Beirut senza il porto: una barzelletta che non fa ridere!

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Durante le proteste del 4 agosto, per le strade di Beirut, mentre seguivo la folla diretta verso il porto, sono stata approcciata da una giovane ragazza che sventolava in continuazione la sua bandiera, la bandiera libanese.

Mi ha gentilmente avvertita di prestare attenzione alla borsa, se possibile indossarla a tracolla in mezzo alla folla per evitare che qualcuno me la porti via. Il suo nome è Lea e la prima cosa che ho notato in lei, è stata la sua grinta. Nei suoi occhi brillava la luce della rivoluzione. Di quella rivoluzione tacita che ognuno di noi sperimenta interiormente, dentro di sé e tra sé e sé – condizione che ogni libanese ha vissuto o è stato costretto a vivere almeno una volta in vita sua – e che, ogni volta che si verifica ti dà una forza nuova, maggiore in virtù della quale ti senti immortale per po’, ma con la stessa irruenza con cui penetra il corpo e lo spirito, così li abbandona anche. Una rivoluzione che è figlia di quella che avviene esternamente, e i figli si sa, non sempre assomigliano ai genitori.

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Di seguito un’interpretazione dei fatti attraverso i suoi occhi, perché Lea è stata protagonista della rivoluzione e della ricostruzione di Beirut. Di una Beirut, che però, non è in grado di restituirle nemmeno una briciola di quello che Lea ha fatto per la città e per i suoi abitanti.

“La Rivoluzione in Libano inizia il 17 ottobre 2019 perché il ministro delle telecomunicazioni decide di imporre una tassa sulle chiamate di WhatsApp, pur sapendo che la piattaforma di comunicazione è gratuita su tutto il globo. I libanesi usano molto WhatsApp come se fosse quasi un gestore telefonico e svegliarsi sapendo di dover pagare una tassa dall’importo di 6 dollari, non permetta di dormire tranquillamente. Non è per i 6 dollari in sé – che oggi corrisponderebbero a 9.000 lire libanesi più o meno – ma per la poca trasparenza e ingordigia della classe politica: se moltiplichi 6 dollari per il numero della popolazione libanese, ottieni un’ingente somma di denaro che sarebbe finita nelle tasche dei politici senza che i cittadini avessero il diritto di sapere qualcosa. A quel punto la gente è scesa in piazza.

Io ero Parigi, dal 2017 al 2019 ho vissuto in Francia. Il 21 ottobre 2019 sono rientrata in Libano. La Rivoluzione, come detto prima, avviene il 17: conoscendo la mia gente e il mio paese pensavo si sarebbe trattato sempre delle solite manifestazioni. Un po’ di gente si raccoglie, scende in piazza, compie atti vandalici in segno di protesta fin quando la polizia non interviene con lacrimogeni o cisterne di acqua per disperdere la folla. La sera tutto finisce, tutti ritornano nelle proprie abitazioni e il giorno dopo ci svegliamo e riprendiamo le nostre vite come se nulla fosse successo. Questo è lo schema costante di tutte le proteste che ero abituata a vedere in Libano fino ad ottobre 2019.

La prima protesta l’ho guardata alla tv ed ero molto scettica e indifferente a tutto quello che stava succedendo, in fin dei conti lo sapevamo già allora che la corruzione dilagava nelle aule del Parlamento e del governo.

La mattina del 18 ottobre, mi sono svegliata e stavo guardando la tv e ho notato qualcosa che non avevo mai visto prima in Libano: tutti i libanesi, di qualsiasi fede religiosa e di qualsiasi appartenenza politica, erano nella downtown e tutti sventolavano solo la bandiera libanese, quella ufficiale.

Ho pensato davvero che questo fosse il vento del cambiamento tanto atteso. Allora ho preso la mia bandiera e mi sono unita alle altre persone per respirare questo il vento del cambiamento. All’inizio è stato un movimento spontaneo, niente di premeditato e di organizzato prima. Già dopo la prima settimana, le persone hanno iniziato a legare tra di loro e creare gruppi WhatsApp e Telegram.

All’improvviso i libanesi riscoprono la politica: molti personaggi, indipendenti, sciolti da legami di religione o di affiliazione politica, manifestano la loro intenzione di correre alle elezioni.

Con il tempo ci siamo molto organizzati e abbiamo iniziato ad “andare in missione” come i militari: abbiamo fatto alcune irruzioni nel Parlamento con l’intento di dimostrare loro che siamo noi a controllarli, non il contrario.

