La riflessione di Alessandro Sorani sui primi due anni di Joe Biden
Altro che Impero morente, altro che “sleepy Joe”. I primi due anni di Joe Biden coincidono con un recupero poderoso degli Stati Uniti: sul piano economico, energetico, tecnologico, militare e ovviamente geopolitico. E quella leadership di Biden che sembrava tanto traballante all’inizio, oggi è molto salda. A risaltare, nonostante le molte continuità con Trump nelle scelte politiche, è la sua comunicazione, questa sì diametralmente opposta.
Grazie ad Alessandro Sorani, formatore, presidente di Confartigianato Firenze, coordinatore del laboratorio del parlare in pubblico della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Firenze, e soprattutto esperto di Stati Uniti, tracciamo un bilancio dei primi due anni di Biden, proseguiamo nelle analisi più approfondite su quel paese che, a tutti gli effetti, è e rimane il pivot militare, tecnologico e strategico globale.
Sorani, intervenuto a Il Tazebao anche dopo Midterm, è autore di “La comunicazione politica americana da Kennedy a Trump” (Pagliai, 2020) e nel suo canale YouTube spiega la comunicazione dei vari presidenti americani.
Per Biden parlano i 40 anni di esperienza politica, con buona pace delle narrazioni che lo vorrebbero dipingere come vecchio. Tiene insieme un’alleanza globale contro la Russia e, un domani, contro Iran e Cina, ha stabilizzato il Medioriente innestandosi nel solco degli accordi di Abramo, ha completato l’America First di Trump con passi avanti verso la piena occupazione. Il suo intervento alla Lockheed Martin fa capire che si tratta di un Presidente che ha piena contezza del processo storico che vive e che si trova a governare. In tempi di giovanilismo e di antipolitica, la leadership di Biden potrebbe sembrare vetusta, eppure funziona.
“La comunicazione fa la leadership, ne è la forma più evidente e più impattante. A dire il vero, la comunicazione di Biden non era partita per niente bene. Biden era in sordina, quasi già sopraffatto da una figura più carismatica ed entrante come Kamala Harris, mentre Trump da fuori proseguiva nell’assedio. La gestione del conflitto in Ucraina ci porta a ribaltare ogni giudizio su di lui. E così la sua sobrietà e la sua esperienza politica diventano un elemento di valore. Una garanzia”.
Perché?
“Biden dimostra di impersonare i valori della moderazione, della prudenza, che sono determinanti nel gestire un conflitto e, in generale, la cosa pubblica; sa rassicurare e tenere unito al suo interno il paese, tutt’altro che scontato dopo Capitol Hill, e sa rinsaldare una coalizione internazionale in funzione anti-russa che va dal Canada all’Europa fino a Sud Corea e al Giappone, anche questo tutt’altro che scontato. A oggi, si è rivelata la scelta migliore. Emergono prepotentemente i 40 anni di esperienza: non si diventa Imperatore a caso. Per fortuna”.
Di contro, c’è il modello-Putin.
“La macchina della propaganda russa, per anni, ha lavorato come un fiume carsico nei paesi occidentali e ha cercato di trasmettere l’immagine di un leader vitale, uomo alpha, a capo di un impero glorioso. Putin vorrebbe apparire come forte, ci appare come arrogante, quindi autenticamente debole. Biden è l’opposto: sobrietà, compostezza, calma, pazienza e lo rivendica come un tratto distintivo di sé e della sua azione politica; e alle provocazioni russe risponde quasi con una certa superiorità. Ferma condanna senza eccedere; valori saldi senza denigrare il nemico. E così l’arroganza si sgonfia. Considerando che il conflitto sembra avere un orizzonte temporale medio-lungo, questo atteggiamento può rivelarsi il più corretto. Sicuramente, il più indicato per vincere o per lo meno per evitare conseguenze peggiori”.
C’è poi il suo rapporto con Black Lives Matter. Biden ha dimostrato di saper ricostruire un pantheon repubblicano – nello Studio Ovale ci sono adesso anche i busti di Martin Luther King, Rosa Parks e Cesar Chavez – inserendovi a pieno titolo anche gli esponenti del movimento per i diritti civili e ciò ha certamente contribuito a rinsaldare la nazione. Cavalcare e incanalare le piazze per dare al paese diviso una nuova legittimazione.
“È anche questa un’operazione politica e di comunicazione, di simbolo e di significato. Da un lato, Biden sta portando a compimento l’opera di rifondazione del Partito Democratico avviata da Clinton, un presidente decisivo nella storia globale; basti pensare al suo motto “lavorare per il meglio, preparandoci al peggio” con cui ha giustificato l’espansione nel blocco ex-sovietico della Nato. Il Partito Democratico abbandona definitivamente la classe media e medio-bassa, oggi appannaggio dei Repubblicani, e passa a difendere le élite, costiere e non solo, ma anche le grandi industrie e la finanza. In parallelo, lavora per far sentire parte della nazione quelli che, a tutti gli effetti e per molto, ne sono stati esclusi, le varie minoranze. È un processo di rafforzamento interno ben riuscito e passa dal recupero dei simboli della lotta per i diritti civili o della retorica della new frontier”.