Storia della penisola coreana 2/3: dominazione straniera e resistenza

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Per andare più a fondo nella storia di un paese che avrà una notevole rilevanza negli equilibri regionali, pubblichiamo la seconda parte di una summa storica in cui si ripercorrono le entità statuali che si sono avvicendate nella penisola coreana, tra processi di unificazione, pause e frammentazioni.

La società coreana, che rimase chiusa alle influenze esterne nonostante, tra il XVIII e il XIX secolo, la rivoluzione industriale e il capitalismo iniziassero a prendere piede nel mondo occidentale, determinando aperture, aumento di interazioni politiche, economiche e commerciali fra i vari paesi e una rinnovata aggressività nella politica estera delle principali potenze coloniali, volle mantenersi saldamente ancorata ai principi confuciani che sorreggevano da sempre il regime feudale. Tale politica, lungi dal garantirne la sopravvivenza, espose ancor più la Corea alle invasioni straniere.

All’inizio del 1866, infatti, il governo feudale inasprì la repressione contro i cattolici e condannò a morte alcuni missionari francesi, il che diede alla Francia il pretesto per invaderla. In un primo momento la flotta dell’Estremo Oriente, che già si era guadagnata una certa “fama” nell’invasione del Vietnam e della Cina dei Qing, entrò in Corea con tre vascelli arrivando fino alle porte della capitale, ma fu costretta a ritirarsi per la resistenza popolare che ne scaturì; il secondo tentativo di invasione avvenne con forze più che raddoppiate: 7 navi e più di 2.500 effettivi. In questa guerra furono distrutti edifici antichi di valore storico, venne saccheggiata un’ingente parte del patrimonio culturale e, dietro minaccia dello sterminio di 9.000 coreani ogni 9 missionari francesi uccisi, fu imposto al governo feudale la consegna dei funzionari responsabili dell’esecuzione dei primi missionari, con tanto di “risarcimento” e concertazione di un “patto” capestro ai danni della Corea. La nuova resistenza popolare, che causò ai francesi molte perdite, li costrinse a ritirarsi dopo un periodo di “incastramento” improduttivo sul litorale coreano.

L’arrivo delle cannoniere

Sempre nel 1866, e precisamente il 16 agosto, gli Stati Uniti tentarono di invadere la Corea tramite la nave General Sherman, equipaggiata con 4 cannoni e più di 90 uomini, che attraccarono sul fiume Taedong e si dettero a stupri, razzie e sequestri di militari. Il 2 settembre, approfittando della bassa marea, un’imbarcazione armata coreana si diresse verso la General Sherman e aprì il fuoco, causandone l’affondamento, mentre i soldati americani furono respinti dalla lotta popolare. Nonostante ciò, nel 1868 gli Stati Uniti ritentarono un’invasione armata della penisola coreana, questa volta con la nave da guerra Shenandoah, dotata di 9 cannoni (di cui uno a lunga gittata) e più di 230 effettivi, ma anch’essa fu costretta a ritirarsi a causa delle azioni militari autodifensive dei volontari e dei soldati che difendevano la batteria di Tongjin. Nel 1871 il ministro statunitense accreditato presso i Qing e il comandante della flotta americana in Asia sbarcarono sulla costa coreana al comando di 5 navi dotate di 80 cannoni e 1.230 effettivi; il governo feudale inviò un funzionario affinché protestasse per l’intrusione ed esigesse il loro immediato ritiro, ma gli americani imposero al governo coreano la firma di un iniquo “trattato di navigazione e commercio”. Indignato, il popolo insorse e sconfisse le truppe straniere nelle battaglie di Sondolmok, Chojijin e Kwangsongjin, il che le costrinse a ritirarsi il 16 maggio dello stesso anno.

Il 21 agosto 1875, toccò al Giappone, armato dagli Stati Uniti, tentare di invadere di nuovo la Corea, allorché la sua nave da guerra Unyo si spinse fino all’isola di Kanghwa. Ma, incapaci di resistere al fuoco degli artiglieri di Chojijin, i giapponesi fuggirono, ma nella ritirata sbarcarono sulle isole Jongsan e Yongjong, dove uccisero tutti gli abitanti depredandoli dei loro beni.

