Centinaia di migliaia di serbi in piazza, stavolta con Vučić: «La rivoluzione colorata è finita». Sostegno dagli alleati ungheresi. Il Tazebao del giorno

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Il TazebaoCoperture mediatiche a singhiozzo. È quello che si registra in Occidente laddove si parla delle mobilitazioni di massa soprattutto nei Paesi esterni o non completamente integrati nel Washington Consensus, ora tuttavia in fase di destrutturazione. Accade così che, dopo mesi di esaltazione delle rivolte e delle proteste serbe contro il Presidente Aleksandar Vučić, motivate dai 15 morti per il crollo della tettoia della stazione di Novi Sad (costruita, tra l’altro, nell’ambito dei progetti sino-serbi nel quadro della Via della Seta) e spintesi fino a chiedere le dimissioni del governo e addirittura la secessione della Vojvodina, il mainstream occidentale tace sulle ben più imponenti manifestazioni di questi giorni a sostegno del governo di Belgrado. Centinaia di migliaia di persone si sono quindi radunate nella capitale per esprimere il proprio sostegno a quest’ultimo e respingere i tentativi di regime change in un Paese che, equidistante tra Russia e Unione Europea, sta procedendo verso la creazione di un’alleanza militare con la vicina Ungheria per controbilanciare quella tra Croazia, Albania e Kosovo, accusate dall’intelligence serba di essere dietro le suddette proteste antigovernative. In piazza c’erano anche 9.000 cittadini del Kosovo e Metochia, i quali hanno recentemente dato vita al movimento apartitico Per il popolo e lo Stato (Покрет за народ и државу), con striscioni che ricordavano come «il Kosovo è il cuore della Serbia». E proprio il presidente ungherese Viktor Orbán si è rivolto direttamente ai manifestanti pro-Vučić in videocollegamento, dichiarando che «i patrioti serbi possono contare sulle loro controparti ungheresi». Il presidente serbo ha affermato a sua volta che «la rivoluzione colorata è finita. Possono camminare quanto vogliono, ma non ne verrà fuori nulla». Con lo stop dei finanziamenti all’USAID, e quindi alle ONG europee, che ora temono tutte per le proprie sorti, viene difficile dubitare di queste parole. (JC)

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