Il 19 gennaio ricorre il ventunesimo anniversario dalla scomparsa di Bettino Craxi e il Tazebao avvia una serie di approfondimenti dedicati allo statista socialista.
Andrea Marcigliano (Nodo di Gordio): “Seppe conciliare la modernità con la tradizione sociale e culturale italiana”.
Per inaugurare il ciclo su Bettino Craxi il Tazebao ha contattato Andrea Marcigliano, saggista e Senior Fellow del Nodo di Gordio, think tank di geopolitica.
“Piero Gobetti definì il Fascismo “autobiografia della Nazione”. Tuttavia se con ciò voleva significare lo stretto, anzi viscerale legame fra il movimento di Mussolini e l’anima del popolo italiano, sarebbe probabilmente più corretto, e completo, estendere tale definizione a ciò che del Fascismo fu comunque la prima matrice. Il Socialismo. O meglio il Socialismo italiano. Intendendo, con questo, non la storia del Partito Socialista, ma quella ben più complessa di una tendenza culturale, di un modo di concepire l’idea di Stato ed il rapporto tra individuo e popolo, individuo e società. Tendenza presente e determinante sin dalle origini dell’unità nazionale, se è vero che, al di là delle sigle, una visione “socialista” della Nazione è già chiaramente presente nel pensiero di Mazzini e, forse ancor più, di intellettuali che alla sua scuola si erano formati, come Carlo Pisacane. Una linea, se vogliamo, che è stata rappresentata simbolicamente dalla figura di Giuseppe Garibaldi. Ed incarnata, per lo meno in parte, a livello politico da Francesco Crispi.
Discorso lungo e complesso, lo so. E che presta il fianco a numerose critiche e contestazioni, per altro ben motivate. Tuttavia resto convinto – convincimento tutto personale – che la Storia dell’Italia come Nazione che cerca, faticosamente da un secolo e mezzo di farsi Stato, sia inscindibilmente legata a quella del Socialismo. O meglio, di una particolare declinazione, tutta italiana, dell’idea socialista. Che certo incontrò contaminazioni con il nazionalismo anche ad altre latitudini. Penso alla Francia, per tacere della Germania. Ma che qui da noi ha avuto un ruolo determinante come in nessun altro luogo nel definire la concezione dello Stato e la stessa nostra identità nazionale moderna.
Le idee socialiste hanno giocato un ruolo determinante nel nostro Risorgimento
Definizione non facile, perché – come felicemente intuito da Marcello Veneziani ne “La rivoluzione conservatrice in Italia” – in perenne contrasto con un’altra anima del nostro Risorgimento, quella che possiamo definire “liberale”. Anima d’importazione, però, troppo suggestionata da modelli altri e diversi, ben difficilmente declinabili nella nostra realtà. E, alla fin fine, in contraddizione con la specificità dell’anima italiana, come si può evincere dal continuo riproporsi della necessità di fare dell’Italia un paese “normale”. Ovvero di costringerla, e quindi costringerci, in modelli sociali estranei alla nostra cultura e alle nostre tradizioni.
Però lo stesso “socialismo” è sempre stato travagliato da una contraddizione interna. Quella tra il suo poter essere interprete e veicolo dell’autentica identità del popolo italiano e quella che si può definire “Internazionalistica”. E che, in realtà è una visione del socialismo astratta dalla realtà, puramente intellettuale. Tant’è vero che, quando ha prevalso, ha portato partiti e movimenti in origine socialisti a divenire accesi alfieri del più sfrenato liberismo economico e di un radicalismo culturale che tende a recidere i legami con le radici popolari. Fenomeno di cui possiamo oggi, purtroppo, vedere il portato estremo, in una (pseudo) sinistra radical chic completamente asservita agli interessi del turbo-capitalismo e della finanza internazionale. O meglio, anti-nazionale.
Craxi ha incarnato l’anima di un Socialismo legato alla specificità nazionale e volto a cercare di costruire un modello italiano dello Stato moderno. Ne è stato, in buona sostanza, l’ultimo autentico rappresentante. Con la sua personalità, forse ancor prima che con la sua politica. Politica troppe volte condizionata e limitata sia dal difficile contesto internazionale, sia da quello interno alla sua coalizione. E, come accennavo, dal suo stesso Partito.
Un socialismo modellato sul caso italiano
Tuttavia, fu uomo di notevoli intuizioni. Concepiva in modo ben diverso da come fu poi realizzato il, necessario, processo di integrazione europea. E finché gli fu possibile fece il controcanto alla linea imposta dall’asse franco-tedesco (ne ha trattato anche Gianni Bonini nella sua intervista). E, parimenti, cercò di dare all’Italia una strategia di politica estera che tenesse conto della sua specifica storia e geopolitica. Senza irrealistiche fughe dal contesto NATO, ma cercando di rivendicare spazi di autonomia, soprattutto nel dialogo con i Paesi Arabi (ma anche con i paesi del blocco sovietico a cominciare dalla Romania).
Pagò, probabilmente, caro queste scelte. Con le accuse montate ad arte, il vituperio, l’esilio. E, dopo la morte, con una damnatio memoriae che ancora continua.
Io non ho mai votato per il PSI, ma ho sempre riconosciuto in Craxi uno statista, anzi il massimo statista italiano del Dopoguerra. E non solo perché fu colui che portò ai suoi massimi successi l’economia italiana, e allargò l’area di benessere a fasce sempre più ampie della nostra società. Ma anche, anzi soprattutto perché è stato l’ultimo a tentare di conciliare con la complessa macchina della modernità che tutto tende a tritare e omologare, la tradizione sociale e culturale italiana.
Come dicevo, non ho mai votato per Craxi in quegli anni. Oggi mi trovo a rimpiangerlo. La sua sconfitta, ha comportato il declino dell’Italia. E, soprattutto, quella disgregazione del tessuto sociale italiano di cui, oggi, stiamo sperimentando le tragiche conseguenze”.