Appena quattro mesi dopo, il 19 dicembre, l’ambasciatore straordinario e plenipotenziario Kuroda passò per Pusan al comando di 7 navi da guerra e fece irruzione nelle acque al largo dell’isola di Kanghwa per costringere il governo feudale coreano a sedersi al tavolo dei “negoziati” per imporgli un trattato iniquo in base a un piano d’aggressione già messo a punto.

Le autorità coreane, intimorite dalle minacce militari, acconsentirono alle esigenze giapponesi e firmarono il 3 febbraio 1876 il trattato da essi voluto, conosciuto come Trattato d’amicizia coreo-giapponese. Questo si componeva di 12 punti, tra cui l’apertura della Corea, la concessione al consolato giapponese della facoltà di giudicare i giapponesi che avessero commesso crimini in Corea e l’assicurazione ai giapponesi della libertà di effettuare misurazioni del terreno ed elaborare mappe sui litorali coreani.

La sottomissione della Corea al Giappone non frenò però la lotta di resistenza del popolo coreano.

Nel giugno 1882 i militari e gli abitanti dei ceti più bassi di Seoul si ammutinarono ai giapponesi e ai governanti feudali con la motivazione delle razioni di cibo scarse e di pessima qualità; la rivolta fu repressa dietro direttiva di Min Kyom Ho, il funzionario incaricato del rifornimento dei cereali, che fece arrestare e giustiziare i promotori della rivolta. Il 9 giugno i ribelli, capeggiati da Ryu Chun Man e Kim Jang Son, assaltarono e distrussero la casa di Min Kyom Ho, si impadronirono delle armi e liberarono i soldati incarcerati; fecero lo stesso con le case dei cortigiani dell’imperatrice Min e uccisero l’istruttore militare Horimoto e altri giapponesi, dopodiché presidiarono e attaccarono la legazione giapponese muovendosi in corteo. Molti abitanti poveri si unirono alla rivolta. Atterrito, il ministro diplomatico giapponese, assieme ai suoi dipendenti, dette alle fiamme la legazione e fuggì a Inchon nel cuore della notte. Gli ammutinati, che ormai avevano raggiunto le migliaia di unità, si diressero al Palazzo di Changdok il 10 giugno per giustiziare l’imperatrice, ma questa riuscì a scappare travestita da cortigiana. Tuttavia riuscirono a uccidere Min Kyom Ho e il governatore della provincia del Kyonggi. Una parte dei rivoltosi si diresse a Inchon assieme ai militari e ad alcuni civili della zona, ove assediarono e assaltarono la sede dell’amministrazione cittadina eliminando diversi giapponesi. Il ministro che vi si era rifugiato riuscì a fuggire per il rotto della cuffia a bordo di una nave inglese.

Il potere dei Min alfine crollò e i giapponesi che si trovavano in Corea furono espulsi o condannati a morte. Ciò diede al Giappone il pretesto di contrattaccare con una nuova invasione per la “protezione dei suoi cittadini residenti in Corea”: a Inchon sbarcarono per contro 3.000 effettivi dei Qing a bordo di 4 navi da guerra e 13 imbarcazioni di trasporto con la scusa di “contenere l’invasione del Giappone”. Questi ultimi catturarono l’imperatore reggente Taewongun e lo trasferirono a Tianjin, reprimendo nel sangue la rivolta, passata alla storia come Sollevazione militare di Imo. Dopodiché fu restaurata la dinastia dei Min e proseguita la sua politica.

Verso un sistema capitalistico

Sul piano socio-economico, fu in questi anni che iniziarono a germogliare i primi semi dei rapporti sociali capitalistici in Corea; le conseguenti trasformazioni politiche videro nascere il Gruppo Illuminista, con alla testa Kim Ok Gyun (1851-1894). Questi, il 17 ottobre 1884, mise in atto un colpo di Stato approfittando di un banchetto ufficiale offerto in occasione dell’inaugurazione del Dipartimento postale. Tale tentativo riuscì e, il giorno dopo, fu dichiarata ufficialmente la costituzione di un nuovo governo, informandone tutte le legazioni e i consolati stranieri accreditati in Corea. Il 20 fu proclamata la piattaforma del nuovo governo in 14 articoli.

