Gas naturale: il futuro è mobile – Massimo Nicolazzi su Rivista Energia 12/06/2023

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Di seguito, alcuni passaggi dell’approfondimento sulle prospettive del gas di Massimo Nicolazzi su Rivista Energia

Rivista Energia – Quale sarà la domanda di metano ha risposte diverse nel breve e nel medio-lungo periodo. Nel breve le determinanti sono abbastanza semplici. Il gas russo è quasi scomparso. Il GNL che si importa in Europa in realtà è in aumento (+38% lo scorso anno) ma ancora a volumi limitati (sui 25 miliardi di mc/anno); quello via tubo è crollato da 130 a una decina di miliardi di mc. Notiamo en passant che il crollo è dovuto/coadiuvato da esplosioni, stato di guerra in zone su cui insistono infrastrutture, divieti nazionali di transito e quant’altro ma non è di per sé conseguenza di sanzioni europee. Si era in Europa così terrorizzati dal non potere farne a meno che nessuna specifica modalità sanzionatoria è stata messa in pista in relazione all’import di gas russo. Se quest’inverno la sfanghiamo, domani vedremo (GNL incluso).

I volumi

Qualunque la ragione e le intenzioni, ci siamo comunque ritrovati praticamente senza. Magari un po’ lo si può sostituire con altra capacità di generazione; e un po’ lo si può risparmiare consumando meno. Ma, per la parte preponderante, il gas russo poteva e può nel breve essere sostituito solo da gas non russo. Ci dobbiamo perciò nel breve portare a casa “nuovo” gas per oltre il 20% dei nostri consumi finali. (…)

Poi c’è il lungo periodo, laddove la domanda di gas fossile si intreccia con il progresso della decarbonizzazione. Fit for 55 ci impegnerebbe in Europa a una riduzione dei consumi di metano dal 2019 al 2030 di circa un 20%. Una riduzione di medio periodo ironicamente corrispondente ai volumi di “nuovo” gas che stiamo approvvigionando in emergenza. Se la sicurezza è anzitutto ridondanza, al 2030 saremo in sicurezza (…). Poi c’è il “dopo” e la corsa a net zero al 2050. Qui non si possono che usare come riferimento le ambizioni europee. Che ci dicono che “i” gas subiranno una contenuta riduzione (da poco più di 300 TWh nel 2025 a poco più di 250 nel 2050); ma il fossile crollerà passando nel periodo da quasi 300TWh a meno di 50. I 200 che mancano saranno idrogeno, biogas e gas sintetico. Realistico? Lo vedremo. Per adesso la certezza è comunque che la domanda di gas fossile sarà nel medio-lungo periodo determinata dalla velocità di penetrazione di generazione non fossile e di produzione di gas alternativi (abated).

Le infrastrutture

Nell’immediato. Nuovo gas, nuove infrastrutture. Non si possono usare le infrastrutture dalla Russia per importare gas non russo. E, al netto del ritorno a piena capacità del tubo algerino e di qualche altro potenziamento (TAP?), il sostituto immediatamente disponibile non può che essere liquido e la nuova infrastruttura per poter essere disponibile subito non può che essere galleggiante, e dunque pronta e trasportabile. E così l’Europa ha fatto velocemente acquisto di una decina di rigassificatori (di cui 4 in Germania e due in Olanda e in Italia) in maggioranza già in esercizio nel 2023.

Così si affrontò l’emergenza. E nel medio periodo? Il gas, ad esempio, dell’Est Mediterraneo e altri luoghi di produzione saranno collegati magari via tubo in modo da rendere i volumi più sicuri (le navi attirate dal prezzo possono sempre navigare altrove; il tubo resta dov’è…)? Qui dobbiamo tornare a incrociare domanda e decarbonizzazione. In punto di produzione, la previsione è che la nuova capacità di liquefazione in costruzione nei Paesi esportatori già nel 2024 dovrebbe (anche escludendo del tutto il russo dai mercati dell’Occidente) riportare in equilibrio domanda e offerta.

Una nuova infrastruttura fissa ammortizzabile in vent’anni e diretta rigidamente in un’Europa decisa a decarbonizzare non avrebbe quindi molto senso. E dunque, in linea di principio, dimentichiamoci il tubo da Cipro. Le riserve dell’Est Mediterraneo finiranno per viaggiare a loro volta via mare, anche per evitare di consegnarsi a un unico compratore per di più facente continua professione di virtù decarbonizzatrice. (…)

Riportata in dimensione nazionale, questa prospettiva sembrerebbe precludere la fattibilità nella Penisola di nuovi grandi terminali di rigassificazione a terra. Li finiremmo di costruire, tra l’altro, pericolosamente vicini al 2030. Se riteniamo ci sia spazio per ulteriore capacità e magari per opportunità di re-export dobbiamo comunque sapere che sarà spazio di breve periodo (i Paesi potenzialmente interessati sono a loro volta investiti da impegni di decarbonizzazione); e dunque subito, e senza esagerare, o mai più.

Se vogliamo aggiungere capacità, l’unica possibilità realistica è poi un ulteriore mezzo galleggiante e pronto all’uso; che dovremmo probabilmente piazzare in alto se non altissimo Adriatico perché da un lato i tubi che in Italia portano il gas da Sud saranno saturi per ancora qualche anno; e dall’altro sarebbe facile il collegamento austriaco che di suo deve approvvigionarsi altrimenti perché non ha sbocchi a mare.

