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La Toscana e il Libano: una lunga storia d’amicizia

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Siamo lieti di ospitare l’articolo apparso sul sito di Assadakah

È l’incontro di due sovrani di ampie vedute. Cosimo II, l’ultimo dei grandi di casa Medici, difende Galileo, che era stato suo precettore e che gli dedica il Sidereus Nuncius nel quale gli sono riservate “quattro Stelle al vostro inclito nome” [1], e, di fatto, squaderna la Scienza moderna, mentre Fahkr-al-Dihn II della dinastia Maanide, che governa la montagna Shouf da oltre un secolo, unisce per una causa comune Drusi e Maroniti inaugurando un clima di tolleranza, lascito simbolico e valoriale a quel Libano che è “molto più di un paese” [2]. E se il primo si inserisce in un solco già ben definito dagli illustri predecessori, Faccardino, come sarà toscanizzato, costruisce un nuovo modello sociopolitico.

Per capire meglio il significato e l’impatto di queste relazioni è opportuno inquadrare, a sommi capi, il contesto storico nel quale avvennero. Tra il 1570 e il 1571 gli Ottomani passano dall’assedio vittorioso di Famagosta alla disfatta di Lepanto. Vent’anni dopo a Gravelinga gli Inglesi sconquassano la flotta spagnola e affermano la propria talassocrazia. Nel frattempo, si esauriscono le miniere d’oro americane e la Spagna entra in una pesante crisi economica, con ripercussioni su tutti i territori assoggettati. Le nuove potenze sono Inghilterra e Olanda. L’Italia, fiaccata dalle guerre, posta de facto sotto dominio spagnolo con la Pace di Cateau-Cambrésis, salva dalle guerre di religione grazie al Concilio di Trento, è una larva rispetto a quella dei secoli precedenti. In questo la Toscana, memore delle recenti glorie, tenta di esprimere una linea quanto più autonoma seppur negli evidenti vincoli [3]. Ferdinando I cerca anche di fondare una colonia medicea in Sud America nei pressi del Delta del Rio delle Amazzoni attraverso la spedizione Thornton senza però arrivare a conclusione.

La «Istoria» di Faccardino

Dopo l’uccisione del padre, Faccardino viene nominato mültazim [4] della Montagna drusa nel 1590 dal wali [5] di Damasco. A partire dal 1605 amplia i suoi domini conquistando Acri, Castel Pellegrino e Cesarea. Mostra insofferenza verso il dominio ottomano e supporta la ribellione di Ali Janbulad (1605-1607). Quando quest’ultimo è sconfitto Faccardino riesce a rimanere al potere ma solo al prezzo di ingenti elargizioni a dignitari e membri della corte ottomana.

Secondo Fawwaz Traboulsi nel libro “A History of Modern Lebanon” (2012) la rivolta di Jumbulad è fomentata proprio dal Granducato di Toscana, allora retto da Ferdinando I, che guarda con sempre maggior interesse al Nord Africa e al Levante come nuovi sbocchi commerciali. La fitta corrispondenza tra Faccardino e Ferdinando I testimonia come il Granducato fosse riuscito a inserirsi con successo nei porti di Beirut, Sidone e Tiro. È l’inizio dell’alleanza tra Faccardino e il Granducato.

Sempre secondo Traboulsi, Papa Gregorio XIII chiede ai Maroniti di appoggiare Faccardino. L’emiro si serve, infatti, proprio delle autorità maronite per tentare di concludere un’alleanza anti-ottomana nel 1611 con lo stesso Granducato e la Chiesa di Roma. La notizia trapela, la Sublime Porta scopre il piano e Faccardino è costretto a una rovinosa fuga che lo porta in Toscana.