Tale programma si riprometteva di riformare il vecchio sistema feudale in favore del capitalismo in tutti gli ambiti della vita sociale: politica, economia, cultura, affari militari. I conservatori, ostili alle riforme, fecero appello all’esercito dei Qing per rovesciare il nuovo potere. Le truppe giapponesi incaricate della difesa del palazzo reale contravvennero alla promessa fatta ai riformisti e abbandonarono le proprie posizioni. Nonostante l’accanita resistenza, gli invasori vinsero e il governo del Gruppo Illuminista fu abbattuto dopo appena tre giorni.

Tale promessa ha dato adito, nella storiografia successiva, a diverse interpretazioni, alcune delle quali portarono alla conclusione che Kim Ok Gyun fosse un elemento filogiapponese e la sollevazione del 1884, essenzialmente, un atto organizzato dal Giappone. In Corea del Nord, Kim Il Sung raccomandò di formulare un giudizio equo sulla sua figura alla sessione plenaria del Comitato Centrale del Partito del Lavoro nel marzo 1958. Riprendendo tale direttiva, Kim Jong Il, in un colloquio coi suoi colleghi universitari del 6 maggio 1963, spiegò come segue il corso degli eventi:

«La situazione interna ed esterna del Paese alla vigilia del colpo di Stato era assai complessa. Il gruppo conservatore, opposto a quello riformista, controllava l’esercito del governo feudale ed era spalleggiato dalle truppe della dinastia Qing di stanza a Seoul. Le forze del gruppo riformista erano deboli rispetto a quelle dei conservatori. Inoltre, il gruppo riformista fu privato delle forze armate che aveva formato con tanta fatica a Kwangju, nella provincia del Kyonggi, il che aggravava lo squilibrio di forze tra i due gruppi.

In questo contesto, esso decise d’impiegare le truppe giapponesi per i propri fini, in base al suo piano tattico di servirsene come copertura per dissuadere l’intervento delle truppe dei Qing. […]

Kim Ok Gyun e altri riformisti incontrarono un segretario della legazione giapponese alla vigilia del colpo di Stato. Kim lo mise al corrente della sua intenzione di attuare il colpo di Stato a seguito dell’incendio del palazzo della regina, ma non del suo piano d’azione specifico e nemmeno della data. Più avanti, dichiarò di aver scientemente dubitato della sua sincerità perché il Giappone sarebbe stato capace di divulgare il segreto. Già questo basta per far capire che Kim Ok Gyun e gli altri riformisti si sono rifiutati di affidarsi ai giapponesi e si mantennero sempre in guardia contro la loro duplicità.

Anche dopo il declino del colpo di Stato dopo l’incendio del palazzo reale, il gruppo riformista ha agito in base alla propria decisione e al proprio giudizio indipendenti. Durante il colpo di Stato, esso schierò i suoi uomini armati alle quattro porte del palazzo reale, ma collocò le truppe giapponesi all’esterno. Si può considerare che avesse l’intenzione di non lasciar entrare gli invasori giapponesi nel palazzo reale e di non servirsene che come copertura contro l’intervento delle truppe dei Qing.

Tutti questi fatti mostrano che il gruppo riformista fu la mente del colpo di Stato di Kapsin e che vi coinvolse le truppe giapponesi con l’intenzione di usarle per i propri scopi. Etichettare Kim Ok Gyun come filogiapponese e considerare il colpo di Stato come un incidente manipolato dal Giappone è dunque contrario ai fatti» [1].

La questione militare restò infatti centrale negli avvenimenti del decennio successivo e oltre

La restaurazione del feudalesimo comportò infatti un inasprimento generale delle condizioni di vita che si fece particolarmente sentire nelle campagne, particolarmente con la riscossione delle imposte. Fu questo il motivo particolare che dette inizio, il 10 febbraio 1894, alla Guerra contadina di Kabo, ove i lavoratori agricoli insorsero sotto la direzione di Jon Pong Jun (1854-1895) nella provincia del Jolla Meridionale. Spaventati dalle continue vittorie sull’esercito regolare conseguite dai contadini armati, i governanti feudali sollecitarono ai Qing l’invio di truppe. Col pretesto di “proteggere” i propri cittadini residenti in Corea, il Giappone introdusse nel paese un gran quantitativo di forze armate.

