Dopo Tarchiani e Tongiani, il terzo approfondimento tazebante della rubrica Civitas Chianti. Oggi con Riccardo Casamonti.
«Mutat enim mundi naturam totius aetas,
Ex alioque alius status excipere omnia debet,
Nec manet ulla sui similis res: omnia migrant,
Omnia commutat natura et vertere cogit»
«Il tempo, infatti, muta totalmente la natura del mondo;
ed è legge che una nuova condizione s’avvicendi sempre alla precedente e impronti di sé l’universo: nulla rimane uguale a sé stesso
tutto si trasfroma, la natura costringe ogni cosa a modificarsi e a mutrare».
Lucrezio, De Rerum Natura, Liber V, 828-831
Tignano, 27 settembre 2022 – La raccolta e il racconto collettivo nei campi. Un’alternativa di vivere la terra. Terminata da poco una vendemmia promettente nel suo ettaro e mezzo toscanissimo a Tignano, nel cuore del Chianti, Riccardo Casamonti ha concesso un’intervista a Il Tazebao per la rubrica Civitas Chianti.
Cosa ti ha spinto a percorrere un percorso autonomo e certamente in controtendenza?
“Io ho fatto una scelta diversa rispetto a quella di molti altri negli anni ’90. Un mondo che avevo vissuto stava scomparendo definitivamente e io volevo contribuire a tramandarlo”.
Come?
“Per certi versi è stata una scelta necessaria, come, in molti casi, necessaria è stata la scelta di chi ha seguito la tendenza di allora. Io ho un ettaro e mezzo: una produzione di altissima qualità e di nicchia è un percorso quasi obbligato”.
E, quindi, la produzione di poche bottiglie l’anno.
“Come dicevo, quando ho iniziato, la maggior parte ha scelto di introdurre, insieme al Sangiovese, vitigni non autoctoni, come quelli francesi, seguendo una tendenza statunitense – siamo, nel bene e nel male, provincia dell’Impero”.
«Io ho scelto di conservare vitigni tipici della Toscana come il “foglia tonda” o il “palle di gatto” che altrimenti potrebbero scomparire. Abbiamo una vigna piccola e con oltre un secolo alle spalle!».
“E poi, qui, a Tignano, c’è un ecosistema unico: il suolo, la luce, il clima. Non lo cambierei con nessun altro. Insomma, mi sento un Martin Lutero dell’enologia!”.
Il primo approfondimento della rubrica: Civitas Chianti. Codesti son altri luoghi! L’ouverture di Raffaele Tarchiani
Ma – ne sono convinto – non ci sono solo ragioni di opportunità dietro la tua scelta.
“È vero. È stata una scelta influenzata dal mio amore per una civiltà toscana che si stava perdendo e dalla volontà di riscoprire e tramandare lo spirito della veglia, anima della nostra civiltà mezzadrile, contadina, che ho sempre vissuto e che sento come parte di me. Da quel momento, insieme al vino, ho iniziato a recuperare anche quelle forme di narrazione popolare che sono nel nostro sangue e che si accompagnavano all’attività dei campi”.
Il nostro genius loci?
“Quello di noi toscani è un modo di narrare unico e riconoscibile, ovunque”.
«Schietto, tagliente, preciso, ma anche ricco, colorato, denso, umano, coinvolgente».
“Mi ricordo un passaggio di Giorgio Bocca nel quale parla dei partigiani toscani che, a differenza, degli altri usano nomi da favola collodiana come Truciolo, Sughero, Balena. Nomi non certo da battaglia: totalmente canzonatori!”.
E questa “alterità toscana” genera lo spirito della veglia che tu vuoi salvare?
“Mi permetto di citare Fellini, secondo il quale Pinocchio di Collodi è un capolavoro della letteratura italiana e, in effetti, anche Pinocchio è un grande racconto di veglia”.
«Il toscano è affabulatore, è costruttore di immagini, narratore per sangue, storia, per contesto sociale, abitudine e necessità. È cinematografico prima del cinema. E io, quando sentivo i racconti di veglia, vedevo le immagini come fossi al cinema. Le toccavo. E cosa c’è di più bello di raccontarsi belle storie insieme, la sera, nei campi».
È stata venduta un’immagine distorta, edulcorata del lavorare la terra o del tornare alla natura, che sembra tornato essere di moda. È una narrazione urticante. Quanto è stata dura per te?
“Molto dura. La terra richiede investimento, tempo, ti scontenta e, al tempo stesso, ti educa, ti migliora. Ma il lavorare la terra restituisce una dimensione di vita prima che di lavoro diversa e mi ha permesso di esprimere la creatività. Ugualmente, per avere risultati ci sono volute almeno 15 sperimentazioni, dagli anni ’90 fino a circa il 2012. Questa è la nostra terra!”.
E a proposito di investire: Civitas Chianti, atto II. Un polo di attrattività? La visione di Claudio Tongiani (Confindustria Fiorentina Sud – Chianti)
Sul vino c’è una narrazione ancora troppo piatta, sintetica, standardizzata, quando, invece. Che ne pensi?
“Di spot sul vino ne abbiamo visti troppi: tutti uguali, da Nord a Sud, seppur con vini radicalmente diversi l’uno dall’altro. Solito spot: calice di vino, tramonto, bella donna”.
E allora come dovremmo comunicare il vino?
“Grazie a comuni amici chiantigiani, so che sei amante del latino. La prendo larga. Tradizione viene da tradere, donde il nostro tradurre ma anche trade in inglese”.
«La nostra è una terra che ha una tradizione profonda. E non parlo di tradizione come un pezzo di antiquariato di valore, da rispolverare quando comodo, mi riconnetto al significato vero, a quel tradere, al tramandare, in senso attivo e umanizzante, comunitario e vissuto».
“Ecco perché il video che ho realizzato per promuovere il territorio è fatto con attori del luogo, senza filtri o patine, tutto chiantigiano, vero come il nostro vino, tradizionalissimo. Autentico!”.