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La crisi profonda di Firenze. Chi vuole ancora una città così?

GERMOGLI PH 13 MARZO 2020 FIRENZE CENTRO STORICO DESERTO VIRUS CORONAVIRUS COVID 19 MASCHERINE NELLA FOTO TURISTI PIAZZA DELLA SIGNORIA UFFIZI
Copyright Fotocronache Germogli (2020)
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Il dialogo tra Gianni Bonini e Lorenzo Somigli a partire dalle ultime notizie sulla città di Firenze come le sofferenze del settore moda.

Lorenzo Somigli: “Soffre il distretto toscano della moda. Prato perde il 5%, -7% per Empoli e maglia nera per Firenze che perde oltre il 10%. Sono i dati che si leggono su Milano Finanza e Confindustria conferma. I dati non sono mai esaustivi e vanno sempre contestualizzati. Ad ogni modo è un segnale indicativo di una crisi profonda della città e della sua area metropolitana che perde terreno rispetto agli altri distretti produttivi. Se allarghiamo lo sguardo emerge una prospettiva allarmante: il Maggio commissariato; Firenze Fiera – quella delle consulenze alla Concia – non trova investitori; la Fiorentina dovrà cercarsi una nuova casa, donde il tackle di Joe Barone che abbiamo letto stamani. Ha fatto bene il nostro comune amico e tifoso viola Fabio Fallai a prendere una pubblica posizione in sostegno alla società”.

Gianni Bonini: “Non si può non partire dalla notizia sulla sofferenza del distretto della moda, anche perché si tratta di un settore tanto promosso e tanto propagandato. La moda sostenibile, le fiere digitali, il distretto, l’innovazione. La verità è quella dei numeri che tu hai citato e che avrebbero già dovuto essere al centro di una riflessione pubblica e politica che però non c’è. La crisi profonda di Firenze trascina anche il settore della moda”.

Da Milano Finanza del 29 dicembre 2023.

“In precedenti riflessioni, abbiamo provato a spiegare, a coloro che hanno la pazienza e che non si fanno intimorire dalle nostre analisi improntate al pessimismo della ragione, poi nella vita siamo concreti – le nostre sono analisi lucide e non consolatorie e che spesso anticipano i fenomeni economici e sociali – quale sarebbe stato il destino della città. Da anni Il Tazebao ha lanciato un allarme, fin dalla fondazione nel 2020, e ha aperto uno spazio di riflessione critica. La monocoltura turistica rappresenta il sigillo tombale sulla città e certifica la perdita di capacità innovativa e imprenditoriale di una città che invece è stata anche industriale”.

Una crisi strutturale che viene da lontano

LS: “Tutto questo ha radici profonde. Ti provoco. Federico Dezzani, i cui libri sono consigliatissimi, soprattutto quello sulle rivoluzioni e i rivoluzionari, ha scritto su Twitter, in merito alla fine di un noto politico – sic transit gloria mundi – e dei suoi congiunti: «Il ruolo spropositato che ha avuto Firenze nelle tristi vicende nazionali dell’ultimo decennio è dovuto solo alla massoneria, che inizio a fare danni con Ricasoli». Mi sono limitato a commentare così: «Proprio con i lavori di Firenze Capitale – non senza interventi giusti – si inaugura il modello della rendita immobiliare, che oggi ha raggiunto la fase suprema con la monocultura turistica. La città senza cittadini è l’esito di quel processo». Proprio dai lavori di Firenze Capitale, appunto, ripartiva la dura disamina dell’architetto Bicocchi in quel lavoro, cui tu hai partecipato attivamente, Chi vuole una città così? e che noi molto modestamente ci promettiamo di rilanciare. Anche perché siamo di fronte all’evidenza dei fatti”.

GB: “Dobbiamo partire almeno dagli anni ’70. Firenze, allora unita con Prato, era la terza provincia industriale d’Italia. Sottolineo questo dato ogni volta. Ciò era innervato da una produzione culturale ed artistica straordinaria e innovativa. La Pira sperimenta negli anni ’50 a livello locale forme politiche in anticipo sul primo Centrosinistra sostanzialmente interrotto dalla Strage di Piazza Fontana. Nel mio libro Primavera di bellezza, che uscirà a gennaio, parlo del percorso personale che non esiste astratto dal contesto storico-politico”.