Il governo riformista e la fine della rivolta

Allo scopo di bloccare l’intervento armato straniero e risolvere in autonomia i problemi della nazione, l’esercito contadino rivendicò al governo feudale l’accettazione di 12 punti sui rimedi al malgoverno e l’11 giugno iniziò con esso dei negoziati di pace a Jonju. Successivamente insediò il jipgangso, suo organo amministrativo, e iniziò ad attuare il programma. Il 27 luglio fu istituito il kungukgimucho, un organo incaricato di quella che venne poi definita Riforma di Kabo, e si formò un governo riformista capeggiato da Kim Hong Jip. I 12 punti comprendevano la riforma dell’apparato politico centrale, la modernizzazione delle istituzioni sociali e politiche, il riconoscimento delle libertà fondamentali, l’eliminazione delle gerarchie feudali, delle caste, del servaggio e di altri tratti distintivi del feudalesimo. La lotta armata, tuttavia, ricominciò presto a causa della corruzione e dell’incompetenza dei governanti feudali intrisi di servilismo verso il Giappone. Le fiamme della guerra divamparono così in tutte le province del paese; prima di avanzare verso Seul, i ribelli attaccarono la città di Kongju, da dove partivano le spedizioni punitive giapponesi e governative. Essi inflissero molte sconfitte a questi ultimi, ma furono costretti a ritirarsi a causa delle considerevoli perdite subite a loro volta e dell’eccessivo squilibrio di forze in campo. La Guerra contadina di Kabo terminò quindi con la disfatta degli insorti.

Nel frattempo, la contrapposizione tra Cina e Giappone continuava a far sedimentare ostilità e contraddizioni tra le due potenze, anche in Corea.

La guerra del 1894-95, combattuta specificamente per l’egemonia in questo paese, terminò il 17 aprile 1895 con la vittoria del Giappone e l’imposizione alla dinastia Qing dell’umiliante Trattato di Shimonoseki, col quale esso prese possesso di Taiwan, delle isole Penghu, della penisola di Liaodong (poi tornata alla Cina col Triplice Intervento) e godette di un risarcimento di 200 milioni di liang (moneta cinese dell’epoca).

Il Giappone si conquistò così un “posto al sole” tra le grandi potenze di allora per il predominio in Corea.

I rapporti con la Russia zarista

Tuttavia, la dinastia Min allora al potere nella penisola coreana pensò di governare in una posizione di equilibrio appoggiandosi alla Russia zarista; così, i giapponesi, nel luglio 1895, inviarono il tenente generale Miura come ministro diplomatico accreditato a Seoul al fine di ordire il complotto per assassinare l’imperatrice ed eliminare gli elementi filorussi della sua corte.

Nella notte tra il 19 e il 20 agosto, il XVIII Battaglione della cavalleria di riserva della guarnigione giapponese, il corpo di polizia del Ministero degli Esteri e altre centinaia tra teppisti e agenti, uccisero con un colpo d’arma da fuoco diversi ministri del governo feudale, esigettero dall’imperatore la consegna della consorte e lo imprigionarono. Dopodiché fecero irruzione nella camera da letto dell’imperatrice, gettandola a terra e uccidendola a colpi di sciabola, quindi ne incendiarono il cadavere. Tale omicidio è noto col nome di Incidente di Ulmi.

Ciò mise ai ferri corti le relazioni tra Russia e Giappone, già complicatesi nella contesa per l’egemonia nell’Asia nord-orientale.

La notte dell’8 febbraio 1904 il Giappone, che stava ultimando i preparativi per la guerra contro la Russia sin dalla fine della guerra contro la Cina, assaltò e distrusse senza previa dichiarazione di guerra la flotta russa ormeggiata a Lushun e il giorno dopo affondò due navi russe a Inchon.

Impadronitisi così del controllo dello stretto di Corea e del Mar Occidentale di Corea, i giapponesi li utilizzarono come trampolino militare per sconfiggere, in maggio, le forze russe sul bacino del fiume Amnok e invadere la regione nord-orientale della Cina.

A giugno sbarcarono nella penisola di Liaodong, ove sconfissero le truppe russe giunte da nord per difendere il porto di Lushun. Ad agosto vinsero la battaglia di Liaoyang e nel gennaio 1905 si impadronirono della fortezza di Lushun, pur lasciando sul terreno 60.000 uomini.

Nel marzo del 1905 i russi subirono la disfatta decisiva nella battaglia di Shenyang e a maggio persero anche la Flotta del Baltico nello stretto di Corea.