Quando abbiamo iniziato a raccoglierci periodicamente davanti alla sede del governo, i politici, dal canto loro, hanno iniziato a mandare i propri assistenti da noi, ognuno con i propri messaggi, solo per accendere quel fuoco che non tanto tempo fa ha animato la guerra civile infiammando gli animi dei libanesi. A questo punto la Rivoluzione diventa politica. Ma noi non ci siamo lasciati scoraggiare, tantomeno siamo caduti nella loro trappola. Anzi, tutto questo ci spinto a fare di più. Ci siamo chiesti “Davvero funzionerà questo vostro giochetto da quattro soldi contro milioni di persone che protestano per la stessa causa?”

Piano piano, però, abbiamo iniziato a sospettare della Rivoluzione in sé: del modo in cui la stavamo conducendo, vivendo e verso quello che la stavamo indirizzando. Era la nostra prima rivoluzione in fin dei conti. Siamo caduti preda di milioni di dubbi ed anche la violenza è aumentata.

Siamo l’unico paese del Medioriente che sta regredendo, invece di progredire. Ci chiamavano la Svizzera dell’Est. Eravamo l’unico paese ad avere i treni nella regione; oggi ci sono i binari ferroviari e la scritta “stazione” su un edificio, ma non ci sono i treni. Vuoi che ti faccia ridere? Hanno aperto un bar dentro la ‘stazione’, “bar della stazione”! Non aggiungo altro. Quanto siamo resilienti noi libanesi? Non riesco proprio a capirlo e non lo capirò mai.

Siamo a conoscenza di conti bancari segreti di proprietà dei politici, soldi depositati in banche straniere, isole di proprietà degli stessi all over the world, oltre a case e ville; Hezbollah è il fantoccio dell’Iran, il vero padrone del Libano. Hezbollah è nato come una setta religiosa in Libano, ma, con il tempo, si è costituito in partito politico e adesso controlla tutti gli altri partiti e politici soprattutto, tutti devono venire a compromesso con Hezbollah accettando le regole del gioco dettate da Teheran.

“Nel 2022 ci saranno le elezioni, o meglio, ci dovrebbero essere”.

Attualmente non siamo sicuri se ci lasceranno votare o no. Perché se si andrà a votare, ci sarà “sangue nuovo”, molti indipendenti si presenteranno alle elezioni e il Parlamento verrà rinnovato per almeno la metà. Ciò significa che questa metà sostituita, perderà il suo lavoro. La classe politica vuole farci intendere che è la sola dispensatrice di salvezza del popolo: durante l’ultima campagna elettorale, quattro anni fa, i politici, per assicurarsi il voto, hanno “donato”, ciascuno, 100 dollari alla propria comunità.

“Provo a raccontarti brevemente quello che è successo il 4 agosto 2020”.

Stavamo protestando come al solito, quando all’improvviso qualcosa di strano è successo. C’è stato un fuoco in uno dei container del porto. È stata trovata un’ingente quantità di nitrato di ammonio in uno di questi container: ancora oggi non sappiamo a chi appartiene e chi ce l’ha portata. Non sappiamo se è colpa di Israele che si vede minacciato il porto di Jaffa dal nostro. Prima che l’esplosione si verificasse, c’erano dei piani per ampliare ulteriormente il porto di Beirut per renderlo più accogliente e facilitare i meccanismi di import-export perché come ben saprai, noi non produciamo niente! In più, il porto è nelle mani di Hezbollah, è lui il padrone di casa.

Dopo l’esplosione, la città è morta letteralmente: immagina cos’è Beirut senza il porto. Una città portuale, senza un porto: il peggiore degli ossimori.

Abbiamo sistemato e ripulito un po’ rendendo il tutto più presentabile, con l’aiuto delle associazioni volontarie, delle NGO, della popolazione – io personalmente, da sola, ho ripulito 48 case. La casa dei miei è stata completamente distrutta. La polizia e l’esercito, che avrebbero dovuto darci una mano, in fondo era il loro lavoro, dovevano ripulire loro, hanno solamente assistito ai lavori, seduti comodamente, pacati, consumando i loro pasti mentre noi lavoravamo.

