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Cesare e Ottaviano, le due vie verso la stessa destinazione: l’Impero (parte 3)

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Termina oggi il ciclo di approfondimento dedicato a Cesare e Ottaviano.

(Prosegue da qui) Pur essendo consanguinei, i due statisti della gens Iulia non potevano essere più diversi: sfacciatamente bello e audace, Cesare era un guerriero invincibile e un politico raffinato e rapido nelle decisioni, circondato sempre da donne bellissime e adoranti, non conosceva timori di sorta. Il suo primo consolato fu segnato da azioni decise, talora violente: realizzò leggi fondamentali ma fece capire che non ammetteva repliche né tollerava ostacoli sul suo cammino. Per questo suo atteggiamento autoritario perse parte del favore popolare, un favore che riconquistò in pieno dopo la campagna nelle Gallie. Ma a questa arroganza si associavauna certa imprudenza, ritenendo di essere intoccabile quando invece la sua politica del rigore aveva creato molto scontento tra la classe senatoriale.

Per lui varrebbe sicuramente il commento che Aulo Gellio fece su Scipione Africano:

“Qua sui conscientiasubnixus”, ovvero “aveva piena coscienza della sua grandezza!”

(Notti Attiche, libro IV, XVIII).

Ottaviano di contro aveva un fisico gracile, non era fatto per combattere e la sua vita privata non si faceva notare, se non per la sua riservatezza, talora per la sua timidezza. Ma certo subì il fascino del suo prozio, malgrè lui. E certi suoi atti rivelano il compulsivo bisogno di imitare il grande prozio.

Come Cesare però era dotato di un istinto politico raro, intuitivo, pragmatico, unito a una fortissima determinazione, e compensò le sue carenze caratteriali avvalendosi di un gruppo di fedeli collaboratori, guarda caso tutti provenienti dal cavalierato provinciale, in primis Agrippa e Mecenate.

Chi sia stato più grande è difficile da dire, figli entrambi dei loro tempi: sicuramente Cesare aveva spianato la strada verso il principato, ma lo aveva fatto con il suo modo dirompente, sia in Senato che sui campi di battaglia, aveva esteso enormemente i confini dello stato romano e aveva imposto leggi dotate di equità inarrivabile. Cesare si muoveva in perfetta solitudine, legiferava, combatteva, componeva letteratura politica e azioni di governo tutto da solo, convinto di essere l’unico in grado di guidare la morente repubblica verso un ideale imperiale rivoluzionario, creando al contempo un imbarazzante inferiority complex nei suoi avversari, che alla fine rappresentò uno dei motivi che condussero al suo assassinio. Ma sbagliò grandemente quando ritenne di essere una sorta di semidio intoccabile, sottostimando il pericolo che si addensava sulla sua testa, i cui signa, o presagi furono molti e inequivocabili. La qual cosa pose fine al suo regno (parola non casuale, visto che aveva istaurato un potere quasi monarchico) pochi anni dopo che lo aveva conquistato.

Uomo certamente più completo di Ottaviano nell’ottica ellenica del kalòskaiagatòs, la perfezione umana secondo i canoni greci, la Kalokagathia, Cesare era bello e bravo, capace e fascinoso, univa la celeritas delle sue azioni all’equità delle sue leggi. Ma egli sapeva solo comandare, imporsi senza tollerare che alcuno osasse opporsi a lui. Lo faceva sul campo (il suo “veni, vidi, vici” è paradigmatico) e in politica, quando decideva da solo di concludere una seduta senatoriale.

Ottaviano sapeva muoversi con prudenza, sottotono, tanto che perfino l’esperto Cicerone lo sottovalutò grandemente all’inizio, dicendo in giro che l’adolescente doveva essere lodato e tollerato, o piuttosto tolto di mezzo (“laudandus et tollendus”, Cicerone, Lettere ai familiari, XI, 20).

Però toccò al grande avvocato la sorte di essere tolto di mezzo, quando Ottaviano permise ad Antonio di ucciderlo.

Senza ombra di dubbio Cesare fu un generale invincibile e nessuno combatté tante battaglie come lui, patendo solo parziali sconfitte a Gergovia e a Durazzo.

Per Ottaviano, scarsamente versato per la guerra, fu difficile sopravvivere con le sue scarse doti militari, fuggì di fronte a Bruto nel primo scontro di Filippi, subì una pesante disfatta navale a Messana nella guerra contro Sesto Pompeo in Sicilia, tanto da suscitare ilarità nei ranghi militari (Svetonio, Vita di Augusto, XVI). Si affidò totalmente ad Agrippa nella definitiva battaglia di Azio.

La grande abilità di Ottaviano emerge invece nei suoi atti politici e fu quella di convincere i suoi concittadini che egli sarebbe stato la salvezza della civiltà romana, ponendo termine alle infinite guerre civili che avevano sfibrato le genti italiche; ed aveva ragione, ottenendo un risultato mirabile attraverso la continuità e la stabilità del suo regno.

