Alea iacta est? Putin riconosce i separatisti e la tensione raggiunge il picco massimo, al momento. Uno scenario confuso dove i confini tra guerra tradizionale e guerra asimmetrica sono vagamente percettibili e dove l’energia è uno dei terreni di confronto ma non più l’unico. Nel mare magnum di informazioni e propaganda e fake news e dichiarazioni interpolate, Matteo Gerlini, coordinatore del comitato scientifico del NATO Defense College e membro dell’omonima fondazione, assistente professore a Siena, delinea, con rigore, a Il Tazebao la prospettiva atlantica su un conflitto che sembra ogni giorno meno lontano.
In queste prime battute, sembra che Putin abbia avuto la meglio, mentre il composito blocco occidentale ha mostrato crepe e personalismi. A lui il primo round di questa guerra di nervi?
“No di certo, anzi: siamo di fronte a un segnale di debolezza da parte del Cremlino. Sono russi i soldati schierati nel gelido inverno ucraino; è il governo russo che deve sostenere le spese di uno schieramento di forze che ogni giorno costa parecchio al bilancio dello Stato. È una situazione rischiosa anche per questo, perché una leadership debole può diventare ostaggio dei nemici interni, e compiere passi avventati. Considero lo schieramento di truppe un passo avventato, come ho avuto modo anche di argomentare al tuo collega Guarino nel suo talk show “Controverso”. Non parlerei dell’Occidente, parlerei dell’Alleanza atlantica e dell’Unione europea: finora la prima è riuscita a tenere il punto, e la seconda ha seguito, come spesso è accaduto. È normale, trattandosi di un concerto di stati, che vi siano posizioni diverse e iniziative dei singoli governi. Ma il risultato non cambia, soprattutto perché il governo degli Stati Uniti ha deciso di rispondere all’iniziativa russa, ed è stato in grado – finora – di tenere unita l’alleanza”.
La propaganda, financo le immagini e le dichiarazioni, vanno soppesate. Eppure la guerra si avvicina ogni giorno di più o, comunque, si è sempre combattuta, anche sotto traccia, in questi anni nel Donbass.
“La guerra psicologica è in pieno corso, non posso chiamare in altro modo la propaganda battente sulla forza della democratura russa contro le stanche e litigiose democrazie atlantiche. Ma si tratta appunto di una psyop. I sovranisti con l’iPhone dovrebbero ricordare che il loro benessere, o relativo benessere di cui ha goduto il nostro paese, non deriva certo dalla partecipazione al sacco degli oligarchi e dei loro addentellati sulle spoglie dello Stato sovietico, ma dal piano Marshall. Si acuirà d’altronde anche la guerra cibernetica, che ormai non ha senso distinguere dalla guerra vera, tradizionale se così si può dire, degli stivali sul campo. Quelli già ci sono, come ricordi giustamente, il problema è cosa seguirà. Siamo però in una situazione in cui, al di là dei proclami, qualcuno dovrà perdere, e questo per via dell’improvvida mobilitazione militare di cui sopra”.
Il caro energia è il primo e più evidente contraccolpo della crisi. Come giudica questa voglia matta di “autarchia energetica”?
“Il gasdotto fa parte del campo di battaglia, e il caro energia ha risentito chiaramente della crisi ucraina, ma non ha avuto certo origine da essa. Non si contrabbandino speculazioni sulla borsa del gas e scelte politiche energetiche per conseguenze della crisi ucraina. L’autarchia energetica non può esistere in un mondo globalizzato. Se qualcuno la vuole, si dimentichi di fare il fine settimana a Ibiza chi ha uno stipendio di millecinquecento euro”.
L’Italia è presa tra i due fuochi: è punto fermo dell’Alleanza ma ha forti interessi con la Russia. Cosa aspettarsi dalla difficile mediazione di Draghi?
“L’Italia con la conferma di Mattarella al Quirinale e il permanere di Draghi a Palazzo Chigi resta saldamente schierata in campo Atlantico. Quindi, non è presa fra due fuochi: l’Italia è parte costitutiva dell’alleanza atlantica, l’Italia è parte di uno dei due contendenti, quello che può dar prova di maggior saggezza e forza aprendo una trattativa. Chiaramente solo dopo che le truppe russe si ritireranno”.
Nei mesi scorsi abbiamo ospitato l’Ambasciatore Andrea Sing-Ling Lee. Un’altra invasione che, secondo letture frettolose, sembrava vicinissima era quella di Taiwan. Notizie dallo stretto di Formosa?
“L’unico punto in comune è la sfida alla tenuta degli impegni degli Stati Uniti e del loro ruolo internazionale. Se Biden cede, la situazione per Taiwan peggiorerà. E questo è un motivo in più per non farlo, e per non accettare la frantumazione dell’alleanza atlantica accettando le richieste russe di riduzione delle forze nei paesi membri dell’Europa orientale”.