Quiriti, non è così facile rinunciare di netto e senza opporsi a una lunga e comune storia di libertà. Certo, oggi vanno di moda i modelli “asiatici” di comando e la stringata inflessibile brutalità della tecnica. La nostra libertà, invero, ce la siamo guadagnata. L’abbiamo strappata e conservata e tramandata. La nostra è una lunga storia di libertà.
«Itaque hoc consilium salubri ac reticissima ratione ineundum esse credidimus, ut nulli omnino facultatem abnegendam putaremus, qui vel observationi Christianorum vel ei religioni mentem suam dederet quam ipse sibi aptissimam esse sentiret (…)». Ovvero: «Perciò ci è sembrato, con sana e retta riflessione, di dover stabilire che non si debba assolutamente negare il permesso ad alcuno che si voglia dedicare alle pratiche dei cristiani o alla religione che senta a sé più congeniale» [1].
Questa nitida enunciazione della libertà religiosa – da far invidia alle costituzioni moderne – è contenuta nell’Editto di Milano. E ancora: “Ut daremus et christianis et omnibus liberam potestatem sequendi religionem quamquisque evoluisse” [2]. È di Costantino, pur preso dalle ovvie ragioni di stato, il primo lume che irraggia un cammino di libertà.
Lo sottolineava il Cardinale Joseph Ratzinger nel 2003: «La distinzione fra lo Stato e la realtà divina crea lo spazio di una libertà in cui la persona può anche opporsi allo Stato. I martiri sono una testimonianza per questa limitazione del potere assoluto dello Stato. Così è nata una storia di libertà» [3].
Pur nella confusione valoriale, pur frastornati dall’ondata di cancel culture, non può sparire questa storia. Dunque Quiriti, nutriamo fiducia. I periodi più bui hanno generato nuove fioriture di libertà e diritti che dobbiamo riscoprire dopo decenni di appannamento. In tal senso tutto ciò è anche necessario
Bibliografia
- Lattanzio, De mortibus persecutorum, 48;
- Ibidem;
- J. Ratzinger, “Fede, verità, tolleranza. Il cristianesimo e le religioni del mondo” (2003).
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