L’esilio in Toscana

L’Emiro ripara in Toscana – nel trattato commerciale del 1608 era previsto di accoglierlo in caso di necessità – dove rimane fino al 1618 mentre il regno è retto temporaneamente dal fratello. Se sul piano politico gli effetti del suo soggiorno sono limitati, soprattutto per la diffidenza del Granducato nelle prospettive reali di Faccardino di smarcarsi dalla Sublime Porta, il lascito artistico e culturale [6] è straordinario.

Faccardino rimane folgorato dalla capitale del Rinascimento e tenta di riprodurre in patria le meraviglie che ha ammirato. Il diario di viaggio, tenuto da al-Safadi o da Faccardino stesso, trasuda meraviglia..

La Torre di Pisa lo affascina: “Fra le opere di tutti i costruttori, l’inclinazione di questa torre è stupefacente – scrive – di quindici piedi e non gli succede mai niente di male”.

Mentre su Firenze annota: “Fra le meraviglie della città c’è la vecchia chiesa, che all’esterno è fatta di marmo, con le immagini degli apostoli e dei santi. Ha un minareto quadrato fatto con marmo colorato, e ha una scala che permette di salire fino alla cupola. Ancora più magnifica di questa è la chiesa nuova, più piccola ma più lavorata, perché all’interno le sue pareti sono fatte di pietre colorate e nel mezzo ci sono lamine di rame per cui si vede ripieno d’oro” [7].

Il ritorno in Libano e la vittoria di Anjar

Al suo ritorno gli Ottomani non possono disturbarlo perché distratti dalla continua guerra contro i Safavidi che drena tempo e risorse. Faccardino si espande annettendo territori quali Tripoli, Sidone e la Valle della Beqaa, dove esporterà alcune delle conoscenze apprese nel suo soggiorno in terra toscana. Allertato il wali di Damasco Mustafa Pascià prova a fermarlo ma viene sconfitto nel novembre del 1623 nella battaglia di Anjar, nella valle della Beqaa.

La battaglia è un passaggio essenziale della storia del Libano: poco più di diecimila uomini, di fedi e provenienze diverse ma accomunati da un obiettivo, essere liberi, riescono a sconfiggere con l’astuzia e l’organizzazione un esercito che vantava più del quadruplo di effettivi. Dopo la vittoria, come sua natura, Faccardino si mostra pietoso con Mustafa Pascià: non solo non lo uccide ma gli riserva una prigionia oltremodo dignitosa. La vittoria impressiona il sultano che gli concede il titolo di “Sultan al Barr” ovverosia “sultano della montagna” [8].

Adesso Faccardino può dedicarsi ad ammodernare il paese sia cercando di imitare le architetture che ha visto sia esportando i progressi in campo scientifico. Giova ricordare che, come riportato nel succitato diario [9], Faccardino ha visitato anche la zecca, le tipografie, laboratori di polvere da sparo e simili. Il Granducato mette a disposizione uno stuolo di maestri e artigiani fiorentini che arrivano in Libano per aiutare Faccardino nella sua opera. Le maestranze toscane, per quanto inferiori nel numero e nella qualità [10], più che per interventi di carattere estetico, furono essenziali nell’opera di ammodernamento delle piazzeforti del Libano e in diversi interventi infrastrutturali, come ponti e strade.

Uno dei castelli su cui l’intervento dell’Emiro è stato sensibile è quello di Beaufort [11]. Di origine crociata il castello copre un’area strategica e lo si è visto anche con la più recente occupazione israeliana, che ha comportato anche danni pesanti alla struttura [12]. È solo questo uno dei tanti interventi di ordine militare concretizzatisi sotto Faccardino in tutta la regione, anche grazie al supporto degli artigiani toscani.

Purtroppo, l’incedere del tempo e i continui sconvolgimenti del paese hanno cancellato molte tracce ma l’architettura libanese, per le bicromie, per le forme sintetiche, per l’armonia con la flora, ben testimonia la presenza della Toscana.

