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Balcani. Kosovo, Albania e Serbia: tra tensioni mai sopite e tentativi di cooperazione

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La situazione in Ucraina evolve — entrambe le due parti danno segnali di volere un ridimensionamento del conflitto, l’opinione pubblica americana sembra non avere abboccato alla retorica guerrafondaia. Questo si riflette anche nello scenario balcanico, che già di per sé non è un quadro semplice. Gli alleati occidentali fanno leva su Kosovo e Albania per demarcare il territorio e rinfocolare le tensioni, i russi dalla loro fanno leva su quello che possono pretendere dai serbi.

Il Kosovo dovrebbe candidarsi a membro UE entro il 2023, con un probabile accesso rapido, ed è possibile che l’Albania, candidato UE ormai permanente insieme alla Turchia, lo segua. Nel frattempo, ha concesso il suo porto di Durazzo come sbocco sul mare al Kosovo. Di fatto, grazie all’unione doganale fra Macedonia, Albania e Serbia che vige al momento, un ingresso del Kosovo in UE equivarrebbe a un ingresso dei Balcani in Schengen.

Nei Balcani convivono due spinte diverse. Una è una tendenza a una maggiore integrazione territoriale ed economica fra Paesi, l’altra è la spinta nazionalista, facile da foraggiare da parte di forze esterne. La spinta dall’alto per una maggiore integrazione è additata come “stabilocrazia” da alcuni accademici, ma un’unione doganale potrebbe essere la via per tentare di lasciare il tempo ad alcune ferite di rimarginarsi. Le frontiere balcaniche sono già per loro natura porose e mal controllate, non sembra che faccia una grande differenza, nel pratico, l’abolizione del controllo documenti fra Serbia e Kosovo e l’unione doganale dell’anno scorso.

Unione doganale fondamentale per i turchi: già da un decennio investono in Albania, da quando l’Italia si è ritirata dal paese. Grandi moschee, ospedali e aeroporti (teoricamente ad uso civile, ma mai utilizzati), tutti costruiti dai turchi. E forse per questo, l’UE sta cambiando atteggiamento nei confronti della Serbia, coinvolgendola in vari grandi progetti infrastrutturali. Fra Serbia e Turchia sono stati siglati sette patti: tecnologia, miliardi di investimenti e abolizione del passaporto per il viaggio fra i due Stati. La Turchia, ancora una volta, si dimostra la più rapida e agile a ritagliarsi spazi di diplomazia propri. Nei Balcani, un corridoio NATO che abbia sbocco sul mare, con tanto di aeroporti e ospedali di servizio, dovrebbe essere un elemento di stabilità. Invece la NATO è divisa per interessi.

Quello che è chiaro, è che le tensioni dell’estate fra Serbia e Kosovo sulle targhe e i permessi di soggiorno è stata una delle tante provocazioni della “instabilocrazia” occidentale, che si innestano bene in un contesto già polarizzato. La generazione di Kurti, primo ministro kosovaro che ha iniziato la sua attività politica come parte di Lëvizja Vetëvendosje! (in albanese: movimento per l’autodeterminazione), da sempre sostiene il diritto kosovaro di indire un referendum per l’unificazione con l’Albania.

Dal canto suo, Belgrado tenta un equilibrismo: da una parte, il rifiuto di sanzionare la Russia, dall’altra la possibilità di entrare in Europa e la condanna dei referendum in Ucraina. “Non possiamo, vista la nostra storia, contravvenire all’integrità territoriale di un Paese”. In estate, la Russia ha serrato le file degli alleati, minacciando la Serbia di cambiare posizione sul Kosovo al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. I serbi non riconoscono formalmente il Kosovo, ma negli ultimi anni ci hanno trattato.

La campagna d’Ucraina ha riaperto in ogni Paese la questione della sovranità nazionale e rintuzzato dormienti questioni territoriali. Si riutilizza spesso il parallelo fra Ucraina e Kosovo in sede delle Nazioni Unite, come il diverbio fra Albania e Russia sui termini. Oppure la Scozia, che ha presentato nel suo caso legale per l’indipendenza il caso del Kosovo. Il Kosovo non ha niente a vedere con l’Ucraina, né con la Scozia. Russi e ucraini, scozzesi e inglesi sono fratelli. I serbi che hanno massacrato, ancora in vita, sono ancora residenti in Kosovo. Come il primo ministro kosovaro, che quando cambia le targhe sa a chi nuoce e lo fa con dolo, ricordando la sterilizzazione degli albanesi sotto Tito e il genocidio degli anni Novanta. Una soluzione potrebbe essere impossibile senza un ricambio generazionale.

Si spera che non sia necessario anche il ricambio generazionale dei gestori europei. Per adesso, promettono di coinvolgere la Serbia in una serie di progetti infrastrutturali. L’Occidente riesca a giocarsi bene le sue tre carte, fra UE, alleati NATO e rapporti bilaterali, per non estendere i confini di questa guerra.

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