Il biopotere, il potere sulla vita, è uno stadio evolutivo del potere. Poggia pur sempre sulla costrizione, sul monopolio della violenza legittima ma è agitato da preoccupazioni altre rispetto alla sola sete di dominazione. Per sostenere la macchina statale sempre più elefantiaca servono risorse, per supportare i progetti di espansione militare serve la leva di massa. Serve una popolazione sana.
Il potere si premunisce di combattere le grandi malattie, prevedendo percorsi di controllo periodico, di migliorare la salubrità degli spazi pubblici e privati, di combattere il crimine.
A questo si devono le ristrutturazioni delle città, l’allargamento degli spazi, l’interramento dei fossi. A questo si deve la fioritura delle scienze, dalla statistica in poi, perché il biopotere è affamato di informazioni che gli permettono di analizzare la massa informe di corpi potenzialmente malati o devianti, sezionandola in sani e non sani, malati e non malati, ex malati, prevedendo luoghi appositi per ognuno di essi e cercando di predeterminare la vita di ognuno. Ecco le prigioni, ecco i lebbrosari e poi i lazzeretti, ecco i manicomi.
Mostra questa duplice veste: potere sulla vita, potere di incrementare la vita controllandone lo sviluppo dalla nascita in poi, potere di somministrare la morte. Allungare la vita, migliorarla, indirizzarla entro confini prestabiliti, controllarla e, se necessario, di contenerla o di reprimerla. Quest’ultimo, il tanatopotere, è il Male (che citiamo anche qui) come usa dire Francesco Borgognoni che abbiamo il piacere di ospitare oggi.
Le masse sono state sempre più marginalizzate dal cuore decisionale. Il potere, di contro, sempre più presente in ogni ambito della vita ma lontano e insondabile. A cosa si deve questa contrazione degli spazi di democrazia?
“I meccanismi rappresentativi e, in generale, le democrazie di stampo occidentale sono entrate in una profonda crisi. Dal 1989 ad oggi abbiamo assistito ad una centralizzazione delle decisioni, vendutaci come necessità di efficienza e di semplificazione. Non è un caso che, a livello globale, si siano imposte delle nuove potenze, come la Russia, del tutto aliene ai meccanismi rappresentativi che per noi erano essenziali prima della fine del mondo di ieri. Il capitalismo nella sua fase matura ha raggiunto una dimensione imperiale che non ha più bisogno della rappresentanza e che, quindi, ha spazzato via gli spazi di dialogo e di compensazione a cui eravamo abituati”.
In precedenza c’era stata una fase di espansione delle basi democratiche. Ci eravamo illusi che durasse?
“La Seconda Guerra Mondiale termina con vincitori e vinti ma anche nel campo dei vincitori ci sono sfumature differenti. Per assicurare la sopravvivenza dell’Europa, di fronte allo strapotere del comunismo reale, occorre implementare i meccanismi democratici che garantiscano rappresentatività e benessere durevole alle popolazioni europee così da rinfrancarle nella loro appartenenza al blocco occidentale.
A questo quadro di espansione della democrazia si aggiungeva la presenza di un attore politico come i partiti comunisti, che si contrapponevano al sistema capitalistico creando una dicotomia reale. Anche quella era democrazia. Il PCI, che spadroneggiava nelle fabbriche italiane – io ci sono stato in quelle fabbriche allora – poteva contare su un apparato unico in Europa.
Tutto questo funziona finché gli Stati Uniti non si stufano di doversi occupare del mondo. Ad un certo punto prevale la scuola di Princeton e allora inizia la dismissione dell’Impero. Anche la stessa URSS, che sorreggeva la narrazione dei due blocchi, non serve più: si decide di smantellarla, di sostenere il KGB che internamente la consuma e la ribalta. Oggi a capo della Russia ci sono i dirigenti di allora”.
È sempre affascinante studiare le élites: la loro composizione, il loro modus operandi. Anche in questo caso c’è una minoranza compatta che guida il cambiamento.
“Le élites hanno smesso di affannarsi per l’accumulo delle risorse. Già, in maniera diretta o indiretta, si sono accaparrate e spartite tutto. Il loro problema più impellente è contenere i consumi globali perché altrimenti le risorse termineranno presto e la crisi ambientale si ripercuoterebbe inevitabilmente anche sulle loro vite compromettendole. Non intendono certo vivere malamente o in modo precario, come costringono a vivere i tanti ultimi, noi, che popoliamo la terra. Loro si preoccupano di vivere in eterno, di perpetuarsi e per far questo devono ridurre l’inquinamento, devono arrestare la crescita demografica, ricorrendo senza particolari scrupoli all’eugenetica, rimodulare i consumi dandoci meno da mangiare e di minor qualità.
Ci disprezzano, il fatto che esistiamo, che respiriamo come loro, che consumiamo la terra, che loro vedono come patrimonio loro da conservare, li disturba. Se potessero ci lascerebbero confinati nei peggiori ghetti come racconta Malcom X nella sua autobiografia parlando degli afroamericani, talmente deprivati di prospettive di vita, talmente abbrutiti da usare le espressioni dei fumetti come “zzz” o “gnam” per dire “ho sonno” e “ho fame”.
Vogliono il completo controllo sulla nostra vita, vogliono strapparcela e ci stanno riuscendo. La fantascienza, erroneamente considerata un genere minore, aveva, decenni addietro, immaginato qualcosa di simile ipotizzando anche le ibridazioni tra uomo e macchine. In più, costoro coltivano il sogno di accedere allo spazio, alla ionosfera, abbandonandoci su questo pianeta malato. Lì si giocherà un nuovo scontro tra le élites nei prossimi anni”.
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