“Vuoi tu varcare la soglia di Parvus?” Da un’intervista privata…

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Lo contattiamo in quello che lui dice “un momentaccio”. Passa un attimo in cui sentiamo un frusciare di fogli e poi riemerge: “Ecce Parvus!”. Lo prendiamo così com’è, amante della divagazione, degli aggiramenti e delle rapide inversioni a U per tornare al sugo della storia.

Somigli, grazie della disponibilità. Tra un mese circa, sabato 18 gennaio 2025, si terrà all’Ora Blu di Firenze la presentazione del tuo nuovo libro sull’enigmatica figura di Parvus, edito da Artverkaro Edizioni. Potresti esplicitare in breve di cosa si tratta e del perché di questo personaggio così – apparentemente – poco conosciuto?

«L’ho incontrato incidentalmente. Lo ammetto. Forse nessuno lo sa ma il mio primo bacio con la Politica è stato Lotta Comunista, nel corso del primo di cinque anni straordinari di Liceo, ma mi limitai ai classici: Lenin, il cui Imperialismo ho letto tre volte, ovviamente Engels. Di Parvus nemmeno una traccia. Se l’ho scoperto è merito di colui che ritengo il miglior storico italiano al momento: Federico Dezzani. Dico il migliore perché lui non ha avuto un Dezzani prima di lui. Ho ricercato ogni fonte disponibile: libri, documenti, articoli, blog, ho chiesto ad amici russi di controllare notizie sui suoi eredi. C’è poi un libro, Saggi sulla Rivoluzione inglese del 1640 di Christopher Hill, che mi ha aiutato a capire il filorosso tra Cromwell e Lenin. Torno su Parvus e ammetto di essere stato spiazzato, quasi stravolto dalla profondità del personaggio. Spero che questa pubblicazione aiuti, soprattutto, i giovani a conoscerlo per ragionare in modo critico sul nostro presente. Chi vuole conoscere, deve varcare la porta di Parvus. Grazie ad Artverkaro sarà possibile».

In quest’anno che sta per chiudersi, e peraltro pochi giorni fa, è caduto, nel silenzio totale di tutti i media possiamo dire del mondo (a lodevole eccezione del Tazebao), il centenario della sua scomparsa. Cento anni, nelle vicende del mondo, possono essere tanti come pochi: che legame hanno il pensiero e l’opera di Parvus col biopotere, la dismissione e il capitalismo della sorveglianza, le tre grandi montagne che, per citare un altro grande rivoluzionario di un altrettanto enorme Paese asiatico confinante con la Russia, opprimono il popolo italiano?

«Ci sono tante parole per definire il tempo. Se non ricordo male “tempo” ha un legame con il verbo greco tagliare, temno (τέμνω), a sua volta collegato a una radice indoeuropea, se crediamo alla “favola”, per citare Semerano. Da quella radice, suppongo, derivi anche il tempio, che era separato. Il tempo della nostra vicenda umana è per sua natura un segmento, una frazione; per questo va messo a frutto. Il secolo è, invece, un ciclo di tempo che ha completato una maturazione. Lo sentiamo come completo. Non è un caso che, proprio cento anni dopo, riesplodano tutte le contraddizioni: in Ucraina e in Medio Oriente. E tutto questo porta necessariamente a una guerra egemonica, dalla quale nasceranno nuovi equilibri. Non c’è da stupirsi, infatti, se uno stato come la Siria, nato dalla dissoluzione dell’Impero ottomano, oggi sia liquidato».

Ecco. Nell’articolo di presentazione de L’essenza dell’oggi nei fatti di ieri hai singolarmente evidenziato, nella panoramica sulla situazione internazionale, che «i turchi tornano a Damasco». Proprio a pochi giorni dalla ricorrenza del centenario, come se il destino avesse voluto metterci della sua beffarda ironia, in Siria è caduto Assad e i turchi a tutt’oggi stanno espandendosi sul territorio, sia direttamente che attraverso i loro proxies. Qual è però, più nel dettaglio, l’importanza di Parvus sia per quei popoli protagonisti diretti (volenti o nolenti) della loro storia, sia per noi, per orientare la nostra azione nell’attuale, complesso panorama internazionale, che marcia a passi sempre più spediti verso la guerra mondiale?

«Ah, Istanbul! Una città dove puoi arrivare da sconosciuto, vivacchiando negli sgangheroni della città vecchia, e finire a Pera, raggiungendo persone incredibili e inarrivabili. Per dirla con Parvus, Istanbul è la città dove il “Nodo di Gordio si intreccia”, anche perché i Giovani Turchi furono un laboratorio politico. Sono a fare la prima “marcia” del turbolento Novecento. La Prima guerra mondiale ha portato al trionfo della modernità anche in quei paesi che erano baluardi della conservazione. Allo stesso tempo, la “caduta delle aquile” porta alla creazione di stati ex novo, nei quali viene infusa una coscienza nazionale. L’Impero ottomano, multietnico e unito dalla religione, si riduce alla Repubblica turca, confinata nella sola Anatolia, nascono altri stati e un focolare».