Non si potrebbe però avere un quadro chiaro delle cause della vittoria del Giappone senza citare il decisivo aiuto di Stati Uniti e Inghilterra. Durante lo scontro, infatti, queste due potenze coprirono con 1 miliardo e 500 milioni di yen il miliardo e 700 milioni investiti dai giapponesi in spese militari.

Il 5 settembre 1905 fu firmato, a Portsmouth, un trattato di pace tra Giappone e Russia con la mediazione degli Stati Uniti. I

n virtù di questo documento, il primo si impossessò della penisola di Liaodong, ivi incluse Lushun e Dalian, della linea ferroviaria Changchun-Lushun nella Manciuria del Sud e della parte delle isole Sakhalin a sud della 50esima latitudine settentrionale. Ottenne altresì il diritto alla pesca nei mari nei pressi di Okhotsk, Bering e altre aree russe, così come la supremazia politica, economica e militare in Corea e la direzione, protezione e controllo di questo paese.

Il 29 luglio il governo giapponese aveva firmato l’Accordo Katsura-Taft col quale riconosceva la dominazione coloniale americana sulle Filippine in cambio della collaborazione statunitense nell’invasione della Corea e del riconoscimento del suo “governo tutelare” su di essa, oltre alla partecipazione degli Stati Uniti all’alleanza anglo-giapponese e alla partecipazione del Giappone alle aggressioni in Estremo Oriente con gli angloamericani.

La dominazione giapponese

Il 17 novembre, quindi, i giapponesi obbligarono i governanti coreani a firmare il Trattato di Ulsa in Cinque Punti, i cui primi tre articoli stipulavano, rispettivamente, che il Giappone dirigesse le relazioni diplomatiche e gli affari esteri della Corea tramite il proprio Ministero degli Esteri, che il governo coreano non potesse firmare trattati o accordi internazionali con altri paesi senza l’intermediazione del governo giapponese e che quest’ultimo avrebbe esercitato il suo potere tramite un proprio “governatore generale” che si sarebbe occupato di tutte le questioni e gli affari del caso. L’imperatore Kojong e altri ministri rifiutarono di firmare quel trattato, ragion per la quale furono presi a forza e cacciati dalla sala dei colloqui, ottenendone la ratifica da soli cinque ministri che acconsentirono alle esigenze giapponesi. Uno dei delegati di Tokyo, Ito Hirobumi (di cui Il Tazebao ha trattato in un approfondimento sulla storia del Giappone), fu poi ucciso da un patriota coreano di nome An Jung Gun (1879-1910) alla stazione di Haerbin. Nel centenario della sua nascita, in Corea del Nord fu prodotto un film intitolato An Jung Gun spara a Ito Hirobumi, ripercorrendo il contesto e l’azione che gli costò poi l’esecuzione il 26 marzo 1910.

Alcuni emissari del governo coreano, tuttavia, parteciparono alla Conferenza Internazionale per la Pace, svoltasi all’Aia nel giugno 1907. L’idea dell’imperatore era quella di appellarsi alla comunità internazionale affinché aiutasse le legittime istituzioni del paese a recuperare la propria sovranità. Gli altri paesi, però, riconobbero il Trattato di Ulsa e si schierarono dalla parte del Giappone, ragion per cui uno dei delegati, Ri Jun, si suicidò sventrandosi all’interno della sala. Questa azione, per quanto forte, non fece desistere i giapponesi dai loro intenti coloniali e, il 22 agosto 1910, organizzò una sfilata militare navale per costringere il governo coreano ad accettare il “Trattato di Annessione della Corea al Giappone”, comprendente 8 punti e stipulante che la Corea sarebbe stata eternamente un possesso dell’imperatore giapponese, ma che tuttavia resero pubblico soltanto una settimana dopo come decreto imperiale per paura delle reazioni popolari. In seguito all’entrata in vigore di questo trattato, la dinastia Joson giunse al termine. La sua storia ci è giunta tramite un documento che raccoglie gli avvenimenti succedutisi nei 500 anni della sua esistenza in forma di diario, il più voluminoso del suo tipo al mondo. Si tratta di 1.763 tomi di testi originali in quasi 900 libri, sotto il titolo Cronaca della dinastia feudale Joson, che contengono dati sulla politica interna ed estera, sugli affari politici, economici e militari, dettagli di espressioni artistiche come la musica, la danza, le belle arti e l’artigianato, così come sull’astronomia, la meteorologia, la sismologia, l’oceanologia e altri fenomeni naturali.