Non è quello delle fortificazioni militari o delle infrastrutture l’unico campo nel quale il Grandemir applica le conoscenze apprese. Introduce la produzione della seta che incoraggia presso la comunità maronita. Lui stesso usa commerciare la lana: ne spedisce 45 vasi a Firenze nel 1631 grazie al maronita Ibrahim al-Haqallani che ne dona uno al Cardinal de Medici, ne vende le altre donando il ricavato al Monte di Pietà. Per migliorare i commerci costruisce il Khan Al Franj, ovverosia il caravanserraglio dei “Firarj” (generalmente gli europei) a Sidone aperto ai mercanti italiani e francesi e restaurato dalla Hariri Foundation nel 1993 [13], mentre avvia i lavori di allargamento del porto di Beirut che sceglie come sua residenza invernale.

Le sorti cambiano quando gli Ottomani terminano le campagne contro la Persia e possono dedicarsi a sedare i rivoltosi. Faccardino tenta invano di convincere la Toscana, allora governata da Ferdinando II, a intervenire ma l’aiuto non arriva, anche perché, in quel momento, il Granducato e, in generale, tutta l’Italia sono fiaccati dalle conseguenze della Peste. Catturato, è condotto a Istanbul dove viene giustiziato insieme alla famiglia. Qui le fonti danno delle versioni discordanti: chi sostiene che tutta la famiglia trovi la morte, chi che un figlio sia salvato e inviato in India, chi addirittura che Faccardino si converta in punto di morte al cristianesimo. Quel che è certo è che la sua è una figura estremamente affascinante e significativa per la storia anche contemporanea del Libano e per il lascito culturale e materiale che ha dato al Paese dei Cedri.

L’articolo su Assadakah: https://www.assadakah.net/post/la-toscana-e-il-libano-una-lunga-storia-d-amicizia

Bibliografia
  1. G. Galilei, Incipit del Sidereus Nuncius;
  2. Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica a tutti i Vescovi della Chiesa Cattolica sulla situazione nel Libano, 07/09/1989;
  3. Questo attivismo di Ferdinando I sul fronte mediorientale è documentato dalla ricca produzione di Giovanni Mariti (Firenze 1736- ivi 1806) che lo documenta nella sua “Istoria di Faccardino, Grandemir dei Drusi” (1786) e precisamente nei capitoli introduttivi prima di trattare di Faccardino stesso;
  4. Il mültazim era una carica del sistema di tassazione detto iltizām, introdotto da Mehmet II, sultano dal 1444 al 1446 e dal 1451 al 1481 e in vigore fino al 1856;
  5. Governatore di una grande provincia;
  6. R. Cuffaro in “Fakhr ad-Din II Alla corte dei Medici (1613-1615): Collezionismo, architettura e ars topiaria tra Firenze e Beirut” pubblicato in Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft (2010);
  7. A. Mariani, L’Intellettuale dissidente, “Un emiro alla corte dei Medici”, 09/05/2016;
  8. J. C. Rolland, “Lebanon: Current Issues and Background”, Nova Publishers (2003);
  9. A. Mariani, “Un emiro alla corte dei Medici”, L’Intellettuale dissidente, 9 maggio 2016;
  10. R. Cuffaro in “Fakhr ad-Din II Alla corte dei Medici (1613-1615): Collezionismo, architettura e ars topiaria tra Firenze e Beirut” pubblicato in Marburger Jahrbuch für Kunstwissenschaft (2010);
  11. L. Nordiguian e J.C. Voisin “Chateaux et Eglises du Moyen Age au Liban” (1999);
  12. J. Farchahk, L’Orient Le Jour, “Patrimoine – Le château de Beaufort, ou Qalaat Chaqîf Arnoun Une histoire des plus tourmentées”, 26/05/2000.
  13. Saida Urban Sustainable Development Strategy, Local Expert Team Strategic Diagnosis Report Cultural and Natural Heritage Prepared by Howayda Al‐Harithy, PhD, Architect Giulia Guadagnoli, Urban Planner With contributions from: Zarifi Haidar, Urban Designer Joana Dabaj, Architect.

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