Adesso riavvolgiamo per un istante i fili della Storia, soffermandoci particolarmente sulle peripezie della Rivoluzione d’Ottobre: potresti ampliare la dinamica dei rapporti con Lenin, Stalin e la dirigenza bolscevica nei fatti che portarono all’instaurazione della prima repubblica socialista nella storia dell’umanità? Quanto c’è stato di Lenin e Stalin e quanto di Parvus nell’Ottobre?

«A onor del vero dovremmo anche riconoscere il ruolo di un certo “Trotzkij”, riprendendo la ricostruzione del grande pratese Malaparte. Così è più chiara la natura meccanica di quel colpo di mano che ha cambiato la storia e, penso, anche le nostre vite. Ad ogni modo, la verità su questa storia è morta cento anni fa ed è sepolta in Sassonia, a Dresda. Possiamo cercare di mettere insieme i pezzi. Il grande georgiano, per esempio, riconobbe, anche perché in polemica con Trotzkij, l’ampio contributo teorico di Parvus: è di Helphand, per dirne una, l’idea della rivoluzione permanente. La fonte è nelle indispensabili Questioni del leninismo. Ma Parvus ha scoperto anche la rilevanza del sindacato come entità vicina ma differente dal partito e dello sciopero generale politico. Tuttavia, e su questo bisogna dare ragione ai critici del comunismo, c’è stata una vera e propria congiura del silenzio sulla Rivoluzione russa, di cui Parvus è stato la vittima eccellente. Infatti, se ne torna a parlare, Zveteremich non è un autore a caso, solo con la perestrojka».

Non dirmi che vuoi dar credito alla teoria del complotto dietro la Rivoluzione. Come se tutto fosse una “rissa tra ebrei”…

«Sarebbe molto riduttivo pensarla così. La questione del rapporto tra marxismo e comunità ebraica va affrontata, ma in modo serio. Parvus bambino sopravvisse a un pogrom. Tanti altri ebrei dell’Impero videro sicuramente nel marxismo una via per l’emancipazione. Del resto, c’erano territori nel corpaccione russo a forte concentrazione ebraica ed è vero che molti dirigenti marxisti erano di origine ebraica, ma altri no, com’è vero che Parvus parlasse yiddish. È vero che Gorkij raccolse fondi dalla comunità americana, potentissima. Non esaurisce il problema».

E cosa c’è allora?

«La Rivoluzione fu possibile, mi si passi l’espressione, per una congiunzione astrale o, detto meglio, perché tutte le tessere andarono al posto giusto. Anche perché c’era una precisa regia e una precisa organizzazione, ma anche una dettagliata conoscenza del capitalismo, che stava entrando anche in Russia. Chi lo capisce per primo? Parvus adolescente quando si trasferisce nella “bianca” Odessa. Ci vorrei andare, a Odessa. Mi ricordo un vecchio detto: “Odessa, mamma di tutti i ribaldi” (si completa con “Rostov è il papa!”, ndr)».

Dunque, Parvus è stato il regista?

«Possiamo riconoscere che è stato l’uomo in grado di prevedere tutto e far sì che tutto andasse in porto. Certo, dietro la Rivoluzione c’erano molti interessi e poteri. E alcuni volevano un cambio della guardia in Russia. C’era un piano geopolitico per far uscire la Russia dalla guerra, ma c’era anche un piano per ribaltare l’autocrazia dei Romanov. Quindi, sì, Parvus è il punto focale di tutto questo».

Una riflessione in veste di chiosa: l’importanza di un Parvus italiano per chi oggi si propone un cambiamento reale e non formale del sempre più insostenibile stato di cose nel nostro Paese.

«A ogni Lenin il suo Parvus, ma rischia di essere una lettura fuorviante o limitata».

Cioè?

«I nostri si muovevano in una società diversa dalla nostra, anche per questo il secolo è significativo. In un secolo abbiamo visto l’acme del capitalismo produttivo e oggi la dismissione, per tornare a una tua domanda che ho impunemente evaso. Tutto sta nel leggere questa contemporaneità e contrapporre una forma culturale e politica solida e organizzata. Chi comprenderà il nuovo capitalismo, anche quello digitale, avrà la chiave per la Rivoluzione».

Per concludere, la Russia?

«È sotto assedio, dall’Artico alla Siria, come nella Guerra di Crimea. In Italia c’è un’esterofilia pro-Usa, che offusca molte menti, e un’esterofilia pro-Brics, che offusca troppe menti, per intendersi. Bisogna porsi con rispetto verso questi paesi, come verso Germania o Francia. I Brics rappresentano una postura per stare nel capitalismo, ma sempre di capitalismo si tratta. Sicuramente, la Russia di Putin ha reintrodotto dinamismo nel sistema internazionale, un antagonismo che possiamo leggere e utilizzare, con senno».

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