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Petre Roman: “Mercato e libertà: un’equazione che ancora dobbiamo risolvere. La Russia di oggi è strutturalmente più debole dell’URSS”

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Il nostro secondo colloquio con Petre Roman, un protagonista della Storia del Novecento, che mette a disposizione la sua esperienza politica e di governo per comprendere la contemporaneità confusa.

Poco prima che il mondo cambiasse, abbiamo ospitato per la prima volta Petre Roman, protagonista della Rivoluzione dell’89 in Romania e già primo ministro. Insieme a un osservatore profondo e di esperienza come il Professor Roman, oggi membro del Club di Madrid e rettore della UMEF di Ginevra, proviamo ad analizzare i cambiamenti che ci stanno attraversando a partire dalla guerra in Ucraina.

In due mesi il mondo è cambiato. Riavvolgendo il nastro della storia, ripensiamo ai grandi stravolgimenti del post-89 che, dal collasso dell’URSS, hanno lasciato diversi nodi insoluti.

“È una fase storica su cui dobbiamo avere la forza di riflettere. Erroneamente si è pensato che quel crollo fosse qualcosa di naturale, di inevitabile e non si è fatto niente per accompagnare il cambiamento, che è stato traumatico per il popolo russo.”

È pur vero che quel sistema sarebbe crollato prima o poi, perché non aveva o non aveva più la capacità e le energie per riformarsi.

“Ma il processo verso la libertà si è fermato di netto ed è stato impiantato un capitalismo selvaggio e predatorio, a danno del popolo russo, che ha sofferto. Da quel grande caos emerge Putin, con la sua leadership autoritaria.”

Quindi, c’era un’altra via?

“Facciamo un paragone con la Cina. Deng, molto tempo prima, intuendo dove stava andando il mondo, sceglie di aprirsi al mercato e di lavorare affinché la Cina possa primeggiare nel mercato, mantenendo, però, praticamente lo stesso regime politico. Io sono un difensore delle libertà e il ricordo Tienanmen è radicato nel mio cuore perché pochi mesi andammo noi in piazza e sulle barricate, rischiando la vita, per la nostra libertà, ma devo ammettere che la riforma di Deng è stata geniale. La Cina ha saputo portare fuori dalla povertà 740 milioni di persone: nessuno ci avrebbe creduto negli anni ’70.

Confrontando i due paesi, vedo una Cina che ha spiccato il volo e una Russia più debole oggi di quando era Unione Sovietica perché ha un’economia basata solo sulle esportazioni di risorse naturali.

L’economia dell’URSS, pur con i limiti che ben conosciamo, era molto più solida di quella della Russia di Putin.”

Il modello occidentale, che è ancora oggi il più desiderabile, ha vinto per il ritiro dell’avversario, eppure non sembra essere affatto in salute.

“Il problema più pressante rimane ancora una volta la conquista della libertà: un’aspirazione di tutti noi, troppo spesso frustrata in molte aree del mondo.

Allo stesso modo, l’espansione del benessere e della ricchezza non ha risolto le sperequazioni sociali e le storture che originano da un sistema capitalistico, che agisce sempre di più per monopoli.

Il sistema capitalistico è vantaggioso, è migliore perché offre scelta e flessibilità, mi appoggio, in questo, alla riflessione di Braudel, però, c’è una tendenza del capitalismo a legarsi allo Stato, che, così facendo, non opera più nell’interesse dei cittadini ma del capitale monopolistico.

Abbiamo semplicemente ignorato i problemi che il sistema marxista, pur con i suoi errori, aveva cercato di analizzare e di risolvere.

I tanti movimenti che nascono in questi anni ovunque, a livello globale, dimostrano che la libertà e l’uguaglianza sono ancora mete lontane. C’è, dunque, un’equazione tra mercato e libertà che ci dobbiamo impegnare a risolvere.”

La “sua” Romania è tornata ad essere un confine, un limes d’Europa, un vallo come al tempo dell’Impero romano.