La resistenza

Frattanto, la resistenza coreana si stava organizzando. Emersero figure di comandanti guerriglieri quali Ryu Rin Sok (1842-1915), Hong Pom Do (1868-1943) e Kim Hyong Jik (1894-1926).

Il primo, che già nel 1894 lanciò un proclama che convocava il popolo alla lotta antigiapponese, si mise l’anno successivo a capo di una truppa di volontari che a Changju annientò gli invasori ed eliminò parecchi loro sostenitori. All’inizio del 1904, allorché i giapponesi intensificarono l’aggressione alla Corea nel contesto della guerra con la Russia, estese la lotta nelle province del Phyongan Settentrionale e Meridionale ottenendo vittorie importanti.

Nel 1907 stabilì la base del suo esercito a Primorje, in Russia, per scampare all’inasprimento della repressione da parte del regime coloniale, e lì scrisse libri sulle norme alla base delle attività dei volontari. Nel maggio 1910 fu nominato comandante in capo dei volontari delle 13 province; l’anno successivo si spostò nella Manciuria del sud, dove morì per una malattia mentre conduceva attività antigiapponesi.

Il secondo organizzò assieme a dei cacciatori una truppa di volontari per la lotta contro i giapponesi e svolse delle energiche attività militari sfruttando i vantaggi che offrivano le zone montane settentrionali come Phungsan, Kapsan e Samsu. Si trasferì a Jiandao e poi nell’Estremo Oriente russo per le stesse motivazioni di Ryu Rin Sok, e da qui compì dei preparativi per nuove lotte. Nel 1919 tornò a Jiandao e fondò l’Esercito Indipendentista di Corea, che mise radici a Yanji, Wangqing e altre località limitrofe e avanzò in Corea per combattere contro la dominazione coloniale giapponese. Questo esercito vinse molte battaglie, come quelle di Fengwugo e Qinshanli, verificatesi rispettivamente nel giugno e nell’ottobre 1920. Hong proseguì poi le sue attività tra l’Unione Sovietica e la Manciuria; prese parte perfino alla Guerra civile russa dalla parte dell’Armata Rossa, combattendo a Irkutsk contro il Giappone e l’Armata Bianca. Incontrò Lenin come rappresentante dell’Esercito Indipendentista allorché si trovava a Mosca tra il novembre 1921 e il febbraio 1922.

Il terzo, figlio dei combattenti patrioti Kim Po Hyon e Ri Po Ik nonché padre del fondatore della RPD di Corea, Kim Il Sung, fondò il 23 marzo 1917 l’Associazione Nazionale di Corea, che mirava a unire tutti i coreani, rendere indipendente il Paese con le forze del suo stesso popolo e costruire uno Stato autentico, moderno e civile. Il suo obiettivo era quello di radunare le masse e mobilitarle nella lotta di liberazione nazionale antigiapponese, consolidare il proprio apparato organizzativo e sfruttare le contraddizioni tra il Giappone, da una parte, e le potenze europee e gli USA, dall’altro, per espellere il primo dal Paese e conquistarne l’indipendenza. I nuclei dell’ANC si insediarono non soltanto in Corea, ma anche in Cina (Pechino, Shanghai, Jilin, Fusong, Linjiang, Changbai, Liuhe, Kuandian, Dandong, Huadian e Xingjing). Questi si impegnarono con vigore nella divulgazione ideologica e nella mobilitazione delle masse nella lotta antigiapponese, oltre che nella raccolta di fondi e armi. In poco tempo divenne il maggiore raggruppamento rivoluzionario clandestino in Corea ed ebbe un ruolo di primo piano nell’Insurrezione popolare del 1° marzo 1919 e nella Manifestazione del 10 giugno 1926 per l’indipendenza, svoltesi entrambe in occasione dei funerali degli ultimi due imperatori della dinastia Joson e la cui repressione provocò 100.000 morti nel primo caso e un’ondata di arresti nel secondo. (prosegue…)

L’approfondimento precedente: Storia della penisola coreana 1/3: prime forme statuali e tentativi di unità

Fonti

[1] Kim Jong Il, Opere scelte, vol. 1, Edizioni in Lingue Estere, Pyongyang 2014, pagg. 303, 304 ed. fr.

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