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Taiwan resta nell’occhio del ciclone. Washington pronta ad abbandonare «l’ambiguità strategica»?

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Mentre non diminuiscono le ambizioni cinesi su Taiwan da più parti negli USA si chiede una revisione della strategia di protezione verso l’isola.

La Cina è sempre più determinata ad ottenere la riunificazione ad ogni costo con Taiwan, isola di quasi 24 milioni di abitanti, situata a circa 100 miglia al largo della costa della Cina continentale. Pechino è ossessionata dalla condizione di Taiwan da quando i nazionalisti cinesi  si sono ritirati sull’isola e hanno formato un governo dal 1949.

La Cina considera Taiwan come una provincia separatista che ha promesso di riconquistare, anche con la forza se necessario. Secondo alcuni sondaggi la maggior parte dei taiwanesi sono contrari.

La Cina continua a crescere militarmente

Nonostante l’effetto Coronavirus, nel corrente anno è previsto un aumento della spesa per la difesa del 6,8% rispetto al 6,6% del 2020. Pechino ha dispiegato missili lungo lo Stretto di Taiwan e periodicamente conduce esercitazioni vicino all’isola. Invia bombardieri, jet da combattimento e portaerei intorno allo stretto come dimostrazioni di forza.

Dal settembre dello scorso anno, Pechino ha intensificato la sua condotta aggressiva nei confronti di Taiwan, inviando regolarmente aerei nell’ADIZ di Taiwan. L’ADIZ è un’area che si estende oltre lo spazio aereo di un paese in cui i controllori del traffico aereo chiedono agli aeromobili in arrivo di identificarsi.

Secondo i dati del ministero della difesa di Taipei, gli aerei cinesi sono stati tracciati nella zona di identificazione di Taiwan 18 volte a marzo, 17 volte a febbraio e 27 volte a gennaio. L’anno scorso sono stati osservati 19 volte a dicembre, 22 volte a novembre e 22 volte a ottobre.

Il mese scorso, il comandante militare per la regione indo-pacifica, l’ammiraglio USA Philip S. Davidson, ha descritto come l’attuale situazione rappresenti il rischio che la Cina possa tentare di invadere Taiwan nei prossimi sei anni.

L’ammiraglio americano John Aquilino, ha avvertito che un’invasione cinese di Taiwan “è molto più vicina di quanto si pensi” [1].

La maggior parte dei sorvoli si verificano nell’estremità sud-occidentale della ADIZ e sono effettuati di solito da uno o tre aerei turboelica a volo lento. Tuttavia, nelle ultime settimane, la Cina ha iniziato a inviare incursioni più vaste con jet da combattimento (J-10 e J-16) nella zona di identificazione di Taiwan.

Il J-16 è un caccia biposto, twinjet, multiruolo basato sul Sukhoi-30 russo e costruito dalla Shenyang Aircraft Corporation. È armato con un cannone da 30 mm e può essere equipaggiato con missili aria-aria, razzi, bombe a guida satellitare e missili anti-nave e anti-radiazioni.

Il 19 aprile scorso, Li Shih-Chiang, direttore del Dipartimento di pianificazione strategica del Ministero della difesa nazionale (MND), ha dichiarato che Taiwan sta ancora cercando di acquistare i missili AGM-158 (JASSM ) dagli Stati Uniti. L’AGM-158 JASSM (Joint Air-to-Surface Standoff Missile) è un missile da crociera aria-terra a bassa osservabilità sviluppato negli Stati Uniti. Secondo la Lockheed Martin, casa produttrice del missile, ha una portata di oltre 370 chilometri. È progettato per “distruggere obiettivi di alto valore, ben difesi, fissi e riposizionabili”.

Il direttore del Dipartimento di pianificazione strategica di Taiwan ha rivelato che attualmente lo JASSM è nella lista dei desideri delle armi che Taiwan vorrebbe acquisire e il governo continuerà a spingere per la finalizzazione dell’accordo.

Come riportato in un precedente articolo su Il Tazebao, la priorità numero uno di Pechino rimane senz’altro la presa di Taiwan, mentre da parte americana ci sarebbe un aumento significativo delle vendite di armi a Taipei e la promessa di intensificare la cooperazione economica e le relazioni con l’isola.

Attualmente l’amministrazione Biden starebbe cercando di calibrare una politica che protegga l’isola (ricca di tecnologia) senza incoraggiare un conflitto armato che sarebbe certamente disastroso per tutti.

Come riportato dal NYT [2], gli Stati Uniti da tempo hanno evitato di dire come avrebbero reagito ad un attacco di Pechino. Washington sostiene Taiwan con contatti diplomatici, vendita di armi, e persino manovre militari occasionali, ma nessuna dichiarazione, dottrina o accordo di sicurezza obbliga gli Stati Uniti a venire in soccorso di Taiwan.

Una legge del Congresso del 1979 afferma solo che:

“qualsiasi tentativo per determinare il futuro di Taiwan con mezzi diversi da quelli pacifici” rappresenterebbe una “grave preoccupazione per gli Stati Uniti”.

La posizione degli Stati Uniti è nota come “ambiguità strategica”, un attento equilibrio inteso sia ad evitare di provocare Pechino sia ad incoraggiare Taiwan a una dichiarazione formale di indipendenza che potrebbe portare a un’invasione cinese.

L’amministrazione Biden, che sta sviluppando le politiche per la Cina, sta prestando particolare attenzione a Taiwan cercando di determinare se l’ambiguità strategica possa essere sufficiente per proteggere l’isola sempre più vulnerabile dai progetti di Pechino.

Richard N. Haass, ex direttore della pianificazione politica presso il Dipartimento di Stato sotto il presidente George W. Bush, ora presidente del Council on Foreign Relations, ha dichiarato che

“questa delicata situazione, che sembrava essere stata gestita con successo o perfezionata per decenni ora, improvvisamente, per alcune persone potrebbe essere giunta alla fine”.

Haass sostiene che l’ambiguità strategica ha “fatto il suo corso”. “È giunto il momento per gli Stati Uniti di introdurre una politica di chiarezza strategica: una politica che renda esplicito che gli Stati Uniti risponderebbero a qualsiasi uso della forza cinese contro Taiwan”.

Bibliografia
  1. BBC News, “What’s behind the China-Taiwan divide?”, 15/04/2021.
  2. Crowley M., The New York Times, “Biden Backs Taiwan, but Some Call for a Clearer Warning to China”, 09/04/2021.
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