La vita politica di Ottaviano, determinata ma anche attenta a non violentare le tradizioni romane, fu lunghissima, e questo fu dovuto alla sua prudenza (sempre circondato da una guardia personale di agguerriti Germani), alla sua rete di confidenti (Balbo e lo spionaggio politico) al fedele Mecenate (affari interni) che gli garantiva appoggi e consensi, e ad Agrippa (generale dotatissimo e prestante) che vinceva le sue battaglie; infine determinante fu il favore che concesse alla classe equestre italica a discapito della nobiltà romana. E inevitabilmente si torna alla sue origini!

Ottaviano dimostrò di conoscere bene i suoi difetti, mentre Cesare semplicemente pensava di non averne. Il giovane Caio Ottavio compensò tali limiti attraverso la collaborazione con uomini scelti e capaci. Così, lentamente, tra una battaglia vinta e una legge al Senato, avanzò nella società romana fino a diventarne, come ebbe a dire di se stesso, un buon padre per tutti i Romani, nel suo Res gestae. Ma sotto questa facciata buonista si rivelava spietato e crudele, uccidendo con freddezza i nemici sul campo e nella Curia.

Pochi, significativi esempi: nel II triumvirato permise ad Antonio di uccidere Cicerone, che era stato per molti mesi una figura referenziale; Salvidieno, che faceva parte del ristretto gruppo di fedeli collaboratori, e governava la Transalpina, prese accordi segreti per passare con Antonio e su di lui calò inesorabile la punizione mortale: accusato di maiestas (tradimento) fu ucciso. Dopo la vittoria contro Sesto Pompeo molteplici furono le uccisioni di schiavi ma anche di cavalieri e senatori pompeiani (Cassio Dione, Storie Romane, XLIX).

Uccise freddamente Cesarione, suo parente, e probabilmente anche Antillo, figlio di Antonio, per liberarsi di figure rappresentative e fastidiose: ci doveva essere un solo Cesare, ed era lui!

Per tutti questi aspetti lo si può considerare un politico migliore di Cesare, acuto, cinico, privo di scrupoli ma anche provvidenziale nella sua costante e continua opera di trasformazione della spossata società repubblicana, travolta da guerre civili continue, in un regno (questo sì fu davvero un regno, tanto che lo si considera l’iniziatore dell’Impero) pacificato e illuminato.

Un programma politico simbolicamente rappresentata da quello splendido monumento che è l’Ara Pacis Augustae (13-9 a.C). Vero inno alla monarchia! Fu affiancato in questa sua opera da una donna abile e forte, Livia Drusilla, che egli aveva scelto con una determinazione unica: aveva convocato nel suo palazzo il marito Nerone e gli aveva comunicato che egli doveva divorziare da lei. La reazione violenta del nobile romano fu spenta semplicemente ricordandogli tutti i suoi debiti e la possibilità di appianarli con un colpo di spugna. E Livia Drusilla, lei sì una nobile genuina della gens Drusa, fu veramente la prima first lady della Storia.

Tutto sommato Ottaviano, quando prese coscienza della sua forza, si comportò cesarianamente, cioè accentrando tutto il potere nelle sue mani; non possiamo esimerci dal pensare che probabilmente aveva subìto, come ho già detto altrove, malgrè lui, il fascino politico del suo consanguineo e percorse la stessa via verso il potere monarchico, cioè verso l’Impero.

Il divo Cesare, grazie alla sua sottile propaganda, fu famoso per la Clementia Caesaris: dopo la marcia su Roma si astenne da fare proscrizioni di massa, cercò la conciliazione con gli avversari per mostrarsi diverso dal metodo sillano; dopo Farsalo correva per il campo urlando: “salvate la vita ai cittadini romani” e significativamente perdonò Cassio e Bruto, concedendo loro incarichi e cariche politiche importanti. Alla luce dei fatti, sbaglio grandemente!

Questi sono i pochi elementi che si possono evidenziare nei limiti di un articolo breve e stringato, e che forse ci possono dare il senso delle azioni e delle differenze tra i due grandi protagonisti di quel periodo storico che il grande Mommsen, nella sua Storia di Roma, definirà con grande efficacia “la rivoluzione romana”. È un tema caro anche a Ronald Syme, che lo approfondirà, scrivendo uno dei più interessanti saggi di sempre: “The Roman revolution”.

Tale rivoluzione, il passaggio cioè dalla Repubblica all’Impero, fu dunque opera dei due dotatissimi rappresentanti della Gens Iulia, così diversi eppure animati, oltre che dalla ricerca del potere, anche da una visione meravigliosa del futuro di Roma, caput mundi.


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