Beirut brucia ma la politica si nasconde

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Un anno senza giustizia, senza speranza, né governo.

Il Libano è ormai da tempo afflitto da una crisi sistemica, paralizzato da una politica spicciola e clientelare, cristallizzato dal settarismo cieco e intransigente e disturbato, a tutte le porte, dai vicini che hanno la guerra in casa e la esportano.

Come ha sottolineato più volte il Professore Hamze, il paese del Cedro è come una spugna: assorbe tutti gli eventi che si verificano alle sue porte, e non potrebbe essere diversamente vista la sua magica posizione geografica, che ne fa un gioiello del Mediterraneo, e la composita popolazione. E i gioielli, si sa, se sono troppo preziosi, bisogna prendersene cura e conservarli con grande zelo, altrimenti c’è il rischio di perderli o ancor peggio che vengano rubati.

In occasione dell’anniversario dell’esplosione del porto di Beirut, tantissimi libanesi si sono impossessati delle strade della capitale accompagnati dal ritmo ribelle delle canzoni patriottiche della connazionale Majida Al Roumi per protestare contro l’inadeguatezza e l’assente trasparenza d’azione – sempre se ce n’è una – della classe politica.

Firenze-Beirut: diario di viaggio – Il Tazebao

Una classe politica attenta a perseguire i propri interessi e mantenersi salda al timone del paese. Da bravi e navigati fenici quali sono, riescono, non senza difficoltà, ancora a starsene saldi in sella e guidare un paese stremato, messo in ginocchio dalla crisi finanziaria e che sopravvive solo grazie ai proventi dei suoi cittadini che vivono all’estero e rientrano per l’estate o mandano soldi alla famiglia iniettando un po’ di liquidità nell’economia libanese. Un’economia fragile che non può provvedere ai bisogni del paese.

Fra i poster che che si scagliavano alti nel cielo, molti recavano messaggi di protesta per la presenza e influenza dell’Iran in Libano tramite la sua proxy Hezbollah. Le persone hanno intonato un semplice slogan “via Hezbollah” marciando verso il porto.

Una signora reggeva in mano un cartello polemico nei confronti del presidente francese Emmanuele Macron. La Francia, il paese europeo più vicino al Libano per storia e cultura, è sempre stata attenta agli eventi che hanno interessato il Paese del Cedro, e, nonostante le due visite di Macron in seguito all’esplosione del porto, visite che non sono servite a molto se non consolidare l’attuale classe politica e darle maggiore legittimità lo scorso agosto, questa volta ha fatto ben poco. Parla spesso della “conferenza internazionale” per attirare fondi da destinare al Libano e per il 4 Agosto 2021, in un incontro via zoom con il presidente Aoun, Macron ha annunciato un aiuto economico da destinare al Libano pari a 100 milioni di euro di sola provenienza francese e di altri 40 milioni di euro tedeschi. Soldi che andranno ad aggiungersi a quelli del Fondo Monetario Internazionale e a quelli americani.

Due domande, qui, sorgono spontanee: potrà la Francia riconquistare la fiducia del popolo libanese? Nelle mani di chi finiranno questi soldi? All’apparizione degli aerei dell’aviazione che hanno cosparso il cielo dei colori della bandiera nazionale, abbondanti lamenti e fischi si sono alzati dalla folla seguiti immediatamente dai cadenzati suoni di “saura”, rivoluzione.

Tra le persone che hanno partecipato al corteo delle proteste, c’erano anche tanti bambini che sotto il rovente sole di agosto, reclamavano il loro futuro, un futuro che per quanto incerto e poco roseo, è un loro diritto inalienabile.

La massiccia presenza di militari (l’esercito libanese è tra le istituzioni statali che soffre di più a causa della mal gestita crisi) e di filo spinato non ha scoraggiato la popolazione a prendere parte alle proteste, anzi sembra aver infuso loro maggior coraggio e grinta. Perché nonostante la tragica situazione, sui volti dei libanesi non si legge la disperazione o la sconfitta: ogni volta che cadono, si rialzano più forti di prima, non si fanno intimorire facilmente e sono disposti a combattere anche a mani vuote per la loro terra.


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