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L’invasione francese della Toscana tra rivoluzioni, reazioni e acquisizioni (1796-1802)

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(immagine di copertina presa da Accade Oggi a Siena-Il Calendario, 28 giugno)

Dal giugno del 1796 al maggio del 1797 l’esercito francese, guidato da Gioacchino Murat, occupò Pistoia, Fucecchio e il porto di Livorno, nonostante il Granduca di Toscana Ferdinando III di Asburgo-Lorena avesse dichiarato la neutralità nel 1792 e nel 1795. La flotta inglese comandata da Horatio Nelson aveva occupato Portoferraio sull’Isola d’Elba, Piombino, Castiglione della Pescaia e Massa Marittima. Nel frattempo si manifestarono presunti miracoli mariani a Livorno, Firenze e Arezzo, il 2 e 22 settembre, i quali troppo facilmente furono accettati come veri e propagandati dal clero.

Negli ultimi giorni di marzo del 1799 un esercito francese di 7000 uomini, sotto la guida dei generali Sextius Alexandre François de Miollis e Paul Louis Gaultier de Kerveguen, invase di nuovo il granducato. Il Granduca lasciò Firenze per Vienna e i suoi ministri per la Sicilia.

Si realizzò un interregno sotto il governo del commissario Charles Reinhard. Papa Pio VI già in esilio nella Certosa di Monteacuto, a sud di Firenze, dovette ripartire per la Francia, per poi morire in esilio il 29 agosto.

A livello centrale fu istituito un bureau di consultazione filofrancese, composto da tre “ministri” scelti fra i “patrioti ben pensanti”. A livello periferico, all’inizio il Commissario mantenne sostanzialmente intatto l’assetto precedente, a parte istituire inedite ‘municipalità’ fedeli ai nuovi governanti. Si dette vita a un battaglione etrusco di fanteria di linea composto da volontari. In quei mesi si venne formando un partito di “patrioti” perlopiù di estrazione urbana, con l’adesione di qualche esponente dell’ebraismo regionale, interessati principalmente all’abolizione dei ghetti in Toscana.

Debito, tasse e prezzi si alzavano a dismisura. Fra la fine d’aprile e i primi giorni di maggio, in seguito a notizie su presunti miracoli compiuti dalle icone della Madonna in tutto il granducato, si verificarono fenomeni d’insorgenza antifrancese e antigiacobina chiamati Viva Maria. Mentre Firenze e Pistoia non furono segnate da episodi particolarmente cruenti, nel Valdarno Superiore, nel senese e nella Maremma le vicende si svilupparono in una direzione opposta. Dagli inizi di maggio ad Arezzo fu scacciato il presidio francese, da un movimento contadino capitanato dall’aristocrazia locale [1]. 

A Siena, il 28 giugno gli insorti entrarono e, tra le festività per la fine dell’occupazione, il ghetto fu assalito e saccheggiato. Tredici ebrei e un soldato polacco furono arsi vivi in Piazza del Campo [2]. Dagli atti consultati da Santino Gallorini, conservati nell’Archivio di Stato di Siena e in quelli della comunità ebraica, si legge che furono processati e condannati per i fatti più di una decina di senesi con trascorsi criminali, mentre il Viva Maria si offrì di stare di guardia al ghetto dopo i saccheggi [3].

Non bisogna, ciononostante, scordarsi che era più facile far ricadere ufficialmente la colpa su alcuni indigenti senesi che sui neo-crociati “liberatori” di Arezzo, accolti come eroi da tutti [4].

Comunque il Viva Maria festeggiò la liberazione della città nella piazza dove si era compiuta la tragedia. Poco dopo Karl Schneider, ufficiale austriaco ritenuto capo delle bande aretine, ordinò agli ebrei il pagamento di 50mila lire entro le successive due ore, altrimenti sarebbe stato dato fuoco al ghetto. La cifra fu pagata grazie alla proroga di un giorno e Schneider tornò con il bottino ad Arezzo [5].

Bande d’insorti aretini al comando di Lorenzo Mari, del console inglese William Windham e di un tale Fra’ Bortolo scatenarono il terrore controrivoluzionario nelle campagne nella Toscana orientale, attaccarono le truppe francesi del generale Étienne Macdonald e occuparono Firenze il 7 luglio per poi impadronirsi di Pisa, Livorno e della costa tirrenica, mentre Reinhard abbandonava la Toscana.

A Firenze il potere provvisorio fu assunto dal Senato fiorentino che riconosciuto da Ferdinando III, faticò non poco per assumere il controllo effettivo su tutte le 98 comunità del granducato, liberate dalle armate popolari del Viva Maria e che obbedivano soltanto alla Suprema Deputazione aretina. La situazione alimentare del paese era ormai disperata e anche i “legittimisti” si davano alla razzia.

A settembre gli aretini dovettero cedere il governo, mentre Firenze veniva occupata dagli austriaci. Si abbatté una dura repressione, voluta e organizzata dal Senato tramite la ‘Camera Nera’. Ci furono circa 32.000 inquisiti, dei quali due terzi sarebbero stati condannati con esili, carcerazioni, licenziamenti e perdita di commende ma non sembra che condanne a morte siano state eseguite. Furono sospese le attività delle Università di Pisa e Siena, considerate fucine della sovversione.

Il 19 giugno 1800, l’esercito francese ormai era tornato ai confini dello Stato dopo la vittoria di Napoleone a Marengo il 14 giugno e il Granduca nominò una Reggenza. Dopo che il Senato aveva ordinato la leva in massa il 9 giugno, fu organizzata un’armata di volontari al comando del generale Annibale Sommariva. Queste sette-ottomila unità operarono fra Lunigiana e Garfagnana, ma senza conseguire grandi risultati. A luglio partì da Bologna il comandante Pierre-Antoine Dupont che il 15 ottobre entrò a Firenze. Rimasero come rappresentanti della Reggenza i cosiddetti Quadrumviri.