“Nessuno di noi poteva prevedere come sarebbe andato quel processo, abbiamo tentato di orientarlo al meglio, perché diventare un paese occidentale era un obiettivo desiderabile per tutti noi. La transizione dal comunismo verso un modello che oggi, come allora, è migliore perché riformabile, è stata, comunque, difficilissima e ha comportato enormi sacrifici per il nostro popolo. Ricordo che perdemmo 6 milioni di posti di lavoro, che perdemmo manodopera altamente specializzata, menti di primissimo livello formate da università che non avevano nulla da invidiare a quelle occidentali. Io stesso sono il frutto di quel sistema, che mi ha permesso di in patria e all’estero. In un certo senso, abbiamo percepito che per gli altri europei fossimo colpevoli perché parte del blocco perdente e abbiamo dovuto passare “per le forche caudine”. In uno scenario ancora teorico ci potremmo ritrovare la Russia alle porte; dunque, la scelta di aderire alla NATO si sta rivelando decisiva per la sicurezza del nostro popolo.”

Le prospettive del conflitto in Ucraina?

“Questo conflitto si poteva e doveva evitare. Gli USA sapevano tutto per tempo e potevano agire, anche cercando di convincere i cinesi a fermare Putin, perché loro hanno un potere di ricatto forte. Ammetto di condividere poco l’operato di Biden. L’american exceptionalism spesso ha prodotto colossali errori: dal Vietnam all’Afghanistan. Vedo, poi, un’Europa ancora molto divisa, perché dipendente dalla Russia. C’è un rapporto speciale tra Russia e Germania che va oltre il lato economico, pur determinante. Al di là delle dichiarazioni tutti sono in difficoltà nel distaccarsi dalla Russia. Mi basta ricordare quando Putin nel 2014 disse che gli amici tedeschi potevano capire bene le sue azioni. Tutto dipenderà dalla capacità di resistenza degli ucraini che fino ad oggi sono stati eroici, oltre ogni tipo di aspettativa, oltre le previsioni nostre e russe.”

I russi hanno fatto male i conti?

“Se l’Ucraina prima era una “espressione geografica”, oggi è una nazione forgiata nella lotta e nel sangue. Sono eventi come questi a creare l’identità di un popolo, molto di più delle dichiarazioni formali. La loro resistenza è incredibile e ammirevole.

Grazie a mio padre Valter, conobbi i partigiani italiani, come Longo e Pajetta: l’Italia di oggi nasce da quella resistenza, dalla concentrazione antifascista a Parigi e dalla lotta contro Franco in Spagna. Mi ricordo ancora Bella ciao, che oggi è diventata talmente popolare che la sento spesso e con piacere.

Non so quanto gli ucraini possano resistere ancora, immaginando una seconda ondata dei russi, ma la volontà di un popolo di essere autonomo e riconosciuto deve valere a un qualunque tavolo delle trattative e i russi, se sono intelligenti, dovranno, comunque, venire a patti con questa realtà.”

Identità, popolo, nazione sono ancora paradigmi potenti e divisivi, generatori di politica.

“Assolutamente sì. È un’evidenza di cui dobbiamo sempre tener conto in ogni valutazione e scelta. La globalizzazione ha fatto riemergere questi caratteri anziché sopprimerli. Penso alla Jugoslavia, che era uno stato grande, forte, capace di esprimersi autonomamente rispetto all’URSS, con un’economia strutturata e un leader politico di tutto rispetto: le identità nazionale l’hanno fatta esplodere. Dobbiamo sempre tener conto di quella sempre Braudel chiamava “grammatica delle civiltà”, della longue durée ovvero di ciò che rimane profondamente radicato nella coscienza e nella memoria collettiva, resistendo al passare del tempo. Anche il benessere economico, purché garantito alla maggioranza della popolazione, purché si trovi un equilibrio tra mercato, libertà ed uguaglianza, non basta. Come teniamo insieme identità, nazione, multipolarismo? È questa un’altra equazione che le nostre classi dirigenti globali dovranno provare a risolvere, perché il mondo è complesso e anche l’uomo lo è.”

L’intervista è disponibile anche in inglese: Petre Roman: “Russia today is structurally weaker than the USSR” (iltazebao.com)

Le nostre altre interviste
  1. Silvio Pons: “Putin vuole costruire un polo autonomo, con la forza” (iltazebao.com)
  2. Gerlini: “Da Putin passo avventato. Italia guidi mediazione” – Il Tazebao

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