A margine del workshop “Sol Invictus” abbiamo avuto modo di confrontarci con Andrea Marcigliano, che ha anche tenuto una lectio magistralis su Dante. Andrea ha condiviso con noi una riflessione su Shakespeare che siamo lieti di ospitare.
Quando abbiamo parlato a Baselga, ha accennato a una teoria secondo cui Shakespeare sarebbe di origine italiana. Quali prove ci sono a sostegno?
“Dobbiamo partire dal fatto che nessuno ha mai saputo dire con certezza chi fosse, davvero, William Shakespeare. E questo per due, precise, ragioni. In primo luogo, la totale assenza di documenti sulla sua vita. Mi sembra di ricordare che l’unico autografo sia uno scarno lascito testamentario, sempre che anche quello sia autentico. Non che questa assenza, questo vuoto riguardi solo Shakespeare. Anche di Dante, ad esempio, non abbiamo autografi, se non un documento firmato con i due fratellastri per l’eredità paterna. Ma di Dante in tanti suoi contemporanei parlano. E, soprattutto, lui parla molto di se stesso, della sua vita, delle sue idee. Come ha scritto Harold Bloom non c’è opera o verso di Dante da cui non emerga, prepotente, la sua personalità.
Per Shakespeare non è così. Il Bardo è autore mimetico per eccellenza. Nessuno è in grado di dire che fosse, cosa pensasse, quale fosse la sua fede. I suoi personaggi vivono di vita propria. Per questo è, probabilmente, oltre che un grande poeta, il massimo autore teatrale di tutti i tempi. Chi è Shakespeare? Dietro quali personaggi si vela e/o rivela? È Amleto o Falstaff? Shylock o Caterina la bisbetica? Non lo sappiamo. E non lo sapremo mai. E non ci aiutano i suoi contemporanei.
Vi è, mi pare, uno scambio epistolare tra due altri autori dell’epoca, in cui uno dice: «Questo Shakespeare che neppure sa parlare l’inglese…»
Viene presa come una conferma dei bassi natali del poeta. Che, secondo la vulgata dominante, sarebbe stato uno dei figli di un guantaio/macellaio di Stratford-upon-Avon. Privo di educazione e studi regolari. Storia che non ha mai convinto nessuno, anche se si continua a insegnarla nelle scuole. Tant’è che di volta in volta si è parlato di Shakespeare come di una maschera. Un prestanome dietro al quale si celava ben altri. Le due ipotesi più famose: Francesco Bacone, filosofo e scienziato e Christopher Marlowe, il drammaturgo maledetto, che non sarebbe morto assassinato in una rissa – o, più facilmente, perché agente dei nascenti Servizi Segreti – ma si sarebbe nascosto e avrebbe continuato a scrivere sotto il nome di Shakespeare. Ipotesi che non regge. Troppo diverso lo stile…
E veniamo allo Shakespeare italiano.
È un dato di fatto che Shakespeare conoscesse bene l’Italia e la sua cultura. E anche la vita quotidiana. Descrive, con precisione. Città diverse, anche minori. Delle quali non poteva avere notizie dai libri. Che deve aver visto. Visitato.
Un viaggio in Italia? Del povero figlio di un guantaio? E poi avrebbe dovuto essere viaggio lungo. Con soggiorni prolungati in tutta la penisola. Non solo nelle città importanti. Anche, anzi soprattutto, minori. Come Messina, che ritorna. Ed è la scena di “Molto rumore per nulla”.
Di qui l’ipotesi di una origine siciliana del Bardo. O almeno della sua famiglia. Shakespeare è la traduzione esatta del cognome siciliano Crollalanza. E i Florio di Crollalanza erano una casata di umanisti messinesi, costretti all’esilio in Inghilterra perché avevano aderito alla Riforma. Erano Ugonotti. Calvinisti.
Questo potrebbe spiegare molte cose. Le continue citazioni di poeti del rinascimento italiano in “Pene d’amor perdute”. Il fatto che nell’Amleto si trovino proverbi raccolti proprio da un Florio quasi trent’anni prima ed editi in italiano.
E qui viene fuori la figura di Michelangelo Florio. Umanista, aveva girato un po’ per tutta Italia, perseguitato dalla Inquisizione. Aveva studiato a Padova e vissuto a Venezia. Altre città care a Shakespeare. Poi era stato all’estero. Anche in Danimarca. Tra i suoi amici, vi era Giordano Bruno. Che lo fece andare in Inghilterra. Qui avrebbe raggiunto dei parenti materni che avevano tradotto il cognome Crollalanza in Shakespeare. E preso il nome di William, in ricordo di un cugino morto precocemente. Avrebbe cominciato a insegnare italiano, a corte. E a scrivere per il teatro. Interesse che già aveva, visto che aveva scritto, ragazzo, una commedia in dialetto siciliano: “Tanto rumore per niente”.
Tutto qui. Ipotesi, certo. Ma non più strampalate di altre. E poi è suggestiva l’idea che Shakespeare fosse siciliano. Come il più grande drammaturgo della nostra epoca. Luigi Pirandello. Che con Shakespeare si confronta di continuo”.
Si è citato anche un libro in cui questa teoria viene dettagliata ma che viene sempre osteggiato…
“In realtà libri e studi vi ne sono molti. In Italia e recentemente anche nel mondo anglosassone. Soprattutto negli USA. Visto che ai britannici l’idea di uno Shakespeare italiano, peggio, addirittura siciliano dà non poco fastidio. Tanto che si parla addirittura di pressioni inglesi su Mussolini per far chiudere una Accademia che propugnava le idee di Sante Paladino. Il primo a tirare fuori la tesi su Florio già nel ’23. Comunque, lo studio che ha avuto più risonanza è quello di Martino Juvara. Del duemila e qualcosa. Quindi relativamente recente. Poi vi è un curioso romanzo giallo edito da Sellerio. “Il manoscritto Shakespeare” di Domenico Seminerio. Una spystory, in cui i Servizi Segreti britannici cercano di far sparire le prove che il Bardo fosse siciliano. Da leggere”.
Rimanendo al genio di Stratford-upon-Avon ricorderà sicuramente la polemica sul suo presunto “razzismo”. A molti è parsa pretestuosa e infondata se pensiamo anche alla complessità di personaggi come Otello e Shylock ma anche ai messaggi universali che le opere ci danno.
“La cancel culture dominante soprattutto nel mondo anglosassone – di cui noi siamo ormai le scimmie ammaestrate – è un cumulo di idiozie e idioti manipolati da chi ha interesse a distruggere le culture nazionali. Shakespeare, come Dante, non va ridotto a queste polemiche da buffoni. Non merita, sinceramente, di parlarne. L’Amleto verrà ancora rappresentato quando di questi servi sciocchi e dei loro laidi padroni si sarà persa la memoria. Non ci curiam di lor ma guarda e passa”.
Perché, invece, la lettura meditata delle sue opere ci può aiutare anche oggi?
“Shakespeare si presta a infinite letture. È autore prismatico. Universale. È figlio del suo tempo, certo. Ma anche una chiave per comprendere la modernità. I suoi personaggi rappresentano perfettamente le sfumature psicologiche dell’uomo moderno.
Non solo Amleto, che appare ovvio. Anche altri. Direi praticamente tutti. Poi, tra le altre, vi è anche la lettura, diciamo così, politica. Grandi temi di riflessione, sempre attuali. Il Riccardo III, la riflessione su Machiavelli. Il dramma del potere, Re Lear, Macbeth. Il Giulio Cesare. Ma il discorso si farebbe troppo lungo…”
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