Sbaglia chi crede che Trump sia un “pazzo” e sbaglia chi pensa di poterlo rabbonire, soprattutto con mediazioni al ribasso e con il proverbiale cappello in mano a Washington.
Il Tazebao – Tre giorni consecutivi in profondo rosso e 9500 miliardi in fumo, ma la carneficina in borsa, al netto di qualche rimbalzo fisiologico – quello di ieri seguito oggi da un nuovo round di distruzione –, è solo il preludio di una più duratura recessione, che manderà in soffitta, in modo pirotecnico e sanguinoso, quella che si può definire come la “seconda globalizzazione”. La prima è stata quella 1870-1914.
Allora l’assoluta protagonista fu la Germania guglielmina, forte della sinergia tra ricerca scientifica (tedeschi o afferenti all’area tedesca erano molti premi Nobel di allora), sistema bancario e grandi complessi industriali, integrata – fino al 1905 – con la Russia zarista – merito indubbio della fazione più germanofila ben rappresentata da un modernizzatore quale Sergej Vitte –, proiettata verso il Medio Oriente grazie alla Bagdadbahn, salda nel bacino danubiano grazie agli Hohenzollern-Sigmaringen – anche loro dei modernizzatori – sul trono di Romania, dotata di colonie; la Cina ha egregiamente dominato questa seconda globalizzazione speculare – 1989-2020 –, che adesso volge al tramonto. Per liquidare quella Germania furono necessarie due guerre (oltre all’installazione a Berlino del folle caporale austriaco, visceralmente russofobo), per battere la Cina di oggi, un vero “stato civilizzazione” ne potrebbero servire agli anglosassoni perfino tre. E questo è solo l’inizio: una guerra economica che poi sfocierà, prima o poi, in guerra guerreggiata. La ristrutturazione economica attivata brutalmente da Trump è propedeutica alla guerra.
La teoria del ciclo storico resta la più fondata e non solo perché deriva dalla tradizione classica. Ogni ciclo ha una sua genesi e una sua fine traumatica, ci sono dei salti sanguinosi e ci sono delle idee adatte alla fase del ciclo o, meglio, sincronizzate con esso. E altre no. Non è un caso che la fiducia dei sistemi democratici stia declinando, al pari dello svuotamento di senso degli organismi internazionali. In ogni ciclo ci sono momenti espansivi e momenti depressivi, fasi di espansione del credito e fasi di restrizione.
Dunque, come negli anni ’20 e soprattutto ’30 del Novecento, è nuovamente la casa-madre a far saltare il banco, passando da esportatrice di liberalismo politico e di laissez-faire, da sponsor dell’indipendenza dei popoli e del diritto internazionale, purché non si metta mai in discussione la Dottrina Monroe, a erigere muri fisici – i divieti all’immigrazione – e muri tariffari. A danno prima di tutto di coloro che nel clima di libero mercato hanno prosperato. Cina ed Europa, la quale, ante pandemia, si stava avviando a tornare il centro del mondo. Produttivo e non solo, grazie all’integrazione con Russia e Cina.
C’è da dire che la genesi del caos è molto profonda. Nel primo decennio del 2000 gli strateghi anglo-americani si sono premurati di seminare quanti più focolai di caos, in Afghanistan, in Libia e in Siria, con dei primi tentativi in Ucraina, interrompendo quante più direttrici euro-asiatiche possibile e preparando il terreno a una segmentazione per blocchi. Analoghi al blocco panamericano, sorgeranno un blocco russo – oltre la nuova cortina – esteso a Bielorussia, Caucaso e Centro Asia, un blocco cinese – lo si intravede nel promettente e inaspettato accordo con Giappone e Corea del Sud –, un blocco europeo che, paradossalmente, partirebbe avvantaggiato dal mercato comune se si riuscissero a sopprimere le deleterie spinte centrifughe alimentate dai “sovranisti”.
La Russia di Putin non è la Russia di Vitte, che realmente avrebbe potuto contendere l’egemonia mondiale, e non è nemmeno l’URSS dell’ex seminarista georgiano. In questo frangente, come correttamente identificato da Il Tazebao, va letta come estremamente pericolosa, poiché foriera di una – nuova – manovra a tenaglia, la convergenza tra Putin e Trump, entrambi figli della “fine della storia” e della perestrojka, entrambi leader populisti nati per intendersi. Non stupisce che la Cina, quasi come l’Europa, sia il bersaglio prescelto dal tycoon, che è arrivato a introdurre tariffe astronomiche. Ma la Cina è già in economia di guerra.
Diffidare, dunque, di chi predica calma, poiché quest’ultimo sicuramente non ha chiara la gravità della situazione. Diffidare di chi starnazza “niente panico”. Saranno tempi durissimi.
L’Italia finisce sempre per essere il “ventre molle” dell’Europa e Milano è la più colpita. In borsa e non solo. Si rivedono gli spettri del passato, tra titoli bancari a picco e spread al rialzo (oggi balzato a 130). A ciò si aggiunge la balbuzie meloniana, tra una faccina e l’altra, concentrata a inventarsi un “nemico” europeo per difendere il padre padrone Trump anziché leggere la realtà per come è. La selezione inversa della classe dirigente, non solo in politica ma anche nell’informazione o nelle aziende statali, presenta il suo conto. Prima o poi.
Ci permettiamo di suggerire una convergenza tattica, ma le convergenze tattiche hanno reso il nostro Risorgimento vincente, con il Regno Unito di Sir Keir Starmer e di Re Carlo III, protagonista di una bella e storica visita in Italia. Brexit o meno, fa parte, per cultura e radici – romane -, dell’Europa. Un avvicinamento al quale deve seguire a stretto giro una rottura della nefasta tutela francese sulla penisola, con la denuncia del Trattato del Quirinale, ricostruendo poi un asse privilegiato con la Germania, il cui potenziale produttivo, al netto di anni di gender e green, è sempre forte. Tutto passerà, più che dai contro-dazi (fanno il gioco del tycoon), dalla capacità di fare il salto definitivo in avanti come Unione, a partire da un ruolo di “prestatore di ultima istanza” della banca centrale e dal debito comune. Ci sarà un disperato bisogno di nuovi sbocchi commerciali, dal Centro Asia all’Estremo Oriente, aumentando le relazioni perfino con Bielorussia e Iran, perché non tutto – dagli Usa – è sanzionato e perché le risorse servono. E l’Italia può essere un punto di contatto perfetto.
Non sarà indolore. Bisogna entrare in una diversa forma mentis. Tagliare, ridurre, efficientare i consumi, che in larga parte sono artificiali. Bisogna avviare una rigorosa riforma economica, rilanciando welfare e partecipazioni statali purché strategiche. Bisogna proseguire nel riarmo perché è una produzione che genera ricchezza internamente. Bisogna avere il coraggio anche di riconvertire le filiere produttive decotte.