Non abbiamo potuto prevenire il tutto, perché il primo fuoco ha avvolto la parte del porto in una nube nerastra impedendo la visuale. Io, che abitavo al sesto piano di un edificio di vetri, ho visto solo il cielo nero: non mi sono abbandonata preda al panico, ho aperto tutte le finestre per evitare esplosioni e mi sono precipitata giù per le scale bussando a tutte le porte per invitare i miei vicini a fare lo stesso. Quel giorno dovevo anche presentarmi al lavoro, ma ero terrorizzata dall’idea di dover camminare sulle macerie. E se succede di nuovo? Era questo il mio unico pensiero. Ho chiamato un mio amico che lavora come pompiere che mi ha rassicurata, ma non mi ha detto nulla del nitrato, non lo sapeva neanche lui.

Dopo di che abbiamo ricostruito Beirut: mattone dopo mattone, vetro dopo vetro, casa dopo casa grazie alle donazioni provenienti dalla diaspora e dalla infinità generosità e solidarietà dei libanesi.

L’8 agosto, quattro giorni dopo l’esplosione, era un sabato, ricordo come se fosse ieri, le persone erano di nuovo in strada. Stavolta, però, si trattava di qualcosa di politico: non erano più i libanesi liberi che protestavano per la causa comune, ma erano i libanesi che si rispecchiavano in una setta religiosa, in un gruppo politico. Questa volta abbiamo assistito e siamo stati vittime di un pesante attacco dell’esercito che non ha esitato di usare gas lacrimogeni contro di noi. Non si sono limitati alle sole pallottole di plastica, abbiamo visto anche i fucili! Io sono ritornata a casa ferita ad un braccio: stava sanguinando. La quantità di gas lacrimogeno che hanno disperso nell’aria quel giorno è stata impressionante. Sinceramente non so come abbiamo fatto a sopravvivere. La gente era scontenta della situazione, la città era appena stata distrutta, e l’esercito cosa faceva? Quel giorno, l’8 agosto, ho capito quanta influenza esercitano la politica e la religione sull’esercito.

“Per farti capire la situazione che stiamo vivendo nel paese, ti dico solo che ci sono tante persone che percepiscono un salario di 10 dollari al mese!”

Sono molto fortunata ad avere una sorella che vive a Londra e che ha comprato per me il biglietto aereo. Sono in Francia solo grazie a lei. Il mio denaro è congelato nelle banche libanesi. Io non ho accesso ai miei soldi. Ce li ho, ma è come se non ce li avessi. Quando ho controllato i prezzi dei biglietti per la Francia, un biglietto di sola andata costava 15 milioni di lire libanesi!

Attualmente ho una certa somma di dollari nel mio conto corrente libanese, ma non ho accesso a quei dannati soldi. E la cosa che mi da più fastidio è che non ho la possibilità di fare nulla al riguardo. Mi spiego meglio: posso estrarre i miei soldi dall’account libanese in lire libanesi, non in dollari, ma così facendo, ne perdo tantissimi perché il tasso di cambio, invece si essere a 1250, è a 3900. Le farmacie, gli ospedali, le pompe di benzina, i supermercati, le scuole e tutti gli altri luoghi che dovrebbero allocare beni di prima necessità, operano a un tasso di scambio da mercato nero: 20.000 misere lire libanesi per un solo dollaro!

“Non volevo finisse così: non volevo lasciare il mio paese”

Anche se ho il passaporto francese e posso andare dovunque voglia in qualsiasi momento, non avrei mai voluto abbandonare il Libano. E adesso eccomi qui. Quando abbiamo iniziato a scendere in piazza e protestare, pensavo seriamente che noi siamo il cambiamento che il paese necessita, ed invece…Ho perso anche un dente durante gli scontri con la polizia, sono stata picchiata, ma niente.

Quando il dollaro superava di gran lunga le 20.000 lire libanesi, l’attuale tasso di scambio, ho comprato i mobili per la mia casa. Mi sono costati letteralmente un occhio dalla testa, e adesso, dopo l’esplosione, non ho più niente. Pagavo l’elettricità regolarmente, ma l’elettricità funzionava a intermittenza, e questo nei giorni fortunati, in altri ero lasciata al buio.

L’unico modo che ho avuto per aiutare i miei genitori e per aiutare me stessa è questo quello di andarmene. Ed è quello che ho fatto. Negli ultimi tre mesi, tre dei miei amici si sono suicidati. Adesso basta, altrimenti inizio a piangere. La mia resilienza ha un limite. E questo limite si chiama Libano”.

Anche l’intervista di Lea è parte del nostro Quaderno dedicato al Libano: I Quaderni de Il Tazebao – estate 2021 – Il Tazebao

English version

Beirut without the port: a joke that is not funny!

