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Il condizionamento si fa con i colori (anche nell’agroalimentare). La battaglia europea dell’etichetta nutrizionale

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Sulla qualità del cibo è in corso una partita serrata a livello europeo. Una delle spaccature più evidenti è sul sistema di etichettatura che fornisca al consumatore informazioni chiare.

“A capite bona valetudo”
Seneca, De Clementia, 2,2.

In un periodo buio stiamo assistendo al paradosso dei colori! Non vi sto parlando della teoria dei colori di Goethe ma del ruolo che i colori hanno assunto, nella politica e non solo. Il rosso e il giallo erano i colori dell’energia, della passione, del sole ma da un anno a questa parte sono diventati l’indicazione di divieti più o meno severi. Anche l’arcobaleno che del colore faceva il proprio trionfo incantato nei disegni di bambina non ha più quel significato poetico; un furto di magia che non ho subito solo io, come se Gargamella lo avesse rimpiazzato con un sortilegio – ai danni di grandi e piccini –  colmo di condizionamenti, prescrizioni, divieti, naturalmente colorati.

In questo tempo di pandemia l’istinto di conservazione prevale. Con tutte le attenzioni sul piano emotivo e della comunicazione che ne conseguono a livello sanitario e di salute pubblica. Ma a questo si aggiunge un accresciuto livello di attenzione quasi parallelo per la sfera alimentare. Un pre-requisito per sentirsi bene e rafforzare anche le difese contro il Covid, che da qualche tempo si traduce in una più diffusa consapevolezza e in un maggiore interesse per ciò che mangiamo.

Da qui il dibattito aperto a Bruxelles, nelle sedi istituzionali e nei media, sul tema delle etichette nutrizionali. Una sorta di passepartout per essere informati su cosa portiamo a tavola e sulle reali ripercussioni che il cibo può avere sul nostro equilibrio fisico e mentale.

All’inizio, la crisi legata alla diffusione dell’epidemia, ha creato una situazione confusa che è evoluta rapidamente. Le persone hanno cominciato a paragonare il contesto che si trovavano di fronte alla fine del mondo e alle notizie relative agli ospedali sovraffollati, e all’incapacità del sistema sanitario di far fronte al carico di malati, ha fatto seguito la preoccupazione relativa alle scorte alimentari.

Allo stesso tempo abbiamo e stiamo subendo un “decalogo” – magari fossero solo 10 – di precetti che si stanno traducendo in “condizionamenti” (speriamo almeno) rassicuranti.

Così il desiderio continuo di informazioni ha spinto e continua a muovere le persone ad affidarsi anche a fonti non attendibili ma di immediata lettura che apparentemente semplificano le scelte. Da questo nuovo sentiment ne è vittima anche il settore agroalimentare che sta affrontando il dibattito europeo sull’etichettatura nutrizionale. Un sistema che porterà, nel 2022, a dotarci di una etichettatura fronte pacco per tutti i prodotti alimentari.

Sicurezza alimentare, trasparenza e tutela dei consumatori sono da sempre nel nostro Dna.

I nostri agricoltori non sono per definizione solo ‘sentinelle’ dei territori in cui lavorano tutto l’anno, ma anche fornitori di materie prime alla base di una catena del valore inestimabile che hanno contribuito concretamente a reggere la tensione del periodo che stiamo vivendo, oltre che alle problematiche di possibile scarsità di cibo nell’ultimo anno.

Al contempo negli ultimi anni azioni non coordinate, spinte da interessi economici di multinazionali alimentari e catene della grande distribuzione, hanno portato in Europa alla diffusione di sistemi di etichettatura nutrizionale fronte-pacco degli alimenti che rischiano di non garantire più la salute dei cittadini e mettere a repentaglio la sopravvivenza di migliaia di aziende agroalimentari.

Vari sistemi di etichettatura: differenze e pericoli

Tutto ha avuto inizio nel 2013, quando ancora non si parlava di Brexit. La Gran Bretagna fu il primo Paese Ue ad adottare un sistema semplificato di classificazione degli alimenti con i tre colori del semaforo – verde, giallo e rosso – prendendo come riferimento la quantità di calorie, zucchero, sale, grassi e grassi saturi in 100 grammi di prodotto.

Nel 2017 la Francia (dove si dibatte sull’importanza del mare e delle sue risorse alimentari e non solo) ha adottato il sistema Nutriscore, che esprime la qualità nutrizionale globale degli alimenti attraverso l’impiego di cinque colori, dal verde al rosso, a cui corrispondono cinque lettere dell’alfabeto, dalla A alla E. Il colore viene attribuito all’alimento nel suo complesso, considerando la presenza di ingredienti e nutrienti da limitare, come gli zuccheri semplici e il sale, ma anche quelli positivi per la salute, come fibre, frutta e verdure.

A seguire, il sistema Keyhole introdotto dai Paesi scandinavi che hanno scelto di indicare i prodotti migliori sul piano nutrizionale per ogni categoria di alimenti. Graficamente, si tratta di una serratura colorata di verde che indica il miglior prodotto nelle diverse categorie, facendo riferimento al contenuto di fibre, sale, zuccheri, grassi e grassi saturi.

