Un altro attore emergente nell’Asia centrale: l’Afghanistan dei talebani e le sue prime vittorie diplomatiche. Il Tazebao del giorno

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Il Tazebao – Assai poco si è detto dell’Afghanistan da quando, a Ferragosto 2021, le truppe americane lì presenti da vent’anni furono costrette a una fuga in stile vietnamita dalla fulminea offensiva dei talebani che, approfittando di un accordo siglato dai loro capi con l’allora amministrazione Biden, privo però di una concreta tabella di marcia per il ritiro ordinato delle truppe statunitensi, giunsero a Kabul in pochi giorni e tornarono al potere, spodestando il regime filoamericano di Ashraf Ghani. Da allora, eccetto per il cliché comunemente affibbiato alle società islamiche circa i diritti delle donne (ma sono realmente rispettati nel “mondo libero e civile”?), più nulla si è detto di quanto sta facendo il rinato governo talebano in una terra che vanta comunque millenni di storia e cultura. Se comprensibile è il silenzio circa il rapido azzeramento del traffico e dell’uso di oppiacei, unico fenomeno per cui divenne noto l’Afghanistan sotto occupazione americana, meno lo è il fatto che Kabul si stia aprendo una strada verso un multilaterale riconoscimento diplomatico. Snodo fondamentale per la Via della Seta cinese, esso ha iniziato fin da subito a costruire rapporti positivi con Russia e Iran, cosa non scontata soprattutto col secondo viste le tensioni spesso emerse con la minoranza sciita al confine; Mosca ha recentemente rimosso in via ufficiale i talebani dalla sua lista delle organizzazioni terroristiche, come già hanno fatto il Kazakistan e il Kirghizistan rispettivamente a giugno e settembre dell’anno scorso. Il Turkmenistan vi ha riattivato la cooperazione bilaterale attraverso il progetto del gasdotto TAPI e l’Uzbekistan vi ha firmato diversi accordi congiunti ad agosto. E mentre Cina, Emirati Arabi Uniti e Norvegia hanno ufficialmente accettato gli ambasciatori talebani a Pechino, Abu Dhabi e Oslo pur non riconoscendone ancora il governo, si dice che questi controllino circa 39 ambasciate nel mondo (secondo la Reuters del 19 settembre 2024) e che siano riusciti a far chiudere quelle ad Ankara e Londra ancora affiliate al vecchio regime, i cui uffici di rappresentanza hanno apertamente disconosciuto nell’estate dell’anno scorso. Mediante tali mosse, che pur non significando, almeno per il momento, il riconoscimento ufficiale del nuovo governo di Kabul, ne facilitano comunque l’impegno diplomatico, il Paese si avvia sul cammino di una sua stabilizzazione interna e di una sua più stabile collocazione nel nuovo contesto internazionale che va delineandosi, sicuramente col grande dispiacere degli Stati Uniti che ancora oggi possono osservare un gran quantitativo di loro mezzi e armi sfilare nelle parate dei talebani per le festività nazionali del nuovo Afghanistan. (JC)

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