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Sébastien Abis: “Il grano, un’arma geopolitica della Russia”

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C’è un risvolto agroalimentare della crisi ucraina. Sébastien Abis, direttore del Club DEMETER e ricercatore associato presso l’IRIS, specializzato nella stabilità dei sistemi agroalimentari, ha rilasciato un’intervista a Pour l’Éco, di cui riportiamo alcuni passaggi significativi, dove mette in luce la rilevanza del grano negli equilibri globali.

Che peso ha il grano nella geopolitica?

“C’è sempre stata una geopolitica del grano. Ovviamente le ragioni agricole non sono sufficienti a spiegare tutti i fatti storici, tensioni o accordi di pace, ma molto spesso ci sono variabili alimentari e problemi di cereali anche dentro i più grandi fenomeni geopolitici. Il grano fa parte della categoria dei prodotti sensibili che devono essere considerati nella dimensione geopolitica.

È sempre stato usato o come arma di pace o come arma di rivalità, coercizione, opposizione.

In questo contesto, ogni Paese fa leva sui suoi punti di forza, in particolare gli Stati che hanno risorse produttive significative e pesano sui mercati mondiali. E tutto questo è presente nella crisi russo-ucraina. La Russia rappresenta l’archetipo del Paese che utilizza il potere agricolo, soprattutto dopo aver accelerato nella produzione negli ultimi anni”.

Precisamente, cosa rappresenta il grano per la Russia?

“Per Mosca, dopo la parentesi sovietica, era prioritario riconquistare un posto importante sulla scena internazionale. Per questo, la Russia ha usato gas, armi e grano.

Oggi, la produzione di grano russo raggiunge 75 a 85 milioni tonnellate all’anno, ovvero tra il 10 e il 12% della produzione mondiale. La Russia è il principale esportatore mondiale dal 2016. Esporta una tonnellata su due raccolte. Concretamente, ciò equivale a 35-40 milioni di tonnellate di grano esportate all’anno, ovvero il 20-23% del totale mondiale.

Questo ovviamente genera entrate significative (per 5-6 anni tra 10 e 13 miliardi di dollari l’anno) e conferisce influenza: il potere è significativo quando possiedi il 20% delle esportazioni mondiali di grano, la base universale del cibo attraverso pane, cereali prodotti, pasta o semola”.

Come si spiega questo primo posto russo nella classifica dei paesi esportatori?

“Molti paesi nel mondo hanno bisogno di importare grano perché non ne producono a sufficienza, per ragioni essenzialmente geografiche, climatiche, a volte dovute a disordini geopolitici.

Le due aree ad altissima dipendenza cerealicola si trovano nel Medio Oriente e nel Nord Africa: vi si consuma molto grano, ma non se ne produce abbastanza in relazione alla domanda. Quando la Russia ha dispiegato le sue esportazioni, ha preso di mira principalmente queste due aree geografiche, consapevole che questi paesi volevano diversificare le loro relazioni commerciali (i loro rapporti con gli Stati Uniti erano contrastanti e stavano cambiando i legami con le potenze europee).

La Russia è entrata come potenza stabilizzatrice. L’esempio tipico è la Siria di Bashar al-Assad, dove negli ultimi anni il rubinetto russo dei cereali ha funzionato a pieno ritmo.

Il principale acquirente di grano russo rimane l’Egitto con 13-14 milioni di tonnellate di grano all’anno, ma molti cereali vanno anche alla Turchia (tra 6 e 8 milioni di tonnellate all’anno) o all’Algeria (per il 2021-2022, il 10% del grano acquistato dall’Algeria è di origine russa).

Mosca sta anche cercando di ampliare il proprio mercato dove la crescita della popolazione e i cambiamenti nelle diete portano ad un aumento dei bisogni: nell’Africa subsahariana, nell’Africa occidentale, in piccoli paesi come Togo, Camerun o Nigeria. Oppure dai paesi asiatici (Bangladesh, Thailandia, Vietnam, Indonesia), che acquistano sempre più grano russo”.

E la crisi Ucraina?

“L’Ucraina è sempre stata un granaio dell’Europa. Il grano, il mais o il girasole sono risorse importanti per l’economia ucraina. L’Ucraina ha una particolarità: la terra migliore del mondo, quella che viene chiamata “chernozem”, i famosi terreni neri con rese favolose. Kiev ora ha una produzione di grano compresa tra 30 e 32 milioni di tonnellate all’anno, ovvero il 4% della produzione mondiale. L’esportazione rappresenta da 20 a 25 milioni, ovvero il 12% del totale mondiale. È considerevole”.

C’è anche il grano nei motivi dell’attacco?

“Non bisogna ricondurre la crisi ucraina alle pure ragioni agricole, ma ci sono risorse considerevoli e la Russia lo sa bene. Le due regioni separatiste, dove la Russia ha dichiarato di voler mantenere la pace, Luhansk e Donetsk, ospitano l’8% della produzione di grano ucraina. Nelle regioni orientali, Crimea inclusa, si raggiunge il 40% della produzione totale”.

Abbiamo ospitato un’altra intervista di Sébastien Abis: “Comment va la planète mer?” Uno sguardo sul mare nostrum con Sébastien Abis (Club Déméter) – Il Tazebao

Negli ultimi anni, la Russia ha intensificato gli scambi con la Cina. Quali sono le conseguenze per il mercato del grano?

“C’è un grande interrogativo: la Russia immetterà sempre più grano nel mercato cinese per rispondere al suo crescente fabbisogno; dunque, diventerà il primo partner geopolitico e strategico della Cina? Sembra prendere forma una luna di miele tra Xi e Putin. Tutto questo a discapito dei mercati mediorientali o africani? Il futuro ce lo dirà. Tanto più che, nell’equazione Russia-Cina, bisogna tener conto di un fattore non secondario: la Siberia, che è già un importante produttore di cereali, e che può ancora aumentare i suoi raccolti”.

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