Noi italiani, già preoccupati per questi sistemi di etichettatura che di fatto discriminano in modo arbitrario prodotti di altissima qualità, come pasta, formaggi, salumi, olio extravergine di oliva alla base della Dieta mediterranea, abbiamo messo a punto e adottato, su base volontaria, il cosiddetto sistema a batteria (Nutrinform Battery). Si tratta di un sistema rappresentato graficamente, appunto, da una batteria – dal pantone sbiadito – che costituisce però una valida alternativa a quelli ‘a semaforo’ e che ha l’obiettivo di fornire ai consumatori informazioni nutrizionali chiare, semplici, ma allo stesso tempo complete per una equilibrata composizione di una dieta giornaliera. Una dieta, ricordiamo, che deve essere basata in modo scientifico su un corretto fabbisogno quotidiano di calorie, grassi, zuccheri e sale per singola porzione di cibo.

Purtroppo nel nostro Paese, il Nutriscore si è avvelenato, politicizzato e radicalizzato e questo non aiuta la lenta riflessione necessaria in termini di nutrizione che porterà la Commissione a presentare nella primavera 2022 una proposta per armonizzare gli attuali sistemi di etichettatura. La vera battaglia, insomma, è appena iniziata e anche il Parlamento Ue andrà incontro ad un periodo di riflessione e di lavoro basato su un confronto tra gli Stati membri che sia finalizzato a trovare una soluzione giuridica equilibrata nell’interesse di tutti i cittadini e consumatori europei.

I sostenitori degli altri sistemi osservano che il Nutrinform Battery è meno immediato e di più ‘difficile lettura’. Ma se è vero che con la strategia Farm to Fork l’Unione europea punta a responsabilizzare i consumatori a fare scelte informate, sane e sostenibili per una dieta varia ed equilibrata, qualcuno dovrà spiegare ai cittadini come è possibile che il miele, il succo d’arancia, l’olio extravergine di oliva o il Parmigiano Reggiano siano contrassegnati con il colore rosso, e quindi pericolosi per la salute, mentre patatine fritte, pizze surgelate e bibite gassate siano etichettate come verdi e salutari.

Un alimento vale molto di più dei suoi componenti! Questo per dire che non ci sono cibi malsani ma soltanto diete malsane. Secondo le recenti statistiche, più della metà della popolazione dell’Unione europea è già in sovrappeso o obesa, mentre un bambino su tre ha questi problemi. Le autorità pubbliche devono agire per cambiare questa situazione e tendenza in crescita.

Nel sistema del Nutriscore, in particolare, riteniamo infatti che vi sia qualcosa di sbagliato, e addirittura pericoloso, perché non aiuta i consumatori a fare scelte più informate e corrette, e quindi a contrastare le malattie legate all’alimentazione, non ultima l’obesità.

Per un principio diverso dal Nutriscore: la battaglia dell’Eurodeputato Paolo De Castro

Paolo De Castro, uno dei massimi esperti del settore agroalimentare italiano, coordinatore del Gruppo S&D in commissione Agricoltura al Parlamento europeo e componente effettivo delle commissioni Bilancio e Commercio internazionale, da anni si batte a Bruxelles per non far passare il principio del Nutriscore. Ha ragione l’eurodeputato che durante un suo recente appello alla filiera agroalimentare e al mondo scientifico ha detto che è arrivato il momento di fare un gioco di squadra nazionale per rappresentare le ragioni, scientifiche, tecniche dove si dimostra che il Nutriscore è un sistema sbagliato. È nostro dovere informare i consumatori per scegliere in modo consapevole, non dare la pagella al cibo!

Coerentemente con questa posizione, nell’ultimo Consiglio europeo insieme ai suoi omologhi il ministro dell’Agricoltura italiano ha dunque ribadito il suo “no” al sistema franco-tedesco.

In Francia, i “dibattiti dei cittadini” e persino le convenzioni come quelle sul clima, che riuniscono 150 cittadini che emettono opinioni e raccomandazioni, guidano le decisioni politiche e sono già una pratica comune. Qualcuno può pensare a un argomento migliore del cibo per avere la nostra prima convenzione cittadina?

L’Italia deve recuperare terreno

Il dibattito nel nostro Paese è iniziato da pochissimo. C’è l’urgenza politica di cercare di recuperare il tempo perduto da un lato, e le critiche di parte dall’altro. Non confondiamo la velocità con la fretta, ma nemmeno la semplicità può essere fatta con semplificazione grottesca. Il nostro cibo deve essere oggetto di un grande dibattito sociale in cui tutte le carte sono messe in tavola, dove vengono ascoltati tutti i rami rilevanti della conoscenza scientifica, le parti sociali (associazioni degli agricoltori, cooperative, industriali) e ascoltati tra di loro ognuno con le proprie argomentazioni.

Sul fronte dell’etichetta “a batteria” l’Italia non è sola. Cipro, la Repubblica Ceca, la Grecia, l’Ungheria, la Lettonia la Romania e una parte della Spagna sono i suoi compagni di viaggio in questa battaglia, alleati numerosi ma non “di peso” ai tavoli bruxellesi. Roma, dal canto, suo può contare oltre che su gli agricoltori del Copa-Cogeca che potrebbero far sentire la propria voce, anche su una compattezza di intenti all’interno di tutte le forze politiche del nostro Governo facendo leva su una difesa trasversale del nostro Made in Italy.

Chissà se il dibattito europeo riuscirà a superare l’appeal dei colori per approdare a un sistema che non punti su una semplificazione emotiva, che non indichi ma che accompagni a scelte consapevoli i consumatori di tutta Europa, restituendo fiducia nel libero arbitrio! Un augurio che faccio non solo per il nostro sistema agroalimentare e alla Dieta mediterranea ma alla difesa e rinvigorimento di quel sano “istinto di conservazione” innato in ognuno di noi.

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