Noi ci impegniamo per il prossimo decennio a dimezzare i nostri consumi di gas; e la Cina ne annuncia il raddoppio. Questo dovrebbe dettare la regola per l’infrastruttura di medio periodo. Deve essere mobile, che in caso abbiamo possibilità di rivenderla a chi pratica politiche energetiche diverse da quella made in Brussels; e flessibile, nel senso di essere convertibile a ricevere commodities (ammoniaca, idrogeno,…) diverse dal metano. La flessibilità non sarà gratis (in termini di investimenti di adattamento/conversione); ma i tedeschi, parlando dei loro nuovi rigassificatori, la ritengono comunque una soluzione praticabile. (…)

Il prezzo

Qui si sbaglierebbe già prevedendo il prezzo di ieri; e dunque, per limitare i danni reputazionali, fermiamoci al futuro immediato e più che a estrarre prezzi dall’urna a cercare di capire quali sono i fattori e contro-fattori che più contribuiscono a determinarli.

Il presente per cominciare. Veniamo da un periodo di straordinaria volatilità dei prezzi. In due anni siamo partiti sotto i 20 Euro MWh per poi ritrovarci ad agosto 2022 che il prezzo era andato verso 350 e risvegliarci adesso che era sprofondato a 25 e al primo accendersi dei condizionatori risalire oltre i 30. Osservato speciale in tutto il periodo è stato il prezzo al TTF, l’hub il cui prezzo fa da marker ai prezzi finali europei e determina in buona parte l’indicizzazione dei contratti di lungo periodo. È un fatto che il TTF sia spesso risultato nel 2022 il prezzo di riferimento vistosamente più alto e più volatile sui mercati europei. Però l’anomalia TTF aveva qualche ragion d’essere, per quanto coincideva con la progressiva inversione dei flussi fisici (da Est Ovest a Ovest Est) del gas soprattutto destinato al Centro Europa e con la conseguente creazione di un collo di bottiglia sui punti di ingresso belgo/olandesi.

L’installazione di nuova capacità di rigassificazione e altri interventi hanno apparentemente normalizzato la situazione, allineando sostanzialmente l’andamento del TTF sia a Henry Hub che ai ai prezzi rilevati per i fini del Market Correction Mechanism (il meccanismo instaurato in sede europea per verificare le eventuali condizioni di applicazione del price cap).

Il TTF sembrerebbe insomma rinormalizzato; il che però depone a favore della diminuzione della volatilità degli spread intra-europei ma nulla ci dice dell’andamento futuro dei prezzi sui diversi mercati regionali. Per fermarci al prossimo inverno, un recente studio di Banca Intesa asserisce ad esempio che non dovremmo scendere di molto sotto i 25 euro MWh, che il caso base dovrebbe poi essere a 48, ma che non si può escludere che il prezzo si spinga a 125. Difficile che con quella forchetta si sbagli; però ancora possibile. Detto che i consumi saranno funzione di clima, il prezzo sarà molto questione di Cina; e poi anche di Henry Hub, e dunque di prezzo americano. Henry Hub oggi si mantiene decisamente basso; ma se l’economia dovesse riprendersi e uscire dalla stagnazione della produzione industriale sofferta negli ultimi mesi e/o la produzione shale dovesse calare, il prezzo potrebbe risalire, senza aiuti asiatici, anche solo per ragioni di mercato interno. Poi c’è la Cina, che da mesi tutti danno in ripartenza furiosa con conseguente impennata dei consumi e dei prezzi degli idrocarburi. Da mesi smentisce la previsione crescendo a bassa (per la Cina) velocità. Con tutte queste variabili in gioco qualunque previsione diventa giusto scommessa. Clima nella norma e Stati Uniti e Cina in rallentamento giustificano il caso base a 48; se però mettete insieme gelo e Henry Hub che sale per motivi di mercato interno e la Cina che torna alla crescita pre-Covid, e fa a sua volta da ricostituente per Henry Hub, allora può accadere che i prezzi superino la soglia dei 125 euro/Mwh.

Poi nel medio periodo è possibile che si vada a un new normal di prezzo e a una sua tendenza al lieve ma costante ribasso, o almeno così ci raffigurano il futuro le curve forward e le quotazioni ICE dei futures TTF. Aumenterà poi per certo la capacità mondiale di liquefazione, e anzi è già dubbio se una serie di progetti (…) vedrà mai la luce. La raffigurazione delle curve forward suggerisce che gli operatori pensino a un mercato in cui nella seconda metà del decennio ritorneremo all’abbondanza; e gli analisti prevalentemente segnalano che anche in concomitanza con un po’ di decarbonizzazione la ridondanza infrastrutturale entro fine decennio si potrebbe fare evidente.

Poi nel lungo periodo, almeno in Europa per quel che è la politica declinata a Bruxelles, non ci sarà più tema di prezzi e di volumi causa intervenuta scomparsa del gas fossile. Ma la storia che sarà dipenderà dal come sarà praticata la politica e dalle conseguenze del praticare. Per citare Donald Sassoon, the trouble is that history is the history of unintended consequences.

Fonte: Gas naturale: il futuro è mobile

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