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Firenze, la città-merce e l’ora del voto – Toscana Chianti Ambiente 01/06/2024

GERMOGLI PH: 15 NOVEMBRE 2020 FIRENZE ZONA ROSSA CENTRO STORICO PRIMO GIORNO DI CHIUSURA LOCKDOWN EMERGENZA CORONAVIRUS COVID 19
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Le giornate si allungano, la vita germoglia, la schiaccia già fuma sul bancone, il dolce richiamo dei trolley scandisce l’inizio della stagione propizia.

Toscana Chianti Ambiente – Sembra che il magnifico mangificio, più in là penzola in bella mostra l’arnese di David – l’eroe della Repubblica – e la schiacciata già fuma veloce, sia stato il terreno fertile per operazioni opache. Nessuno si era chiaramente accorto di niente, nessuno ha avuto da ridire sul mangificio stesso, sulla qualità dell’accoglienza, sulla sostenibilità di questo modello. Tuttavia, il problema non si riduce a una questione meramente economica o di affari o di affari sporchi, sebbene i “sùbiti guadagni” vadano sempre per la maggiore nella città che ha scoperto il capitalismo e l’alchimia per creare denaro.

Inutile negarlo: c’è sempre un modello politico dietro gli affari, con buona pace dei proclami di libero mercato. Economia e politica, in qualsiasi sistema capitalistico, sono l’una l’effetto dell’altra o, meglio ancora, sono interdipendenti. Non fa eccezione il modello della città vetrina o della monocultura turistica al quale è stata scientificamente destinata la città di Firenze. Non è solo, come accennato, una questione economica che si limita agli stipendi scientificamente bassi nel settore turistico, è un modello economico che produce effetti sociali, dunque è politico. Scegliere di dare libero sfogo alle trasformazioni urbanistiche, quindi alla riconversione in hotel o in affittacamere, è una scelta di economia-politica che ha conseguenze sul mercato immobiliare e non solo; allo stesso modo, introdurre una delibera “contro gli affitti brevi” o che vieta “l’apertura di nuovi ristoranti” non è un “freno al mangificio”, che ha già dilagato, ma un consolidamento dell’esistente, in attesa di sviluppi successivi.

La penetrazione di questo modello a Firenze è andata avanti per gradi, con mediazioni e pause ma con un disegno preciso, e poi un’accelerazione. La prima grande trasformazione parte dal cuore del centro storico, dal quadrilatero romano, comincia con i lavori per Firenze Capitale che gettano le basi per lo sviluppo successivo: grandi cantieri che trasformano le vecchie vie strette e insalubri – e non controllabili – del centro in vie degne di una capitale di rango europeo, portando alla contemporanea espulsione dei ceti meno abbienti per il conseguente rialzo dei prezzi dovuto alle frequentazioni più altolocate. C’è da dire che questo ecosistema franò rovinosamente dopo Porta Pia e il Comune andò in fallimento; l’espulsione degli abitanti che vivono quotidianamente la città fa perdere, comunque, una base sociale che è anche economica. Godi, Fiorenza!

Segue nei decenni successivi il confinamento dei ceti popolari prima nelle zone marginali del centro, come a racchiuderli in delle pittoresche riserve che avevano e talvolta hanno ancora – si veda Sant’Ambrogio – lo scopo di mantenere in vita un simulacro di vecchia Firenze senza mettere in discussione il modello generale, poi ancor più lontano, nelle zone più periferiche della città, in quartieri-ghetto tirati su con poco (dagli anni ’50), il più possibile lontani dal centro stesso ma anche lontani tra di loro così da anestetizzare ogni spirito di lotta e di cooperazione. La cronaca quotidiana, per venire agli anni recenti, registra notizie di vie sature di affittacamere o di sfratti perfino a persone anziane – Quid non mortalia pectora cogis, auri sacra fames – per far posto a un più redditizio affittacamere, anche per l’assenza di una qualsiasi forza di lotta in grado di tenergli testa.

L’ultimo passaggio è lo sfondamento definitivo oltre la cintura dei viali, certificato dalle due nuove piazzeforti, dai due nuovi bastioni, gli studentati “di lusso”, come nuove torri lungo il tracciato delle vecchie mura. Sono cittadelle autonome grazie alle quali la massa turistica non entra in contatto con il tessuto urbano circostante, mantiene una distanza epidermica dall’autoctono, vive in una bolla, consuma e basta, si sposta con le nuove linee tramviarie che sono primariamente pensate per la monocultura turistica connettendo l’aeroporto con il centro. Sulla qualità della progettazione di questi studentati turriti, soprattutto nel caso di Belfiore, meglio sorvolare.

Mettere in luce questo modello è l’unico modo per capire dove stia andando la città, cosa abbiano in mente le sue classi dirigenti; del resto, guardare alla città è l’unico modo per prevedere lo sviluppo delle minuscole esistenze di ognuno. In sostanza, il modello produce lavoro povero, non stabile o “stagionale”; i prezzi sono forzati al rialzo per la disponibilità a spendere della massa turistica; gli abitanti, stritolati dalla spirale di prezzi, fuggono altrove soprattutto nella Provincia; la fame di affittacamere cresce sempre di più e porta a invadere anche le zone fuori dei viali, la “prima periferia” di Rifredi, Campo di Marte, Gavinana, Soffiano dove ci sono ancora immobili disponibili; la rendita si consolida e si perpetuano i patrimoni dei veri signori di Firenze.

Il modello, per come sta perfettamente funzionando almeno nel caso fiorentino, sembra riuscire in un duplice scopo politico: dare una valvola di sfogo alle pulsioni delle masse esogene, muovendole entro il circuito della Disneyland del Rinascimento, e distruggere il modello della vita stanziale e dell’abitare, creando una massa povera, nomade ma controllata. Chi vuole ancora una città così? Chi si oppone?

Fonte: Firenze, la città-merce e l’ora del voto

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