«Dopo l’interessante esperienza delle giunte di La Pira, il trinomio pavoliniano arte-turismo-spettacolo riprende vigore grazie al lavoro della prima giunta di sinistra, dopo l’esaurirsi della Giunta Bausi, composta da PCI, PSI, PSDI e PRI, di Elio Gabbuggiani, dal ’75 (fino al mandato di Giorgio Morales seguito alla rottura dell’83). Franco Camarlinghi assessore alla cultura riuscì a interpretare il genius loci della città e la sua effervescenza culturale diffusa che si mischiava ad un artigianato e un’industria, appunto, ancora fiorente. Ho fatto il nome di Franco Camarlinghi il quale, più che un principe rinascimentale fu uno “straordinario artigiano” che fece lievitare le migliori esperienze ma seppe anche importare quelle migliori».

“In quegli anni, si segnalano l’esperienza di Ronconi (ho rivisto recentemente a Rai5 un suo bellissimo Gianni Schicchi), al Fabbricone di Prato, e quella di altri eccellenti sperimentatori culturali come Rostagno. Ricordo che qui a Firenze allora presero dimora tre scuole teatrali: quella di Orazio Costa Giovangigli, maestro alla base di una generazione di attori, tutt’oggi attivi, nonostante un cinema italiano drogato dagli aiuti di stato e dove mancano epica e retroterra storico, e poi quelle di Vittorio Gassman e di Edoardo De Filippo. Voglio ricordare anche Sergio Salvi alla cui guida il settore espositivo riuscì a raggiungere un livello di prim’ordine insieme alla Venezia di un caro amico assessore, Cesare De Michelis. Sono esperienze teatrali ed espositive che resero Firenze una capitale della cultura internazionale. C’era una classe politica colta che andava a teatro e non solo per tediarci con banali fervorini”.

“Ho citato Camarlinghi, posso citare Giovanni Pallanti, che ha avuto un ruolo essenziale nella nostra storia, e Ottaviano Colzi, segretario e vicesindaco socialista tanto avversato dal PCI quanto vicino alla Firenze della produzione e della cultura. Un politico di allora vide Le nozze di Figaro dirette da Riccardo Muti al Teatro Comunale due o tre volte e non per vanità o snobismo ma per orgoglio e per passione. Vorrei ricordare un’altra protagonista di quella politica, Fioretta Mazzei, con la quale ho condiviso una battaglia contro la privatizzazione della Nuova Pignone, una battaglia persa ma giusta, in parallelo alla lotta contro le privatizzazioni degli anni ’90; del resto, la Pignone è complementare all’ENI, dopo essere stata salvata da Mattei e da La Pira, ma mio nonno fu licenziato lo stesso, e nasce in seguito all’accordo con l’URSS per il gas via Tarvisio”.

“Si è privilegiato un turismo mordi e fuggi basato sui B&B, fine a sé stesso. Un giorno qualcuno ci spiegherà il modello che c’è dietro e la strategia. Morales, sconfitto da Primicerio sull’onda dell’infatuazione moralistica di Mani Pulite, un false flag che tanti danni irreparabili ha prodotto, è stato l’ultimo esempio di governance urbana che ha tentato di plasmare Firenze come moderna metropoli salvaguardandone le radici. Uno dei suoi interventi era stato quello dei parcheggi nel centro e nella cintura dei viali così da evitare quel vuoto colmato solo dal turismo di massa sopra descritto”.

Il modello tutto-turistico e la fine del dibattito civico

LS: “Eppure il dibattito sembra molto stantio. Probabilmente, chiunque si trovi a governare adesso si trova una città fuori controllo. Tra Kata che sparisce e non si trova più nonostante la selva folta di telecamere, una stazione-tendopoli, cantieri, vuoti urbani, Fiorentina in rotta con l’amministrazione, crisi abitativa radicale innescata dai «sùbiti guadagni» del turismo di massa. Penso che la monocultura turistica, dopo aver desertificato il centro e dopo aver iniziato ad aggredire il tessuto urbano oltre la cintura dei viali, abbia anche appiattito i pensieri e smorzato la creatività”.

