Il populismo è in crisi o è in crisi la democrazia? Risponde Orsina

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“Ci sono partiti che rappresentano bene il popolo senza saper governare, altri che sanno solo stare al governo…”

Giovanni Orsina, Direttore della Luiss School of Government, editorialista de La Stampa, è intervenuto a Il Tazebao per analizzare gli ultimi sviluppi nella politica italiana, preludio, forse, di ulteriori modificazioni. Orsina, che è anche Direttore del Comitato Scientifico della Fondazione Craxi, è uno degli osservatori più acuti e apprezzati della politica italiana. Tra i suoi saggi più recenti si segnalano “La democrazia del narcisismo. Breve storia dell’antipolitica” (Marsilio, 2018) e “Il Berlusconismo nella storia d’Italia” (Marsilio, 2013). Così il Professor Orsina.

Zingaretti lascia, Conte si prende il M5S, Giorgetti emerge. E siamo solo all’inizio. Il sistema politico italiano sembra in fibrillazione dopo la nascita del governo Draghi.

“La pandemia, e il governo Draghi come suo esito, hanno cambiato i termini del conflitto politico. Prima si imperniava sul confronto, spesso più teatrale che sostanziale, tra europeisti e sovranisti. L’affievolimento di questa contrapposizione, culminato con il nuovo governo, è da ricondurre anche ai sempre minori spazi di manovra della politica. Certo è che il governo Draghi produce delle ricadute vistose sul sistema partitico. Già con il Conte II, però, c’erano stati dei cambiamenti apprezzabili. Già allora il M5S (di cui ha parlato anche Leonardo Tirabassi) aveva avviato una profonda ricollocazione. La nascita del governo Draghi è anche l’esito di quei processi. Essa, inoltre, apre una crisi esiziale per l’ipotesi di convergenza M5S-PD, mettendo di fatto in crisi l’alleanza che si reggeva sull’anti-salvinisimo. Lo stesso Salvini, dal canto suo, ha fatto saltare completamente lo schema decidendo di appoggiare il governo. Il governo Draghi, che sta facendo tanto cambiare i partiti, è, in fin dei conti, un prodotto della pandemia – e dei fallimenti di Conte nella sua gestione – e, ovviamente, ma sono fattori connessi tra loro, della vittoria di Biden e del programma Next Generation Eu, che segna un cambio simbolico e sostanziale rispetto alle politiche di Austerity”.

Il sistema politico italiano, almeno dopo il trauma di Tangentopoli, sembra essere sempre in una perenne transizione, senza mai pervenire a un equilibrio più o meno duraturo. Lo dimostrano le leadership friabili degli ultimi anni, al netto dell’inossidabile Berlusconi. Quali evoluzioni ci possono essere ancora?

“Gli spazi di discrezionalità della politica vanno a ridursi sempre di più. Stando così le cose viene da domandarsi su cosa si divideranno i partiti nel 2023? L’Italia avrà un debito pubblico elevato, sarà sempre più vincolata per il Next Generation Eu, che allora sarà ben oltre le fasi di avvio. Il Paese sarà ancor più sotto tutela di quanto non sia stato fino ad ora. Al momento, fuori dal governo Draghi è rimasto solo Fratelli d’Italia ma non è chiaro quale opzione nazionale potranno proporre nel 2023. Loro cercheranno ovviamente di farsi sentire, ma con spazi politici sempre più esigui. In linea di massima, la Destra potrebbe riuscire a rappresentare l’Italia produttiva, la Sinistra quella garantita. Anche per questo vedo riproporsi un grave problema per la democrazia. C’è democrazia quando il demos si divide sul kratos. Oggi di kratos in Italia ce n’è poco, e allora su che cosa può dividersi il povero demos? Difficile prevedere come potranno ricollocarsi i partiti o quali reali differenziazioni sapranno proporre. Questo in un Paese sempre più stanco del teatro…”

La vittoria di Biden e quindi il cambio alla guida dell’Impero sta producendo ripercussioni globali. Quindi sul nostro Paese, che dell’Impero è la periferia, e non solo sul nostro. Mentre Trump si sta riorganizzando dentro il GOP assistiamo ad una revisione in seno ai partiti populisti, frutto anche di un declino dei temi forti come la critica all’immigrazione e al modello multiculturale.

Siamo di fronte ad una crisi del populismo?

“In un certo senso sì. Che sia una crisi permanente o solo una pausa è ancora presto per dirlo. Il populismo in Italia è stato anche antieuropeismo e le ultime evoluzioni dell’Europa lo hanno necessariamente messo in crisi ma bisogna aver chiaro da dove origina il populismo. Esso nasceva proprio dall’impossibilità di produrre nuove divisioni della politica, originava da una politica che realmente non c’era, per effetto dell’integrazione con forze sovranazionali che hanno di fatto eroso il potere degli Stati e della politica stessa. C’è una sensazione, soprattutto in certi ceti, di disempowerment. È difficile pensare che questa sensazione possa scomparire del tutto senza lasciare almeno qualche traccia nei partiti e di conseguenza nella società italiana. I temi che il populismo ha proposto in un modo o nell’altro rimarranno o comunque si riadatteranno. In un Paese, come abbiamo detto, che sarà sempre più vincolato e impossibilitato a uscire da questi vincoli, la rabbia, in un modo o nell’altro, dovrà esprimersi. Troverà delle valvole di sfogo, forse irrealistiche, al di là del caso di una crisi ultimativa. Gli esempi nella storia ci sono stati ma in quel caso si tratta un azzeramento complessivo del sistema, non solo politico, e le conseguenze sono pesanti e coinvolgono tutti”.

In un certo senso possiamo dire che il populismo è stato ed è un sintomo e una risposta, magari sbagliata, ad un male che cova nelle nostre società democratiche? Siamo ancora in tempo per curarlo o per prevenire degenerazioni peggiori? Forse si sarebbe potuto evitare con una democrazia più governante?

“Direi proprio di sì. È una risposta alla crisi del politico. Lo si sarebbe potuto evitare frenando i processi di depoliticizzazione che hanno preso avvio alla fine degli anni Settanta, ossia facendo in modo che gli elettori continuassero a sentirsi in qualche modo in controllo dei processi storici. Così non è stato fatto, e ora è difficile tornare indietro”.

Dieci anni dopo ancora un tecnico. In questo arco di tempo la politica italiana non è stata capace di ricostruirsi.

“Ci sono stati diversi tentativi di ricollegare rappresentanza e potere. Quelli del M5S, di Renzi, oggi quasi completamente falliti, e quello di Salvini, non ancora fallito certo ma nemmeno vivo e vegeto. È questo un punto critico per i nostri partiti. Ci sono quelli che rappresentano il popolo, bene o meno bene, ma non riescono a governare. Gli altri invece occupano il potere soltanto perdendo ogni legamene con il popolo: in questo ci sta oltre mezza crisi del PD…”.

Un sentito ringraziamento al Professor Giovanni Orsina, sempre prezioso nell’aiutarci a comprendere i fenomeni socio-politici che sconvolgono il nostro tempo. Ho avuto il piacere di presentare nel 2018 il suo ultimo libro a Firenze, un saggio “La democrazia del narcisismo” che torna oggi di stringente attualità.

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