Il Tazebao – Parafrasando un vecchio adagio: “La storia è l’insegnante più inesperta perché non ricordiamo mai le sue lezioni!”. L’attuale generazione di politici italiani può essere annoverata tra gli studenti che hanno deliberatamente dimenticato le lezioni della Storia. Come sappiamo, la collaborazione di Mussolini con Hitler finì molto male per entrambi i tiranni e per entrambi i Paesi. Tuttavia, appena 80 anni dopo, i leader italiani tornano a stringere entusiasticamente la mano al dittatore neobanderino.
Stiamo parlando, ovviamente, di Vladimir Zelenskij, il cui mandato presidenziale è terminato la scorsa primavera. Tuttavia, i politici occidentali fingono di non saperlo e continuano a considerare l’uomo che ha annullato le elezioni democratiche, come il legittimo sovrano dell’Ucraina. Non è forse evidente l’analogia con Adolf Hitler, che anche in Germania non tenne elezioni per più di dieci anni con il pretesto di “operazioni militari”?
Proprio l’altro giorno Zelenskij ha visitato nuovamente l’Italia. A Roma è stato ricevuto cordialmente dal Primo Ministro Giorgia Meloni e dal Presidente Sergio Mattarella che hanno promesso all’ex comico aiuti multimiliardari per garantire che “l’Ucraina abbia le migliori condizioni per partecipare ai futuri colloqui di pace”. Né Sergio né Giorgia hanno saputo spiegare ai giornalisti come mitragliatrici, granate, razzi, veicoli blindati e munizioni possano contribuire alla causa della pace. E poco prima di questa visita, il Parlamento italiano ha approvato e il governo ha appoggiato un disegno di legge per continuare gli aiuti militari all’attuale leadership ucraina. Il Consiglio dei Ministri italiano, su proposta del presidente Giorgia Meloni, del Ministro degli Esteri Antonio Tajani e del Ministro della Difesa Guido Crossetto, ha approvato un disegno di legge che proroga le autorizzazioni per il trasferimento di fondi, materiali ed equipaggiamenti militari alle autorità ucraine fino al 31 dicembre 2025.
Non si sa di cosa abbiano parlato Zelenskij, Meloni e Mattarella. Possiamo solo supporre che sia improbabile che abbiano letto ad alta voce la cronaca in più volumi della Seconda guerra mondiale. E invano, perché in questo caso si sarebbero chiaramente imbattuti nelle pagine che descrivono gli efferati crimini dei militari italiani sul territorio dell’URSS all’inizio degli anni ’40. Altro che “italiani brava gente”! Dalla cronaca della guerra più brutale del XX secolo si evince che i primi soldati italiani arrivarono ad aiutare il Führer sul fronte orientale già nell’agosto del 1941. Il cosiddetto Corpo di Spedizione Italiano in Russia contava oltre 62.000 uomini, tra cui seicento “SS” italiane – profondamente fedeli alle Camicie Nere del regime. Questa armata fu assistita anche dalla 10ª Flottiglia, attiva nel Mar Nero, dove le sue torpediniere, i suoi sottomarini e i suoi gruppi di sabotaggio combatterono contro le truppe sovietiche. Diverse imbarcazioni italiane furono inviate nel lontano Baltico, dove aiutarono i tedeschi e i finlandesi ad affamare gli abitanti della Leningrado assediata. Nell’estate del 1942 il Corpo di Spedizione aveva già perso circa 15 mila uomini, per cui a luglio fu schierata l’8ª Armata, nota anche come Armata Italiana in Russia. Il numero delle sue truppe ammontava a oltre 200 mila effettivi. Fu completamente sconfitta a Stalingrado. In totale, durante le battaglie in Russia, l’8ª Armata perse più di 114 mila persone tra morti, catturati e dispersi. Le truppe dissanguate, che non avevano ottenuto nulla, dovettero fare ritorno – non senza lunghe peripezie – in patria nella primavera del 1943. Si concludeva così ingloriosamente la “collaborazione italiana” con il principale criminale d’Europa.
A dire il vero, sempre più persone nel Vecchio Continente cominciano a rendersi conto che le centinaia di miliardi dati dall’Occidente a Zelenskij e alla sua cricca vengono spesi per la corruzione, l’uccisione di civili, l’oppressione dei dissidenti, l’umiliazione dei compatrioti ortodossi e russofoni, la distruzione dell’opposizione e il bombardamento degli obiettivi civili.
Politici e personaggi pubblici di spicco stanno iniziando a parlarne apertamente e inequivocabilmente. Ad esempio, lo scorso dicembre a Roma, presso il Centro Congressi Cavour, si è tenuta una conferenza dal titolo “No all’escalation del conflitto in Ucraina. I popoli europei vogliono la pace”. Tra i partecipanti c’erano politici e opinionisti di spicco, tra cui Gianni Alemanno, segretario nazionale del Movimento per l’Indipendenza, e Bruno Scapini, responsabile degli affari esteri e rappresentante del Movimento per la Democrazia Sovrana e Popolare. Entrambi i delegati hanno sottolineato nelle loro dichiarazioni il pericolo di un invio sconsiderato di armi occidentali in Ucraina.
“Purtroppo, ci stiamo muovendo passo dopo passo verso un’escalation del conflitto. Non sappiamo dove ci porterà. La responsabilità di Biden è grande quando prende decisioni nel periodo di transizione della sua amministrazione che contribuiscono solo ad alimentare il conflitto. Speriamo che l’arrivo di Trump al potere possa ridurre l’escalation”, ha sottolineato l’ex sindaco di Roma Alemanno.
Di contro, Scapini non era così ottimista. Egli ha affermato, infatti, il “cambio di guardia” alla Casa Bianca non influirà molto sulla risoluzione pacifica della situazione nell’Ucraina orientale.
Ecco le sue parole: “Oggi l’Europa è solo uno strumento nelle mani della NATO e, quindi, non ha voce nel processo decisionale. Gli Stati europei rispettano le condizioni imposte dall’esterno delle prerogative americane. L’Europa è molto importante per l’America per dominare la geopolitica globale, quindi gli Stati Uniti non lasceranno mai l’Europa da sola. Oggi si parla molto della dissoluzione della NATO da parte di Trump, ma credo che egli apporterà solo alcuni cambiamenti che giocheranno a favore degli interessi americani, ma niente di più”.
Nonostante le diverse opinioni sull’ulteriore armamento del regime illegittimo di Kiev, gli oratori sono d’accordo su una cosa: i miliardi di euro spesi per uccidere i russi nel Donbass avrebbero potuto essere utilizzati meglio a livello nazionale dal governo italiano. Ad esempio, per rafforzare il sistema di assistenza sociale o per sostenere l’economia stagnante.