During the August 4 protests, on the streets of Beirut, as I followed the crowd heading towards the port, I was approached by a young girl who was constantly waving her flag, the Lebanese flag.

She politely warned me to pay attention to my bag, if possible, wear it over my shoulder in a crowd to avoid someone taking it away from me. Her name is Lea and the first thing I noticed about her, was her grit. In her eyes shone the light of revolution. Of that tacit revolution that each of us experiences inwardly, within ourselves and between ourselves – a condition that every Lebanese has experienced or been forced to experience at least once in his or her life – and that, every time it occurs, gives you a new, greater strength by virtue of which you feel immortal for a while, but with the same impetuosity with which it penetrates the body and the spirit, so it also abandons them. A revolution that is the daughter of that which takes place externally, and children, as we know, do not always resemble their parents.

The following is an interpretation of the facts through her eyes because Lea was a protagonist of the revolution and of the reconstruction of Beirut. Of a Beirut, which, however, is not able to give back even a crumb of what Lea did for the city and its inhabitants.

“The Revolution in Lebanon begins on October 17, 2019 because the telecommunications minister decides to impose a tax on WhatsApp calls, despite knowing that the communication platform is free across the globe. The Lebanese use WhatsApp a lot as if it were almost a telephone operator and waking up knowing that you must pay a tax in the amount of $ 6, does not allow you to sleep peacefully. It is not because of the $6 in itself – which today would correspond to 9,000 Lebanese liras more or less – but because of the lack of transparency and greed of the political class: if you multiply $6 by the number of Lebanese populations, you get a huge sum of money that would end up in the pockets of politicians without the citizens having the right to know anything. At that point people took to the streets.

I was Paris, from 2017 to 2019 I lived in France. On October 21, 2019 I returned to Lebanon. The Revolution, as mentioned before, happens on the 17th: knowing my people and my country I thought it would always be the usual demonstrations. A few people gather, take to the streets, vandalize in protest until the police intervene with tear gas or water tanks to disperse the crowd. In the evening it all ends, everyone returns to their homes and the next day we wake up and go back to our lives as if nothing had happened. This is the constant pattern of all the protests I was used to seeing in Lebanon until October 2019.

I watched the first protest on TV and I was very skeptical and indifferent to everything that was going on, after all, we knew even then that corruption was rampant in the halls of parliament and government. On the morning of October 18, I woke up and I was watching TV and I noticed something that I had never seen before in Lebanon: all Lebanese, of any religious faith and any political affiliation, were in the downtown area and they were all waving only the Lebanese flag, the official flag.

I really thought that this was the wind of long-awaited change. So, I picked up my flag and joined other people to breathe this wind of change. At first it was a spontaneous movement, nothing premeditated or organized beforehand. Already after the first week, people started bonding with each other and creating WhatsApp and Telegram groups.

Suddenly the Lebanese rediscovered politics: many independent figures, freed from ties of religion or political affiliation, expressed their intention to run in the elections.

Over time we became very organized and started to “go on missions” like the military: we did some raids in Parliament with the intent of showing them that we are in control, not the other way around.

When we began to gather periodically in front of the government headquarters, the politicians, for their part, began to send their assistants to us, each with their own messages, just to light that fire that not so long ago animated the civil war and inflamed the souls of the Lebanese. At this point the Revolution becomes political. But we did not let ourselves be discouraged, nor did we fall into their trap. On the contrary, all this pushed us to do more. We asked ourselves, “Will this cheap game of yours really work against millions of people who are protesting for the same cause?”

Slowly, though, we became suspicious of the Revolution itself: of how we were leading it, living it, and what we were directing it toward. It was our first revolution after all. We fell prey to millions of doubts and the violence increased as well.

We are the only country in the Middle East that is regressing instead of progressing. They used to call us the Switzerland of the East. We were the only country to have trains in the region; today there are railroad tracks and the words “station” on a building, but there are no trains. You want me to make you laugh? They opened a bar inside the ‘station’, “station bar”! I’ll say no more. How resilient are we Lebanese? I just can’t figure it out and I never will.

We know about secret bank accounts owned by politicians, money deposited in foreign banks, islands owned by them all over the world, as well as houses and villas; Hezbollah is the puppet of Iran, the real master of Lebanon. Hezbollah started out as a religious sect in Lebanon, but, over time, it formed itself into a political party and now controls all other parties and politicians above all, all must compromise with Hezbollah by accepting the rules of the game dictated by Tehran.

“In 2022 there will be elections, or rather, there should be”.