GB: “Non ci sono più i tempi per un dibattito civico, che noi abbiamo lanciato in tempi non sospetti, visto che ci riconosciamo in una dimensione alta della politica. Penso all’ottimo dibattito che abbiamo organizzato nel maggio scorso al Campo di Marte. Leggo delle candidature di Funaro e Del Re, leggo dell’innamoramento del Centrodestra per Schmitt, un bravissimo direttore cui perdono anche lo scivolone sulla Ferragni. La politica però è un’altra cosa, richiede una dimensione più profonda ed articolata, non basta una technè per quanto valida. Dovevano nascere un nome e uno schieramento da un Centrodestra largo, per usare una metafora di sinistra, capace di recuperare anche le vecchie ma resilienti culture politiche democristiane, socialiste, liberali che ancora rappresentano un modello di riferimento. Invece, è venuto fuori un nome che non è un progetto. È una traiettoria simile a quella di Montanari che era uscito e poi è rientrato: un’opzione a cui non ho mai creduto perché conosco gli apparati di partito. E poi: non è che Cacciari ha fatto così bene a Venezia e Montanari non è Cacciari, dunque la Funaro, che non voterò, è magari più abile nella pratica quotidiana. Tornando al Centrodestra, perfino i suoi elettori sono poco convinti a votarlo perché non ha mai impostato o dettato i tempi al dibattito o i temi caldi ma si è sempre limitato ad andare a rimorchio. Il rischio è che sia, ancora una volta, ininfluente”.

«Più nel dettaglio, Fratelli d’Italia avrà, comunque, un ottimo risultato perché trascinato da un’ottima premier politicamente solida, che porta avanti un’azione di governo possibile per gli spazi geopolitici che l’Italia ha attualmente che non sono più quelli di prima della caduta del Muro di Berlino. Lega e Forza Italia, invece, avrebbero avuto tutto l’interesse ad allargare il gioco e portare avanti delle candidature di spessore, un insieme di esperienze storiche e di homines novi. Stando così le cose, si limiteranno alla sopravvivenza di singoli esponenti. Forse. Per questa leva politica, probabilmente, è stata l’ultima occasione di fare un salto di qualità. E quando manchi un salto in avanti il più delle volte fai un salto all’indietro».


Continuando a riflettere…

Sento il dovere di precisare il mio pensiero per gli amici e le persone che stimo dopo il dialogo con Lorenzo Somigli pubblicato su Il Tazebao. Avverto più di qualche perplessità e allora chiarisco brevemente. È vero: mi sono fatto prendere la mano, succede ai migliori, ed abbasso il rating della premier da ottimo a positivo, respingendo tuttavia ogni inconscia persistente “pregiudiziale antifascista”. Dopo le monetine del Raphaël contro Bettino la Storia anche per il Belpaese ha svoltato simbolicamente ed è entrata appieno nel capitalismo politico. Resta il giudizio storico sul Ventennio di cui do una lettura molto più articolata dell’attuale Psychological Warfare Branch mediatico, la guerra fu sciaguratissima nell’entrata e nella conduzione e non c’è dubbio che Mussolini ne porta la responsabilità insieme ai Savoia ed alla classe dirigente che cominciò a “mormorare” solo quando le cose precipitarono irrimediabilmente, l’8 settembre è un crimine rimasto impunito.

Confermo che Giorgia Meloni si muove in un quadro geopolitico aspro e difficile in cui è saltata ogni possibile Ostpolitik dopo la mancata transizione post-sovietica, Craxi fu profeta inascoltato e il PDS ne ostacolò l’iniziativa espellendolo dall’Internazionale socialista, per colpe e volontà che vanno da Bush-Baker-Clinton a Kohl-Merkel ed al duo Gorbacëv-Eltsin, semplifico ovviamente. Gorbacëv fu l’Adimanto ateniese di Egospotami, come suggeriva Canfora in una delle sue incursioni contemporanee? Tesi da cui si tiene lontana, senza peraltro affrontarla, Rita di Leo e la sua gestione popolare dell’URSS, sintetizzo, in una delle poche analisi materialistiche del crollo gorbacioviano. L’Italia atterrata e ridotta da Mani Pulite ad ininfluente periferia dell’Impero, in concomitanza all’affermarsi del dominio della Turbofinanza, da quarta potenza economica mondiale che era con uno stato sociale da primato, che muoveva dal Dopoguerra e soprattutto da quello straordinario primo centro-sinistra Fanfani-Nenni-Saragat-Moro, ma non vi citerò le sue incredibili conquiste che ci hanno fatto fare dei corsi di studi oggi di nuovo diventati impossibili, cari amici miei ogni tanto qualcuno di voi lo dimentica.

