verso il cielo. Diversa da quella, sul modello della Torre delle Milizie, tra i mercati di Traiano ed il Quirinale, più o meno coeva dello stadio di Bologna, Leandro Arpinati promotore. E senza la statua del Duce a cavallo ché il suo slancio cosmico val bene il sacrificio delle rappresentazioni più popolari del regime.

Nel quadro del trinomio pavoliniano, arte, turismo e spettacolo, il Campo di Marte trova così la sua funzione urbanistica, fulcro di una dialettica progettuale feroce ed altissima che si prolungherà nell’immediato Dopoguerra nella discussione tra forma e funzione, come ci narra Delfo Del Bino.

Leggetevi i libri di un architetto straordinario come Carlo Cresti che ricostruisce il dibattito degli Anni Trenta sull’urbanistica tra nazionalismo e fascismo e ritroverete la città come l’abbiamo intravista noi nati all’inizio degli anni Cinquanta. Quella del primo scudetto, “la città era bellissima” ebbe a dire Giuliano Sarti che l’ha scelta per viverci.

La guerra perduta e l’emergenza-casa: un’architettura più povera

La guerra tragicamente perduta, i fenomeni immigratori ed il nuovo ceto politico cattolico e comunista, il primo forte del codice di Camaldoli, il secondo portatore di un’ideologia staliniana tra collettivizzazione agricola e industrializzazione forzata uscita vittoriosa sul nazismo, i casermoni popolari staliniani di Mosca sono però migliori di quelli post-XX congresso, producono un abbassamento del livello progettuale, materiali compresi.

L’architettura lapiriana è sensibilmente più povera: nasce dalla sconfitta e cerca di rispondere a un’emergenza abitativa pressante, con l’emigrazione e gli sfollati.

La sperimentazione sociale che facciamo alla Casella negli anni 70 insieme al Comitato di Quartiere – quella guidata da Luigi Bicocchi, che guarda a Ludwig Mies van der Rohe ed alla Bauhaus, e da Chiara Giunti – avviene su un terreno molto più povero. I materiali e lo stesso disegno urbano non sono paragonabili ad altri esempi di edilizia popolare, come la Garbatella. Quello lapiriana è a tutti gli effetti una politica-tampone.

Dal Piano Detti al disordine urbanistico

Il Piano Detti del 1962 che fissa decisioni come la salvaguardia da costruzioni nel territorio collinare e la lo sviluppo a Nord-Ovest nell’asse Firenze Prato, cerca di indirizzare lo sviluppo verso il mare come la Roma mussoliniana. Solo che al posto dell’EUR noi ci abbiamo messo i centri commerciali, identico col tempo il disordine urbanistico, figlio della bulimia di terreni della Piana come effetto della ripresa economica e del made in Italy e dell’espulsione dei ceti popolari dai centri storici. Fenomeno quest’ultimo che viene da lontano, almeno dai primi anni ’70. Su CittàClasse lo denunciavamo allora con precisione statistica.

Gli anni ’90: la Fiat-Fondiaria e il distacco di Prato

La vicenda su cui tanto si è scritto della Fiat-Fondiaria nasce già vecchia nonostante il rumore. Nessuna visione della Grande Firenze, anzi con l’inutile creazione della Provincia di Prato si spezzetta ancora di più la pianificazione e il controllo, uno scontro sul consumo degli spazi privo di qualsivoglia visione del futuro.

Provvederà il capitalismo politico o della sorveglianza trionfante con la delocalizzazione e la globalizzazione industriale e il commercio elettronico, che ne è il corollario, a mettere in soffitta gli interessi speculativi. La Fiat andrà ad Amsterdam e la Fondiaria a Bologna in UnipolSai.

Ed eccoci ai giorni nostri…

La Fiorentina abbandona il Campo di Marte in cui è nata e di cui era spirito e carne. Si lascia alle spalle un secolo di storia, le storie di noi ragazzi che in quei campi e su quell’asfalto ci abbiamo consumato le scarpe ed i pantaloni, le nostre attese ed i nostri amori, la passione bruciante delle domeniche sugli spalti col babbo, (quasi) una vita. La nostra via Pál, ve lo ricordate il film o almeno il romanzo?

Ma di questo universo sentimentale che dà forma e sostanza ad una comunità civile non sembra fregare niente a nessuno, gli stessi media, di regime o no, battono sempre sulle solite considerazioni rifritte, sui veti delle sovrintendenze e sugli stereotipi del bene pubblico.

Eppure non è solo il buco nero nel nostro vissuto legato ad un calcio che non c’è più, il pericolo è anche e soprattutto il vuoto che si verrà a creare in uno dei ventricoli che fanno respirare la città, con i problemi connessi di vivibilità. Una perdita di funzione che coinvolge il tessuto urbano storico nel suo complesso e non saranno i mercatini vintage a riconsegnargli una funzione; della forma lasciamo stare.

L’arrivo di Commisso ci ha regalato l’occasione insperata di progettare e riorganizzare funzionalmente un’area urbana storica e vitale, e noi l’abbiamo perduta.

Quello del Mercafir era un obiettivo superato come il modello logistico che ha presieduto alla sua realizzazione, noi laudatores temporis acti sappiamo di vivere il tempo di Amazon, di Elon Musk e del 3D. Così non sembra per i nuovi sedicenti liberal che sognano le Londra e le Berlino che non conoscono. Si chiama urbanistica concertata l’operazione che era da fare subito con Rocco, al suo sbarco a Firenze, al Campo di Marte, le amministrazioni di sinistra se ne facevano un vanto, bene o male.

È andata così. Sarà il Viola Park di Bagno a Ripoli a riscrivere l’identità viola col suo corredo di marketing e di valorizzazione paesaggistica.

I QUADERNI DE IL TAZEBAO: CHI VUOLE (ANCORA) UNA CITTÀ COSÌ? (2023)
Noi però un compito lo abbiamo e non dobbiamo disertare

Nelle more di una campagna elettorale che si annuncia già stanca e di rituale contrapposizione politica, dobbiamo alzare l’asticella del confronto sul destino di Firenze, sottrarsi alle logiche di schieramento per riportare al centro i temi veri della vita urbana, senza pregiudiziali ideologiche ma nemmeno sconti dovuti alla rassegnazione. Il futuro in arrivo non consente a nessuno, tanto meno ai più colpiti dalla ristrutturazione del Lavoro in corso d’opera, di abbassare la guardia. Faccio appello a Il Tazebao ed a Lorenzo Somigli di mobilitarsi per convocare dopo l’estate un grande rassemblement contro questa deriva.

Trent’anni fa Francesco Borgognoni girò uno splendido biopic: “Firenze allo specchio”, tutto giuocato sul rapporto tra la città e la bellezza. È l’ora di riprenderlo. Perché chi vuole una città così?

Gli altri interventi
  1. Firenze e la Bellezza (Francesco Borgognoni)
  2. Il modello Airbnb e la città senza cittadini (Lorenzo Villani)
  3. Il turismo di massa mette in discussione la nostra civiltà. La nostra sfida dev’essere radicale (Lorenzo Somigli)

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