A questo punto Dupont inviò un altro esercito, circa 8.000 uomini al comando del generale Jean-Charles Monnier, per espugnare Arezzo. Egli prese d’assalto la città il 19 che poi fu devastata e saccheggiata. Vi furono commesse molte fucilazioni, stupri e rapine per sette ore consecutive. Colonne mobili leggere di Dupont e del generale François Miollis ripulirono gli Appennini dai briganti e dalle restanti milizie granducali.

I quadrumviri, che dal 10 ottobre al 15 novembre avevano rappresentato la continuità con il principato lorenese, si trovarono ben presto in contrasto con i francesi, in particolare a causa del loro rifiuto di ordinare la riapertura delle due università già citate. A questo punto il generale Miollis, alla fine di novembre sostituì i quadrumviri con tre “patrioti”. Altri democratici furono impegnati nel controllo delle amministrazioni locali, soprattutto su quelle meno fedeli al nuovo regime.

I triumviri coltivarono l’illusione di poter far nascere una repubblica moderata sulla traccia del progetto costituzionale del granduca Pietro Leopoldo, rimasto inattuato. Essi emanarono un decreto che tributava al secondo principe lorenese gli stessi onori riconosciuti a Cosimo I de Medici come “Padre della Patria”. Circolò anche un testo anonimo che propugnava l’indipendenza della Toscana.

Si verificarono nuove insorgenze in Maremma, a Firenze e a Pistoia ma il generale Miollis riuscì a sconfiggere sul campo i suoi avversari. Fu poi sostituito nel gennaio del 1801 da Gioacchino Murat che impose le dimissioni al triumvirato e rimise al suo posto il quadrumvirato. Nel marzo del 1801 Murat obbligò i toscani a pagargli due milioni di franchi per le provvigioni del suo esercito [6].

Con la convenzione di Aranjuez del 21 marzo 1801 si prevedeva che i francesi cedessero al giovane Ludovico di Borbone–Parma la Toscana e unita a questa i Presìdi della laguna orbetellana di proprietà napoletana, ribattezzando l’entità come Regno di Etruria. Nella Pace di Firenze siglata il 28 marzo 1801 si stabilì che i Borbone rinunciavano a Porto Longone nell’Isola d’Elba, ai Presidi della Toscana e alla sudditanza del Principato di Piombino, in favore del governo francese [7].

Dopo l’occupazione franco-polacca di Orbetello del 26 giugno, il 12 ottobre 1801 Ludovico fece il suo ingresso a Firenze. La nuova organizzazione politica e militare dei Presidi venne precisata con un Real motu proprio del 1° novembre. Il 9 novembre l’ultimo battaglione polacco lasciò i Presidi. Il giorno dopo le truppe etrusche entrarono nella piazza centrale di Orbetello. Il 22 novembre fu celebrato l’atto che sanciva la sovranità sui nuovi territori da parte di Ludovico I Re d’Etruria [8].

L’epoca illuminista in Toscana, tra il 1737 e il 1799, finiva così tra sangue, saccheggi, distruzioni, violazioni della persona, liste di proscrizione e un grande quesito: se fosse stato tutto questo riformismo a condurre alle barbarie susseguitesi. Già Ferdinando nel suo regno dovette ritirare le riforme più liberoscambiste, anti-assistenziali e anti-devozionali di suo padre, come lo stesso Pietro Leopoldo dovette fare in Austria dopo esser succeduto a suo fratello Giuseppe II, rimasto senza eredi.

La Rivoluzione fu un’opportunità per molti esponenti dell’aristocrazia fuori dal circolo fiorentino degli Asburgo-Lorena di gettare ombre su tutto il periodo “Moderno” seguito al Medioevo, mentre altri persistettero nella loro difesa del dispotismo illuminato. Dopo la caduta di Napoleone e il ritorno di Ferdinando dal suo esilio tedesco, tale regime poté essere coniugato con i frutti migliori del quindicennio francese, per aprire a una nuova e più felice epoca della storia del Granducato.

(CASTORE, Bordiga Gaudenzio, Carta Militare del Regno d’Etruria, 1806, Archivio Nàrodni Archiv Praha, Fondo Rodinný Archiv Toskánsckých Habsburku)

Bibliografia
  1. Gaetano Greco, Storia del Granducato di Toscana, Brescia, Morcelliana, 2020 pp. 297-304.
  2. Paolo Coturri, Gianni Doni, Stefano Pratesi e Daniele Vergari, Partire partirò, partir bisogna. Firenze e la Toscana nelle campagne napoleoniche. 1793-1815, Firenze, Sarnus, 2009, p.31.
  3. Santino Gallorini,Furono i senesi ad uccidere i 13 ebrei’, su Siena News, 08/07/2011.
  4. Roberto Barzanti, ‘Il premio Viva Maria è un insulto al buon senso’, su Siena News, 09/07/11.
  5. Gennaro Groppa, Le bande del Viva Maria volevano distruggere il ghetto di Siena, su Siena News, 13/07/11.
  6. Gaetano Greco, Storia del Granducato di Toscana, Brescia, Morcelliana, 2020, pp. 305-308.
  7. Gualtiero Della Monaca, 1557-1815. Reali Presìdi di Toscana. Un piccolo stato una grande storia, Grosseto, Effigi, 2023, p. 180.
  8. Ivi, pp.163-168.

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