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Ombre giapponesi

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Il Tazebao apre un approfondimento sul Giappone, sconvolto dall’assassinio dell’ex Primo Ministro Shinzō Abe l’8 luglio e centrale nella corsa all’Indo-Pacifico.
Il Giappone merita di essere analizzato con attenzione sia per la sua rilevanza nello scacchiere asiatico sia per la sua particolarità, un paese dove resiste il lascito della tradizione ma è forte l’importa di uno sviluppo tecnologico.

L’8 luglio è destinato a essere un condensato di eventi di portata epocale nella storia del Giappone. L’ingresso nella baia di Edo delle mastodontiche navi nere del Commodoro Perry l’8 luglio 1853 segna una rottura traumatica del sakoku, il plurisecolare isolazionismo forzato, introdotto per contrastare l’influenza delle potenze straniere e del cristianesimo [1], un periodo contrassegnato da continue guerre intestine. È l’inizio di una strabiliante modernizzazione, sotto l’egida dell’Imperatore ritrovato, che impersona la continuità della tradizione dentro un cambiamento necessario.

In alcune delle pagine illuminanti del suo diario, il corrispondente del Corriere della Sera Luigi Barzini, che ebbe l’intuizione di visitare e analizzare − per primo, con metodo e non ricercando l’esotico – l’Estremo Oriente, spiega come il Giappone avesse saputo assorbire il modello occidentale, facendo proprio e ancor meglio, fino a primeggiare nell’industria. Fece lo stesso, alcuni secoli addietro, il genio spietato e intuitivo di Oda Nobunaga, usando su larga scala e meglio dei contemporanei europei, le armi da fuoco, come nel caso battaglia di Nagashino (1575), determinante per un’idea di Giappone unificato.

«Il Giappone si è rifatto sul nostro bel modello, ha adottato i nostri codici – un po’ a suo modo – e ammazza il prossimo secondo le nostre regole (…). Ha preso sempre il buono dove l’ha trovato; nel Sedicesimo secolo si mise alla scuola dei Missionari come prima si era messo a quella dei Confucianisti (…). Ha messo la nostra civiltà al suo servizio, senza che il suo odio primitivo contro lo straniero diminuisse» [2].

Gli effetti del Rinnovamento Meiji

A inizio del Novecento è a tutti gli effetti una potenza moderna, con aspirazioni di espansione commerciale e militare. Al pari degli occidentali, trova nell’espansionismo una valvola di sfogo per la sovrabbondante produzione interna; ne fanno le spese la Cina e soprattutto la Russia, contro la quale il Giappone si muove, in alleanza con l’Inghilterra del “secondo periodo asiatico” [3], ovvero quel frangente in cui concentra gli sforzi contro la Russia, per poi passare alla Germania. Le vittorie di Port Arthur (1904), oggi Lüshunkou in Cina, e Mukden (1905), oggi Shenyang sempre in Cina − battaglie già di massa – certificano la proiezione del Sol Levante nel cuore dell’Asia.

Proprio per questo, nel 1917, Lenin [4] ascrive il Giappone al novero delle potenze imperiali: «(…) La spartizione del bottino ha luogo fra due o tre predoni (Inghilterra, America, Giappone) di potenza mondiale, armati da capo a piedi che coinvolgono nella loro guerra, per la spartizione del loro bottino il mondo intero».

In seguito, dimostra, come sempre faceva citando numeri precisi e accorpandoli in tabelle [5], la rapida crescita delle sue colonie.

Modernità e contrasti

Il passaggio dalla clausura secolare all’industrializzazione forsennata è complesso per una società rigida, estetica, non di rado brutale. È un momento tratteggiato, con la consueta levità, nel “Si alza il vento” (2013) di Miyazaki, incentrato sulla vita di Jirō Horikoshi, l’inventore del famigerato caccia Mitsubishi Zero. Gli abiti tradizionali scompaiono, il paesaggio della risaia è intervallato dalla ciminiera e dalla ferrovia, la baia si riempie di navi meccaniche, i militari prendono sempre più campo.

Il paesaggio giapponese prima della modernità – certe suggestioni rimangono anche dopo – è custode di segreti, raffinatezze, incubi. Il bosco di Sowo, nei sobborghi di Nagasaki, delizia il Barzini [6] per i suoi fiori mentre la mitologia rapsodica, che Lafcadio Hearn [7] raccoglie, descrive coste marine popolate da Oni-bi, fuochi demoniaci, e da granchi che hanno sul guscio i volti dei guerrieri affogati in mare, donne in vestiti eleganti che si aggirano lungo i fiumi di cui è meglio non fidarsi e potrebbe capitare, quando si è più fortunati, di imbattersi in una bella fanciulla che è la materializzazione della peonia.

L’omicidio politico e l’esordio inquieto del Novecento

La storia del Giappone moderno è costellata di omicidi politici. Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento sono diversi i primi ministri a essere uccisi o a subire attentati.

In quel periodo, figlio del rinnovamento Meiji e della Costituzione del 1889, gli esecutivi sono molto brevi, frequente il ricorso ai militari o alla Marina imperiale (Yamagata Aritomo, Katsura Tarō e Yamamoto Gon’nohyōe per citarne alcuni); solo Itō Hirobumi, inviato all’estero per studiare i sistemi di governo e di tassazione occidentali, riesce a governare con continuità, sebbene a più riprese (per fare un parallelismo, i vari governi Giolitti).

A cadere sono: Hara Takashi (1921), il primo premier cattolico del Giappone, Inukai Tsuyoshi (1931) a seguito dell’incidente del 15 maggio, Uchida Kōsai (1936), che cade dopo l’incidente del 26 febbraio, al pari di Takahashi Korekiyo, premier protestante, e Saitō Makoto, tentativo di assassinio da cui solo fortunosamente si salva Saionji Kinmochi, che era visto come pacifista. Quella scia di sangue portò a un progressivo irrigidimento del sistema fino a sfociare nel totalitarismo militarista. Il resto è storia nota.

Note
  1. Il rapporto con la religione cristiana è complesso: il primo unificatore del Giappone, Oda Nobunaga, usa il cristianesimo in funzione anti-shintoista mentre, riferisce Barzini, nella seconda metà dell’Ottocento erano ancora forti i sentimenti contro la “setta mentitrice corrotta”.
  2. Barzini L., “Dall’Impero del Mikado all’Impero dello Zar”, pagg. 1-8 “Il Giappone moderno”, a cura di Paolo Mathlouthi (OAKS Editrice, 2020).
  3. Hill D. “A History of Diplomacy in The International Development of Europe” (1905).
  4. Lenin V., “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”, Prefazione all’edizione francese e tedesca.
  5. Lenin V., “Imperialismo, fase suprema del capitalismo”, Cap. VI “La spartizione del mondo tra le grandi potenze”.
  6. Barzini L., “Dall’Impero del Mikado all’Impero dello Zar”, pagg. 26-31 “Il paese dei fiori”, a cura di Paolo Mathlouthi (OAKS Editrice, 2020).
  7. Hearn L., “Ombre giapponesi” (Adelphi).

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