Currently we are not sure if they will let us vote or not. Because if we do go to the polls, there will be “new blood”, many independents will stand for election and at least half of Parliament will be renewed. This means that this replaced half, will lose its job. The political class wants us to understand that it is the only dispenser of salvation of the people: during the last electoral campaign, four years ago, the politicians, to ensure the vote, have “donated”, each, 100 dollars to their community.

“I’ll try to briefly tell you what happened on August 4, 2020”

We were protesting as usual, when suddenly something strange happened. There was a fire in one of the containers in the port. A large quantity of ammonium nitrate was found in one of these containers, and we still do not know who it belongs to and who brought it to us. We do not know whether it is the fault of Israel that the port of Jaffa is threatened by ours. Before the explosion occurred, there were plans to further expand the port of Beirut to make it more welcoming and facilitate import-export mechanisms because as you well know, we do not produce anything! Plus, the port is in the hands of Hezbollah, he is the landlord.

After the explosion, the city literally died: imagine what Beirut is without the port. A port city, without a port: the worst of oxymorons.

We have cleaned up and cleaned up a bit, making it more presentable, with the help of voluntary associations, NGOs, the population – I personally, alone, have cleaned 48 houses. My parents’ house was destroyed. The police and the army, who should have given us a hand, after all it was their job, they had to clean up, just watched the work, sitting comfortably, calmly, eating their meals while we worked.

We could not prevent it, for the first fire enveloped the harbour side in a blackish cloud, impeding the view. I, who lived on the sixth floor of a glass building, saw only the black sky: I did not abandon myself in panic, I opened all the windows to avoid explosions and rushed down the stairs knocking on all the doors to invite my neighbours to do the same. I also had to report to work that day, but I was terrified of walking on rubble. What if it happens again? That was my only thought. I called a friend of mine who works as a firefighter who reassured me, but he didn’t tell me about the nitrate, he didn’t know either.

After that we rebuilt Beirut: brick by brick, glass by glass, house by house thanks to donations from the diaspora and the infinite generosity and solidarity of the Lebanese.

On August 8, four days after the explosion, it was a Saturday, I remember as if it were yesterday, people were in the streets again. This time, however, it was something political: it was no longer the free Lebanese who were protesting for the common cause, but it was the Lebanese who reflected themselves in a religious sect, in a political group. This time we witnessed and were victims of a heavy attack by the army, which did not hesitate to use tear gas against us. They didn’t limit themselves to just plastic bullets, we saw rifles too! I returned home with a wounded arm: it was bleeding. The amount of tear gas they released into the air that day was impressive. I honestly don’t know how we survived. People were unhappy with the situation, the city had just been destroyed, and what was the army doing? That day, August 8, I realized how much influence politics and religion have on the army.

“To give you an idea of the situation we are experiencing in the country, I’ll just tell you that there are a lot of people making a salary of $10 a month!”

I’m very lucky to have a sister who lives in London and bought the plane ticket for me. I’m only in France because of her. My money is frozen in Lebanese banks. I don’t have access to my money. I have it, but it’s like I don’t have it. When I checked the prices of tickets to France, a one-way ticket cost 15 million Lebanese pounds!

I currently have a certain amount of dollars in my Lebanese bank account, but I don’t have access to the damn money. And the thing that bothers me the most is that I don’t have the option to do anything about it. Let me explain I can take my money out of the Lebanese account in Lebanese lira, not in dollars, but in doing so, I lose so much of it because the exchange rate, instead of being at 1250, is at 3900. Pharmacies, hospitals, gas stations, supermarkets, schools and all other places that should allocate basic necessities, operate at a black-market exchange rate: 20,000 miserable Lebanese pounds for a single dollar!

“I didn’t want it to end this way: I didn’t want to leave my country”.

Even though I have a French passport and can go anywhere I want at any time, I never wanted to leave Lebanon. And now here I am. When we started taking to the streets and protesting, I seriously thought that we are the change the country needs, but instead… I even lost a tooth during the clashes with the police, I was beaten, but nothing.

When the dollar was well over 20,000 Lebanese lira, the current exchange rate, I bought furniture for my house. They literally cost me an arm and a leg, and now, after the explosion, I have nothing. I paid for electricity regularly, but the electricity worked intermittently, and that was on lucky days, on others I was left in the dark.

The only way I could help my parents and help myself was to leave. And that’s what I did. In the last three months, three of my friends have committed suicide. That’s enough now or I’ll start crying.

My resilience has a limit. And this limit is called Lebanon”.

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