Non è la Meloni che è salita sul Britannia nel 1992, non è lei che porta la responsabilità e qualcosa di più della forzata coscrizione vaccinatoria, le primavere arabe che ci sono costate il Mediterraneo videro il siluramento di Berlusconi e l’arrivo del bocconiano Monti sulla base della lettera di Draghi, sempre lui, e di Trichet ed agli entusiasti del QE, il tanto strombazzato Quantitative Easing da parte dei guru finanziari da cui è bene stare alla lontana, mi limito ad avanzare l’ipotesi che era in linea con la politica antigermanica della Fed e mi fermo qui. I grandi fondi, loro sì sovrani e globali al tempo stesso, comprano i nostri titoli del debito pubblico e l’Inps va, questo è un fatto importante, come lo è il fatto che non viene consentito al patrimonio degli italiani che eccede ampiamente il debito di investire su di esso in bond, come insistentemente richiesto da illustri esponenti del mainstream. Alla faccia del sovranismo che tutto d’un botto si richiede alla premier, pure da insospettabili suoi vecchi sodali, mentre un ignoto Pierre Gramegna ci rampogna e di rincalzo l’ineffabile commissario europeo Gentiloni ci chiede sul Mes di rispettare non si sa bene quali trattati europei. Via, non scherziamo!

Che poi l’Ucraina e l’ennesima tragedia palestinese ci lascino sgomenti per l’impotenza e il senso di colpa che attanagliano le nostre coscienze forse più di quando giustamente scendevamo in piazza contro i bombardamenti sul Vietnam del Nord, è comprensibile. La colpa non è sempre degli altri però, cari amici miei già marxisti immaginari e lo dico con l’affetto che muove il ricordo. L’ideologia e l’egemonia comunista fecero fallire nel 1968 l’unificazione socialista su cui era imperniato quel primo irripetibile centro-sinistra, ma Togliatti sembra ritenesse lo Psiup un partito inopportuno, vent’anni dopo l’intelligence post-comunista italiana chiedeva tempo al progetto di Unità Socialista e poi si imbarcava senza pudore sul vascello dell’antipolitica e dello sterminio del vecchio PSI, il Partito della lotta di classe in Italia agli inizi del secolo XX, come recita il bel libro di Giuliano Procacci che concorse ad iniziarmi a quella meravigliosa stagione della mia giovinezza.

La sovranità, è una postura molto molto molto, sottolineo molto, complessa nell’era delle interdipendenze anche se lo Stato-Nazione appare quasi risorto ma è solo un sembiante prodotto glocalmente dalla nuova guerra mondiale combattuta asimmetricamente ma dappertutto e per davvero, in cui muoiono persone come noi e non ologrammi da tastiera. A cominciare dallo spazio, Blade Runner non è mai stato fantascienza. È il prodotto sempre a rischio di una lunga storia, di grandi sacrifici, mai come nel Novecento i padroni del vapore, l’espressione desueta e che rilancio provocatoriamente mi sembra fosse di Fortebraccio, si sono sentiti il fiato addosso e mai altro secolo è stato così sanguinoso come il XX. Ed allora dopo i tanti errori succeduti alla fine del comunismo che fu grande e terribile come il suo secolo, facciamo uno sforzo per guardare ai fenomeni sociali in un’ottica di respiro globale ché la cibernetica determina già da tempo la nostra Zoé, la nostra stessa essenza. Ed allora mi perdonerete qualche mio raro ottimismo di troppo. Buon Anno Nuovo a tutti.

Passeggere: Ma come qual altro? Non vi piacerebb’egli che l’anno nuovo fosse come qualcuno di questi anni ultimi?

Venditore: Signor no, non mi piacerebbe.

Gianni Bonini

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